Teatro, la mancanza di emozioni che si fa sentire

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Di Redazione Metropolitan

Teatro è corpo e respiro, carne, uomini e donne che emanano vibrazioni. E solo sul palcoscenico questa mistura di concretezze ha senso.

Lockdown

È accaduto quasi per caso, come se si trattasse di un perfetto film americano apocalittico: lockdown. Proprio come accade nel Cinema da un piccolo alert si è “contaminato” un intero Paese. Poi quelli vicini, quelli più lontani e via discorrendo. Questa storia ormai la conosciamo bene. L’abbiamo vissuta e abbiamo imparato a desiderare spiragli di libertà in ogni singolo istante. Il quotidiano è diventato routinario fino a trasformarsi in fotocopia. Ognuno, a proprio modo, ne ha sofferto e gioito, ha fatto quello che, per un bene comune, è stato chiesto di fare. Sono volati alcuni giorni, delle settimane. Mentre le città vuote continuavano a bagnarsi di sole. Il fuori è diventato mitico, gli occhi dalle finestre o dai balconi spiavano per catturare ricordi o per spiare incontri. La casa è diventata la strada, di ognuno, il giorno e la notte si sono accavallati trascinando la maggior parte della gente nel disordinato vivere in quarantena.

Teatro: ora tutto passa nella rete?

La socialità, quella della vita normale, si è trasformata in qualcosa di differente: il contatto è diventato distacco ma il distacco è stato il vero punto d’incontro. Infatti i Social  sono diventati le piazze, i locali, i luoghi di aggregazione. Tutto molto bello. Tutti molto accondiscendenti a questa nuova forma di assembramento. È passato di tutto dalla Rete. O meglio, tutto è passato nella Rete. Certo che ironia strana è affermare che qualcosa passi in una rete che di suo dovrebbe contenere anziché lasciar passare. Ma proprio l’impalpabilità di questo concetto rispecchia il fatto accaduto. Quella Rete ha contenuto finché ha potuto prima di cedere per il troppo peso. Mettiamola così.

Luci - Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay
Luci – Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay

In una Italia che tutti immaginavamo già al passo coi tempi o nel futuro, abbiamo avuto modo di accelerare alcuni processi tecnologico-sociali di cui, nella normalità, si parlava ma non si aveva il coraggio (o il tempo) di far partire. Abbiamo, dalla reclusione, dato vita a nuove forme di socialità. Per qualcuno è diventato persino piacevole fare la spesa in supermercati meno affollati, senza urla, senza estenuanti file alle casse, di contro le file, pazienti e ordinate, sono state spostate all’esterno.

Teatro e silenzio

L’elenco delle novità introdotte o auto-introdottesi nella nostra vita quotidiana sarebbe lunghissimo e si rischierebbe di dimenticare qualcosa o qualcuno e poi, diciamocelo francamente, dopo settimane infinite di cui non si parla d’altro ne siamo anche un po’ stufi. Ma accade, purtroppo, che di qualcosa se ne parli poco o in settori ristretti o, peggio, venga addirittura dimenticato. Un intero settore della produzione di PIL del nostro Paese, per esempio è stato completamente trascurato. Nelle quotidiane dirette Facebook il Premier Giuseppe Conte ha sempre aggirato il problema, ha sempre omesso di citare parole come teatro, attori, spettacolo.

Teatro - Foto di Peter H da Pixabay
Teatro – Foto di Peter H da Pixabay

Parlerò dei lavoratori dello spettacolo dal vivo: attori, tecnici, scenografi, costumisti, drammaturghi, registi, organizzatori,macchinisti,ballerini, maschere (non le mascherine, le maschere sono quelle figure ben vestite che si occupano dell’accoglienza del pubblico), facchini e l’elenco è ancora lungo, perché il comparto racchiude tutta una serie di altre figure professionali. Tutte dimenticate o lasciate in balia dell’attesa. Certo, fermi tutti, ci sono state delle misure di tutela, per carità. I “mitici” 600 euro, per esempio. E poi nient’altro. Per le persone, intendo.  

