Anche lui, pur essendo tutt’altro, ha cercato di passare per “an ordinary man”. Goran Hadzic è stato l’ultimo latitante del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, catturato a Belgrado il 20 luglio 2011.

E’ stato considerato, tra le altre condanne, responsabile del massacro di Vukovar, dove 264 persone di maggioranza croata vennero prelevate dagli ospedali locali e giustiziate. E’ lui, presumibilmente, la figura attorno a cui il regista e sceneggiatore Brad Silberling ha costruito il suo “An ordinary Man”.

“An ordinary man”: Il Generale e la domestica

Il Generale (Ben Kinglsey) è uno degli ultimi criminali di guerra della ex Jugoslavia ad essere ancora libero. Un manipolo di fedelissimi si prende cura della sua sempre più difficile latitanza, e le spire della Suprema Corte per i crimini di guerra de L’Aja si stringono sempre di più intorno a lui. Dopo l’ennesimo trasferimento di casa sicura a Belgrado, al Generale viene affiancata Tanja (Hera Hilmar), una giovane domestica responsabile delle sue cure. La vicinanza tra i due si trasformerà anche nell’occasione di addentrarsi nel privato degli ultimi giorni i libertà di un criminale di guerra.

Un regista multiforme, Silberling. Partito nel 1995 con “Casper” ha visto snodarsi la propria carriera toccando gran parte dello scibile tematico cinematografico, dal dramma melò di “City of angels”, al poliziesco, al tv movie. Un percorso non sempre indimenticabile ma che lo ha portato a quella specifica sensibilità personale che esprime in “An ordinary man”. Nel 2017 è probabilmente passata abbastanza acqua sotto i ponti perché la effettiva per quanto parziale storicizzazione della questione della ex-Jugoslavia permetta al cinema di avvicinarla da un punto di vista più laterale, più attenta alla soggettività dei suoi protagonisti che all’oggettività dei fatti. E Il Generale interpretato dall’al solito ottimo Ben Kingsley è di fatto l’ultimo esemplare di livello della stagione efferata, contraddittoria e terribile dei Balcani dei primi ’90.

No remorse

Un’esemplare dalle ore contate. La pur forte base di sostegno personale e pubblica che a Belgrado ancora lo protegge è fatalmente destinata a piegarsi alla giustizia della comunità internazionale. Per Il Generale è l’ultima delle occasioni per fare in qualche modo i conti con quello che è stato e che continua ad essere. Non che nelle sue ultime ore di libertà si assista a chissà quale didascalica epifania. Il Generale, unico appellativo con cui pretende di essere chiamato, è assolutamente consapevole di quello che ha fatto. E, al netto della latitanza, lo rivendica assumendosene la piena responsabilità. Davanti al suo paese e al suo popolo, in una sorta di dissociazione che fa percepire sé stesso solo ed esclusivamente in funzione di quella che vede come propria patria, dove nemmeno più i nomi delle località sono quelli cui era abituato.

E’ l’arrivo della giovane Tanja, coetanea della figlia lontana e rappresentante della nuova generazione di sostenitori della causa, ma profondamente lontana dalla Weltanschauung del Generale, a minare in qualche modo la provvisoria, sicura quotidianità cui è obbligato. Silberling scandaglia con distacco e senza alcuna forma di giudizio la rigida, militare personalità del criminale di guerra diventato ombra ordinaria. Non c’è traccia di valutazione morale sulla persona, né di relativizzazione di alcunchè. Non è questo lo scopo. La vera domanda che Silbelring sembra farsi e farci verte intorno a cosa possa restare in una persona responsabile di crimini atroci una volta scoccata la sua ora. Ultimo esemplare di una stagione i cui figli hanno scelto strade diverse pur mantenendone le vertenze, al Generale, non resta forse che rifugiarsi un’ultima volta ancora nel proprio passato. Un viaggio a ritroso nella propria storia personale, così stravolta da quelle scelte politiche che lo fanno vivere da lucido fuggitivo da più di vent’anni.

“Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica”

Un’ultima, pericolosa visita al cimitero: non quello dove riposano le molte vittime di cui è responsabile. Perché molti morti non sono che una statistica. Irremovibile cavaliere della propria infausta causa, si reca al cimitero dell’unica morte che percepisce come reale tragedia: quella della propria moglie. La sua è un elegia a un micro mondo che non esiste più, fatto a pezzi dalla morte di un mondo che ha contribuito a distruggere, ma di cui è pronto a rivendicare ogni passo. Apparentemente risolta questa irrisolvibile, inaccettabile condizione, è forse pronto a fare il passo successivo e finale.

Andrea Avvenengo

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