Assassin’s Creed Origins: Recensione InfoNerd

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Di Redazione Metropolitan

Dal primo capitolo ambientato nella Terra Santa, la saga di Assassin’s Creed ha da sempre affascinato i videogiocatori, creando la giusta alchimia tra storia, esplorazione, azione e mistero.
I primi capitoli sono stati un susseguirsi di successi, uno dopo l’altro, la storia però è cambiata dopo il terzo capitolo della saga, ambientato nelle selvagge frontiere americane. Da lì, la storia ha iniziato a perdere quell’alone di mistero che tanto affascinava i fan più accaniti, creando poi capitoli più di nicchia e alla portata di tutti, un contentino così per dire, che aveva ormai data fissa nel fine mese di Ottobre. Dopo Unity poi, il primo capitolo per la saga ambientato su next-gen, non è riuscito a rappresentare quell’evoluzione di cui la saga aveva bisogno, a causa di numerose problematiche strutturali e di idee implementate solo a metà.

La scelta di Ubisoft di cambiare strada rispetto agli ultimi due capitoli, dunque, è quanto mai giustificata: Assassin’s Creed Origins è un open world enorme, affidato ai director dell’ottimo Black Flag e pensato per offrire un ancor più riuscito misto di esplorazione, combattimento e libertà d’azione del solito, il tutto all’interno di una suggestiva ambientazione egiziana nell’era di Cesare e Cleopatra.
Ad una settimana dall’uscita dell’ultimo capitolo della saga degli Assassini, vi parlo di questa fantastica avventura ambientata nell’Antico Egitto.

C’ERA UNA VOLTA IN QUEL DI SIWA

Iniziare la recensione di un videgioco, parlando di trama, ambientazione e personaggi, è un classico; se il videogioco in questione è Origins però, il succo del discorso cambia e la complessità aumenta. Questo accade, non perchè la trama di Origins sia qualcosa di incomprensibile o poco naturale – tutt’altro, in verità il tutto ruota attorno a una trama di base lineare e tutt’altro che incomprensibile – bensì nei molteplici collegamenti alle vicende dei capitoli precedenti, che non voglio in alcun modo svelarvi per non rovinare delle interessanti sorprese. Origins, racconta la nascita della Confraternita degli Assassini, andando a mischiare le carte in tavola create dal primo capitolo che aveva come protagonista l’amato Altaïr Ibn-La’Ahad, e non va preso assolutamente come un enorme ed esaltante prequel bensì come un capitolo che gioca il ruolo di un importante pezzo del puzzle che si proietta verso il futuro in modi inaspettati, e riesce a far ripartire vicende ormai paralizzate da troppo tempo.  Quindi, l’avventura del Medjay d’Egitto Bayek e di sua moglie Aya rientra negli stilemi tipici delle storie di vendetta, eppure gli sceneggiatori di Ubisoft Montreal sono riusciti a sfruttare il tutto con furbizia e ad offrire un significativo ventaglio di opzioni a chiunque dovesse cimentarsi con i prossimi capitoli.

Un’opera magna certo, ma di certo non impeccabile e priva di errori, nel complesso ci troviamo davanti a una trama costruita in modo degno e con più di un personaggio interessante, che come al solito rielabora a dovere le vicende storiche reali in funzione del suo universo e ha più momenti di qualità che cadute di stile.
Una delle tante migliorie, è data però dalle innumerevoli missioni secondarie, e di figure di spicco inserite all’interno di esse. Una scelta ammirevole ispirata ovviamente da The Witcher 3 (che citerò anche in seguito), che pur non essendo riuscita al 100% rende le scorribande di Bayek in Egitto più appassionanti del previsto. Curiosamente, l’opera magna di CD Projekt non ha scosso solo gli scrittori di Assassin’s Creed Origins, ed è arrivata a influenzare tutti gli sviluppatori di Ubisoft Montreal; credere che tutte le novità legate al gameplay derivino esclusivamente dal desiderio di emulare il team polacco sarebbe però un grave errore.