Il teatro non si ferma

Allora cosa hanno ideato quei mattacchioni dei teatranti? Di certo non hanno visto di buon occhio l’idea di doversi fermare. E allora eccoli, pronti sul pezzo, a leggere, recitare, promuoversi sui social: intere sequele di spettacoli desecretati dalle password e offerti in visione gratuita. Letture integrali di Delitto e Castigo o de L’Orestea. Esperimenti di audio teatrali da ascoltare. Stagioni teatrali virtuali. Sketch comici o tragicomici. Riprese di teatri vuoti. Riprese di teatri dall’esterno. Tutte, a mio avviso, encomiabili espressioni di movimento artistico ma, sempre a mio avviso, sterili rappresentazioni ectoplasmatiche di qualcosa che manca. Perché il teatro manca. Proprio questa mancanza ha messo in moto l’attività di cui sopra: il vuoto da riempire, come direbbero i psicologi. Certo in molti, tantissimi a dire il vero, hanno preferito il silenzio, l’attesa o hanno sfruttato il momento per la creazione, l’allenamento o per prendere decisioni. Qualcuno ha sofferto, soffre ancora e soffrirà anche dopo. Ma in questo tempo non mi riferisco alla sofferenza dell’artista, intesa in senso poetico, no. Purtroppo c’è una sofferenza di anima. Di anime.

Che fare quindi? Di certo non si può stare fermi. Non si deve stare fermi, tuona qualcuno.

Dettaglio - Foto di Blackrabbit kdj da Pixabay
Dettaglio – Foto di Blackrabbit kdj da Pixabay

Le attività teatrali, in crisi da sempre ?

C’è anche da dire che il Teatro è in crisi da sempre. Ora, nella crisi per antonomasia è ancora più inguaiato (come direbbe Eduardo). Qualche anno fa un attore (Antonio Piccolo) scrisse che il Teatro era in crisi perché era brutto. Giusta osservazione. Ma anche quello “bello” non è che se la passava bene. Insomma, è un bel pastrocchio da cui non se ne riesce ad uscire. La “malattia” del Teatro risiede, sempre a mio avviso, in una delegittimazione storica di una professione. “Si parla di teatro tra teatranti”, quante volte l’ho sentito dire. Se il presidente dell’INPS fosse stato, che ne so, Carlo Croccolo forse avremmo avuto più benefici. Battute a parte, il dramma vero è proprio questo: il settore non esiste. Sulle carte. Nei bilanci. Nell’opinione pubblica. Sulla carta stampata (e sulle pagine web). Non esiste. Ha meno spazio, ormai, delle sedicenti avventure amorose di un qualsiasi evanescente “personaggetto” da 300.000 visualizzazioni su Instagram. Che fare allora?

Resistenza artistica

Retoricamente parlando si dovrebbe battere i pugni. Fare la vera resistenza artistica. Farsi sentire. Ma da chi? Il Teatro è stato chiuso subito e nella Fase 2 non compare neanche in uno sbadato paragrafetto del nuovo decreto. Tolte le giuste considerazioni relative all’emergenza sanitaria, resta il perché, gigante. Perché forse non interessa a nessuno, tranne a chi lo abita quotidianamente. Ma fa troppo male pensare che sia solo per questo motivo.  Qualcuno sta provando a rinforzare le pretese tramite il sindacato dei diritti dei lavoratori dello spettacolo (SLC – CGIL SAI Sezione Attori Italiani), ma chi ne parla? Dove può arrivare questo sforzo?

Netflix - Foto di Jorge Gryntysz da Pixabay
Netflix – Foto di Jorge Gryntysz da Pixabay

La proposta del Ministro Franceschini

Il Ministero dei Beni e Attività Culturali sembra annacquato nel parossismo più esagerato. Il ministro Franceschini ha l’ideona di creare una piattaforma (tipo Netflix, parole sue) per mettere online gli spettacoli teatrali. L’idea, seppur bislacca nella sua confezione, in riferimento alla consistenza e all’essenza dello spettacolo dal vivo, avrebbe senso se ci fosse la possibilità democratica per tutti di avere la stessa visibilità. Potrebbe essere uno strumento per promuovere un prodotto. Come la pubblicità. Questo è necessario per uscire dall’ombra.  Ma promuovi oggi, promuovi domani, alla fine la necessità unica è che quello spettacolo vada in scena nello scontro poetico artistico di corpi contro corpi, parole contro parole, attori contro pubblico e che riceva applausi. L’idea del Netflix della cultura se fosse permanente sarebbe il top per legittimare un settore, per farlo diventare concorrenziale. Per farlo contare. Permanente però. Nel senso che la stessa visibilità dovrebbe invogliare le persone ad andare, poi, a Teatro a vedere dal vivo quella confezione di estro recitativo. Se l’idea fosse questa, chapeau. Altrimenti idee di piattaforme web per spettacoli da visionare esistono già, tipo il Sonar, ma non va in RAI, purtroppo.

Serialità - Foto di Michael Strobel da Pixabay
Serialità – Foto di Michael Strobel da Pixabay

Legittimare la figura dell’attore

Digitalizzare il teatro non ha senso. Legittimare una professione, renderla nobile appetibile e fruibile, queste sì che sono imprese. Questo potrebbe sovvertire l’ordine di alcune cose. L’attore avrebbe una riconoscibilità democratica. La zia dell’attore smetterebbe di pensare che suo nipote si diverte e basta. La zia dell’attore penserebbe che suo nipote lavora, come l’altro nipote che fa il notaio. E allora, così concepito, un progetto avrebbe corpo, potrebbe irrobustirsi, creare indotto, fare addirittura (più) PIL. Questo mestiere, quello artistico o dell’Artista o del lavoratore dello spettacolo (che poi si chiama già così) richiede passione. Tutti gli artisti hanno passione. Tutti gli artisti vanno in scena “perché in scena si va” e questa passione, ahinoi, ha costretto molte maestranze ad accettare il lavoro in nero, l’umiliazione della non retribuzione, i compromessi. Questo modo di fare non è un’arresa, non è piegarsi, è solo necessità. È volontà che spinge e anima. È l’arte dentro l’artista che ribolle e vuole uscire allo scoperto. Ma poi, alla fine dei giochi, quando l’Arte è fermata da una crisi sanitaria mondiale, quella stessa forza si rintana e sopisce; diventa sofferenza. In silenzio. E si resta in attesa.

Attese - Foto di Daniel Nebreda da Pixabay
Attese – Foto di Daniel Nebreda da Pixabay

Teatro, pensieri ed esperienze

Quelli di seguito sono amici, colleghi, artisti. Ognuno di loro mi ha inviato un pensiero, personale e non necessariamente in accordo con quanto scritto in precedenza. E li ringrazio. Ho fatto a tutti la stessa domanda:

  • L’attesa è vissuta molte volte come una perdita di tempo, come un elemento scomodo da affrontare prima che si verifichi altro.Tu cosa stai aspettando? Cosa ti aspetti?

Le risposte delle figure professionali

“Questo momento ha messo in risalto le difficoltà che noi ben conosciamo riguardo la nostra categoria. Non esistono albi professionali di attori, registi. Insomma ci si sente soli. Ieri il governo nel suo nuovo decreto non ha neanche nominato i lavorator* dello spettacolo.  In questa lunga giornata verso la notte io sto insegnando on line, sperimentando nuove possibilità didattiche. Cerco di sentirmi attivo, studio e penso a mia figlia. Mi aspetto una ripresa, anche con restrizioni, credo che bisogna trovare un modo per riprendere. Test sierologici tamponi, distanziamento, ma riprendiamo a lavorare!” – Marcello Cotugno, regista