SABBIA NEL DESERTO

Anche una persona senza una grande esperienza videoludica riuscirebbe da subito a capirlo: dopo aver gironzolato e vegato qua e là vestendo i panni di Bayek, la somiglianza e la vicinanza alle avventure del mastro strigo Geralt di Rivia è tangibile ed abbastanza evidente. dopo un’iniziale fase introduttiva dal ritmo abbastanza blando compaiono subito le prime similitudini legate al sistema di combattimento, all’esplorazione a cavallo (la cavalcatura è richiamabile in qualunque momento e centrale quando si tratta di raggiungere rapidamente luoghi lontani) e persino al sistema di quest, con tanto di livello consigliato per il completamento delle stesse. Prima vi dicevo che Ubisoft però, non ha bisogno di emulare completamente il livello polacco, infatti, laddove però il terzo The Witcher resta comunque un titolo dalla marcata componente ruolistica, dotato di dialoghi a scelta multipla e di un’impressionante cura del background narrativo, Assassin’s Creed Origins spinge invece l’acceleratore sull’azione, con una rinnovata enfasi sulle battaglie e l’evidente volontà di essere un compendio di tutte le trovate di design spuntate dai team di Ubisoft nell’ultimo decennio.

Però è il caso di chiarire che Origins mantiene la pecca tipica di tutti gli open world recenti, ovvero una ripetitività di fondo dei compiti correlata a un’interattività limitata del mondo di gioco e a missioni secondarie fin troppo simili tra loro. Ma fallisce miseramente lì dove The Witcher ha trionfato genialmente: aggirando la ripetività con delle sottotrame curatissime e, a volte, più coinvolgenti della storia principale stessa! Origins invece, non ha optato per quest’ultima, ed ha deciso di farlo dando al giocatore un numero sensibile di possibilità di approccio agli scontri, all’interno di quest che fondamentalmente si riducono quasi sempre a un “vai nel posto X e ammazza qualcuno”. Tali approcci derivano direttamente dalle meccaniche viste nell’intera libreria di titoli del colosso francese, con qualche elemento preso di peso da altri videogame noti. Durante tali missione potremmo usare Senu, l’aquila di Bayek, per individuare i nemici nelle varie fortezze e scoprire le loro posizioni, caratteristica analoga possiamo trovarla in Far Cry Primal, usando il gufo del protagonista. Oppure, potremmo decidere di creare scompiglio distruggendo dalla distanza una gabbia contentente un predatore, che ucciderà per noi i nostri nemici, meccanica simile è presente negli ultimi capitoli di Far Cry. Sta a noi però decidere se adottare un comportamento stealth, affidandoci a trappole, stratagemmi ed alla nostra preziosissima lama celata, oppure impugnare spada e scudo e farci breccia con la forza a suon di fendenti!

TIENI LA LAMA LONTANA DAGLI INNOCENTI GIOCATORI

Pur essendo una delle mie saghe preferite, non ho voluto citare solo ed esclusivamente i pregi di questo capitolo, ma vi sono anche diversi difetti.
Sono molte le cose che si possono fare in questo gioco, e anche troppe: volete saltare e rallentare il tempo mirando col vostro arco? Potete farlo. Distrarre i nemici mediante droghe, dardi fumogeni ed animali potenziati? Siete liberi di farlo. Volete meditare facendo passare il giorno ed arrivare subito alla sera, meditando sui problemi dell’umanità ammirando una fantastica luna piena  sulla punta delle piramidi? Ubisoft vi regala anche questo! Tutto buttato nel medesimo calderone, per un sistema che ora della fine risulta tutt’altro che banale e riesce a smorzare in parte la noia del livellaggio nei primi atti. Solo un problema: ogni singolo fattore di questa enorme equazione è imperfetto. Origins è, in parole povere, un gioco dove la finezza non è propriamente di casa, che diverte e offre un enorme buffet ricco di primizie grazie ai suoi sistemi, ma non arriva mai all’eccellenza.

Una cosa che mi ha deluso è stata l’IA dei nemici: i combattimenti soffrono ad esempio di un’intelligenza artificiale abbastanza penosa dei nemici, aggressivi sì, ma mai furbi a sufficienza da non poter essere raggirati con trucchetti vari. Questa stupidità degli avversari influenza poi malamente anche lo stealth, dove si assiste spesso al fenomeno del “trenino” ed è davvero facile sparire e tornare quando le acque si sono calmate, nonostante le guardie tendano a spostarsi rapidamente e in modo inconsulto dopo avervi scoperto. Si poteva fare certamente qualcosina in più cercando di non far sembrare i soldati i soliti bambocci imbalsamati con cui abbiamo a che fare da qualche capitolo a questa parte.
Nell’insieme il gioco funziona ed anche bene, e con qualche rifinitura in più avrebbe potuto raggiungere livelli qualitativi davvero impressionanti. D’altronde gli sviluppatori ci hanno messo un notevole impegno a sparigliare le carte in tavola, inserendo tra la storia principale e le missioni secondarie boss facoltativi, battaglie gladatorie, e scontri “speciali” che riescono a valorizzare le capacità offensive di Bayek.