Barlumi di vita altalenanti e creatività

“I pensieri e le azioni di questi mesi sono stati altalenanti. Dopo un down terribile, negli ultimi tempi si son persino riaccesi squarci di forte creatività, la possibilità di uscire dalla routine del fare e di poter studiare è stata cosa buona, considero persino un bene aver toccato con mano la nostra precarietà lavorativa, essa dovrebbe guidarci domani nelle battaglie comuni per i nostri diritti di artisti e lavoratori. Ma oggi mi cogli come genitore arrabbiato, quel che mi aspetto è che si dia un segno a bambini e ragazzi e che quando ci sarà da ricostruire si sappia che si deve ripartire da loro. È stato sorpassato un limite pericoloso con i bambini, si stanno facendo danni difficili da riparare. Ripeto, mi aspetto che quando si dovrà ripartire, i maggiori investimenti ricada o sul bene di bambini e ragazzi. Anche il teatro riparta da lì.” – Titta Ceccano, attore e regista

“Molto semplicemente sto aspettando di tornare a lavorare. Sono molto fortunata e alcuni dei lavori che ho perso sono stati posticipati, altri se ne sono aggiunti, quindi…  La mia è proprio un’attesa. Senza false speranze mi aspetto che il mondo riparta come prima, forse anzi peggio di prima, per la rabbia del reddito perso.Ma ammetto che me la sto proprio godendo questa attesa ” speciale ” in cui tutti siamo in attesa… Un po’ come fosse la pausa estiva quando andavamo a scuola… Ma con una consapevolezza diversa, e una cura diversa per me stessa. La mia percezione del tempo è cambiata in questo periodo, e mi piace di più. Spero di tenerla anche dopo.” – Matilde Vigna, attrice

Make Up - Foto di Amber Avalona da Pixaba
Make Up – Foto di Amber Avalona da Pixabay

Auspici di attori, attrici, registi

“Mi aspetto di uscire migliore di prima, di non dare per scontato il tempo che passa, cerco di capire che ruolo può avere un artista in una situazione come questa, se sia giusto accantonare l’arte e mettersi a servizio della comunità, oppure trovare un modo per rendere “artistico” in disagio, più che domande cerco risposte. Spero in un mondo migliore ma temo che delle differenze sociali si accentueranno. Temo che l’egoismo prevalga sull’altruismo” – Maurizio Rippa, attore e cantante

“L’attesa può contenere il silenzio. Il silenzio può essere prezioso. Io aspetto la cura, come tutti. Altrimenti il teatro, quello vero, non ci può essere. Nel frattempo partecipo a come si può far valere i nostri diritti. Dovrò trovare un altro lavoro, nel frattempo. Il mio lavoro non lo posso fare. E purtroppo fa silenzio anche lo Stato.” – Dalila Cozzolino, attrice

“Non mi aspetto molto. Mi piacerebbe che questa situazione portasse a un qualsiasi cambiamento nelle nostre vite. Ma non sono così ottimista, mi aspetto che non cambi molto e che, dopo un periodo di inevitabile assestamento, tutto riprenderà più o meno come prima.” – Settimio Pisano, organizzatore teatrale

L’abitudine alla noia e la ricerca delle soluzioni

“L’attesa è fondamentale, la noia pure. Ci siamo disabituati ad annoiarci, ad attendere e a trovare soluzioni. 3 grossi ostacoli in un periodo di attesa, noia e pieno di problemi. Siamo noi artisti che dovremmo trovare soluzioni originali e fantastiche ad un problema che nessuno si aspettava: chi meglio di noi che della precarietà e del “giorno per giorno” abbiamo fatto uno stile di vita da sempre?! Io sto pensando a soluzioni, a proposte e idee nuove per poter rivoluzionare il teatro e poterci vivere anche in questo periodo di distanziamento sociale. Come dice Stephen Hawking: “se ti lamenti nessuno ti vorrà aiutare”. Non mi aspetto niente dagli altri, lo vivo come un mio problema, e quindi spetta a me trovare soluzioni. Anni di “teatro di ricerca”…ora bisogna trovare un nuovo modo di fare teatro, e non aspettare che tutto torni come prima. Non aspetto proprio niente, non ho tempo di aspettare. Io devo fare teatro. Presto.” – Lorenzo Menicucci, attore

Smart - Foto di Engin Akyurt da Pixabay
Smart – Foto di Engin Akyurt da Pixabay

“Al netto del dispiacere per morti e malattie e a quello relativo ai danni economici, devo ammettere che, non senza un briciolo d’incoscienza, questa sospensione diffusa, in qualche modo, mi sta piacendo. Mi piacciono i tempi dilatati che posso dedicare a studio, progettazione, scrittura e famiglia; apprezzo l’assenza di continue incombenze che distraggono l’atto creativo. Com’è mia abitudine, non mi aspetto nulla, se non il momento in cui, uscendo, potrò trasformare in azione e materia tutti i progetti che ho elaborato nella tranquillità di quest’attesa che trovo, per molti versi, più umana della normalità che ha sospeso.” – Gianmarco Busetto, attore e regista

L’attesa come processo di riflessione

“L’attesa fa parte di un processo, è un momento di riflessione molto prezioso, per chi ha la capacità di mettersi in ascolto. Mi aspetto che coloro ai quali affidiamo ogni giorno l’organizzazione del nostro esistere e coesistere, abbiano avuto questa capacità. Confido in un incontro “illuminante e illuminato” tra giuristi, artisti (degni rappresentanti della nostra categoria) ed economisti, determinati nel voler risolvere concretamente i problemi del settore dello spettacolo. Che le nostre condizioni  e necessità di categoria, così diverse da quelle di qualsiasi altro settore, non siano motivo di discriminazione ma di valorizzazione e differenziazione.” – Angela Ciaburri, attrice

Rabbia e silenzio

“Personalmente, ma credo come molti, ho passato tante fasi in questa quarantena. All’inizio ho pensato “mah si, due settimane a casa mi permetteranno di fare un sacco di cose con più tranquillità, avrò più tempo per leggere e vedere film e mi riposerò un po’” e in quel momento aspettavo e mi aspettavo che poi tutto sarebbe tornato come prima o quasi. Quando poi ho capito che non sarebbe stato così, ho passato giorni ad arrabbiarmi con tutto e tutti, con tutto quello che leggevo, con chi parlava con troppo allarmismo e con chi la prendeva sotto gamba e aspettavo solo che la situazione migliorasse piano piano. Aspettavo il bollettino insomma. Ora non mi aspetto né aspetto più nulla. Vivo giorno per giorno i momenti più sereni e quelli più impazienti e nervosi, e vivo l’attesa come “a state of mind”, un limbo di stati d’animo alterni che cerco di gestire come meglio riesco.” – Giuliana Vigogna, attrice

“Io sto aspettando in silenzio, osservando, cercando di capire contestualizzando e sperando. Aspetto una fase 0 piu’ che 1,2,3 cosi da poter avviare una rivoluzione culturale e sociale tramite quell’arma cosi sottovalutata che e’ l’ascolto, il confronto e infine sovvertire l’inutilita’ a favore dell’essenziale, del bramoso e del sogno. Ma sono anche un utopista.”– Antonio Monsellato, attore

Attesa - Foto di Harut Movsisyan da Pixabay
Attesa – Foto di Harut Movsisyan da Pixabay

Teatro, attendere ed essere pronti alla partenza

“Io non mi fermo mai realmente ad aspettare, riempio facendo, a volte creando nuove occasioni di attesa che a loro volta riempirò facendo. Mi aspetto, nel tempo, di imparare a fare solo ciò che serve davvero, facendo forse meno, ma dandomi la possibilità di fermarmi, qualche volta, ad aspettare.” – Pietro Dattola, regista