Ci riesce peraltro difficile capire anche come mai ci siano stati alcuni passi indietro legati a sistemi già inseriti in modo funzionale nella serie: lo stealth (una modalità base del gioco) non ha più le coperture e il chiaro campo visivo visti in Unity e Syndicate, in favore di un ritorno ai cespugli e agli assalti dall’alto; i momenti investigativi invece richiedono ora solo di attivare il sesto senso di Bayek alla ricerca di indizi nelle vicinanze, senza soluzioni multiple né enigmi validi. Il tutto mi fa capire come alcuni “ingredienti”, meccaniche base del gioco siano regredite ad un punto tale, da diventare imperfezioni ben visibili agli occhi di un giocatore, e il team non abbia avuto il tempo – o le capacità – per fare ciò che voleva realmente fino in fondo.

PICCOLI DETTAGLI CHE FANNO LA DIFFERENZA

Seppur la spinta all’intuitività ad ogni costo abbia influenzato tutto il lavoro di Ubisoft Montreal, non mancano elementi molto rifiniti in questo frullatone egiziano. La corsa delle bighe, ad esempio, è un’attività secondaria che ben si sposa ai combattimenti nell’arena, e spezza degnamente il ritmo tra una quest e l’altra; la cura riposta nel già citato free running, inoltre, è ancora una volta magistrale, e Bayek si muove con un’agilità incredibile nelle complesse mappe del gioco. il lavoro fatto sulla mobilità del protagonista resta eccezionale: che ci si trovi in una zona montuosa o in una magnifica città dell’antico Egitto non fa differenza, la sensazione di fluidità e naturalezza è sempre la stessa.

Tra gli elementi meritevoli di lode è senza dubbio il caso di infilare anche gli extra legati all’esplorazione, perché Assassin’s Creed Origins è pieno di segreti, e tra sontuose piramidi, quest avanzate e interessanti indizi da scoprire non sarà facile completarlo al 100%. Sulle tombe dei faraoni e sulle location segrete si poteva fare indubbiamente un lavoro più ricco – non troverete mai ad attendervi rompicapo realmente impegnativi – eppure resta piacevolissimo scoprire passaggi nascosti, tombe mai svelate e tesori sepolti mentre si passeggia a casaccio nelle enormi regioni del gioco.

IL FASCINO DELL’EGITTO

In Assassin’s Creed Origins ci si muove all’interno di un Egitto che riesce a fondere alla perfezione la solennità di alcune delle più grandi meraviglie mai costruite dall’uomo e le necessità dei game designer. È incredibile come gli artisti di Ubisoft Montreal siano stati in grado di donare a una mappa coperta in larga parte dalla sabbia una varietà di ambientazioni che a tratti fa impallidire alcuni dei migliori capitoli della serie: non vi è una città egiziana uguale all’altra, e tra miniere saline, oasi verdeggianti, brutali deserti, zone montuose e monumenti maestosi non ci si può proprio lamentare.

I bug non mancano – Ubisoft non è certo nota per il suo testing impeccabile – e alle volte ridicolizzano momenti piuttosto drammatici, ma devo dire di non aver mai beccato roba realmente grave al di fuori di una quest secondaria completamente bloccata (e comunque resettabile in qualunque momento) o di qualche transizione mal riuscita all’interno delle missioni principali. Persino il sonoro è di gran qualità, con musiche di sottofondo variegate che riescono a dare quel tocco di etnicità ed esocità che rispecchia la regione presa in questione, viaggiano tra melodie moderne e i temi noti della saga, e un doppiaggio notevolissimo in lingua originale (il gioco è localizzato degnamente anche in italiano, ma le variazioni di pronuncia a casaccio sono così tante da risultare quasi comiche).

Tutto sommato il gioco, ha beneficiato, e anche molto regalandoci un’avventura completamente nuova e maestosa, calandoci nei panni di un protagonista eccezionale, carismatico e tenebroso, facendoci vedere attraverso i suoi occhi tutto lo splendore ed il fascino dell’Egitto! Ora, vi lascio con un video della prima ora di gioco, sperando che possa rendervi più chiare le grande potenzialità di questo gioco!

Raffaello Caruso