Teatro - Foto di Taken da Pixabay
Teatro – Foto di Taken da Pixabay

“L’attesa è paura del vuoto, paura del vuoto è paura di morire…per quel che ci riguarda l'”artista” sa di essere già morto quindi l’attesa non è uno stato dell’essere problematico. In questi giorni costruiamo nuovi lavori, riflettiamo con i colleghi come ricostruire un sistema teatrale che finalmente mostra i disastrosi risultati di una politica decennale fallimentare e ahimè condivisa da tanti, cerchiamo soluzioni che ci permettano ricominciare a guadagnare senza dipendere da nessuno: teatro all’aperto, microlaboratori…Viviamo, ci formiamo, ci strutturiamo di più… il teatro in questo periodo soprattutto per noi è vita. In questo momento la vita è in primo piano, perché senza la vita il teatro non può esistere purtroppo…la priorità in questo momento è il bambino, l’asilo nel bosco a cui partecipa, una nuova scuola e rinnovo del sistema scolastico. Non aspettiamo, stiamo nell’unico tempo possibile, il presente e pronti a ripartire con la vita e il teatro. Ma un concetto chiave è rinnovo di tutto da parte di tutti.” – Saba Salvemini, regista e attore

I punti di vista delle compagnie, degli attori, dei registi

“Aspetto come al “chi è di scena”: vigile, riscaldato e pronto all’impossibile. Mi aspetto un aumento delle disuguaglianze e delle subalternità (se si aspetterà troppo), e un cambiamento radicale e strutturale (se si giocherà d’anticipo). Sarà questione di timing.”– Compagnia Garofoli/Nexus

“Da titolare di Impresa Culturale il tempo dell’attesa è stato brevissimo. Dismessi i panni di imprenditore, torno ad essere un teatrante con i suoi dubbi, le paure, le proprie perplessità. Il tempo è stato molto più cinico e spietato nel primo periodo di quarantena. Un senso di disagio e destabilizzazione mi faceva essere iper-connesso e iper-attivo nelle quattro mura domestiche. Palestra tutti i giorni; leggevo ma non riuscivo a concentrarmi; mettevo mano a progetti chiusi nei cassetti da anni ma tutto mi sembrava inutile e fuori sincrono con un pianeta che soffriva. Una falena che continua a sbattere ad una lampadina; una biglia d’acciaio che sbatte ai bersagli in un flipper. In realtà ero molto distratto. Poi, un grave lutto in famiglia mi ha fatto ritrovare il centro e il silenzio. La seconda parte della mia quarantena è molto più consapevole. Il tempo lo sfrutto con calma e con una ritrovata serenità. Aspetto senza fretta (grazie al cielo negli anni sono stato formichina!) la riapertura del mio comparto lavorativo e nell’attesa scrivo. Sto riscrivendo una Antigone ragionando sul concetto di compianto dei morti.” – Dario De Luca, attore e regista

City – Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Sospensione, attese e apprendimento

“Aspetto che questo periodo passi, ma nel frattempo non sto fermo, questa sospensione della normalità mi ha portato ad una accelerazione di pensieri, ogni giorno accumulo riflessioni e visioni e imparo a cucinare nuovi piatti. Lo aspetto il dopo, dovrà essere migliore, altrimenti queste morti, questi sacrifici che a diversi livelli stiamo facendo risulteranno vani e sarebbe un fallimento d’umanità. Il teatro italiano è fatto di tante diversità, forse troppe, e allora questo periodo di attesa potrebbe servire a fare chiarezza, a definire priorità, a compattare sensibilità.”– Ernesto Orrico, attore e regista

“Rosario caro, la risposta è tanto istintiva quanto abbastanza semplice, ma questo per me è stato un tempo dell’ozio terapeutico, e non faccio mistero d’aver provato anche un po’ di sollievo tra le macerie di alcune abitudini e “aspettative” crollate, perché ne ho ora ben chiari alcuni inganni, nei quali mi aspetto di non ricadere. È stato un tempo che ha cambiato fortemente me, e anche questo mi aspetto di non dimenticarlo. Non per ultimo, mi aspetto di trovare una reale prospettiva e non cedere alle lusinghe di una mera occasione. Se questo vorrà dire anche qualcosa di diverso da ciò che ho sempre immaginato, ben venga. Chissà che ad aspettarmi non ci sia una più concreta serenità.” – Vincenzo Albano, organizzatore teatrale

Chiudo con un applauso, ce lo meritiamo a prescindere.