Occhi puntati, dunque, sul taglio del cuneo fiscale, ovvero sull’intervento sulle retribuzioni lorde con tetto 35mila euro, che entrerà in azione da luglio a novembre. L’aumento medio mensile potrebbe oscillare tra 80 e 100 euro in busta paga. Il taglio al cuneo fiscale e contributivo salirà di ulteriori quattro punti per i lavoratori con retribuzioni lorde fino a 35mila euro.
Ma attenzione, c’è un elemento che forse non è stato evidenziato a dovere nei giorni scorsi. L’intervento ipotizzato nel decreto lavoro (e bisogna in ogni caso aspettare il testo definitivo in gazzetta ufficiale) è una tantum e varrà per il periodo luglio-novembre, dunque cinque mesi, anziché gli otto mesi (maggio-dicembre) originariamente previsti dal governo (che sperava di riuscire a uniformare il taglio di 4 punti per tutti fino a fine 2023).
Quanti euro in più del previsto si vedranno in busta paga?
Secondo le simulazioni dello studio De Fusco Labour & Legal, riportate oggi dal Sole 24 Ore, “per un lavoratore con una retribuzione di 25mila euro, la riduzione del 2% del carico dei contributi previdenziali che gravano sul dipendente, operata dal governo Draghi e confermata al rialzo (con un punto in più) dal governo Meloni ha prodotto un beneficio di 41,15 euro mensili, ma considerando che l’ulteriore taglio del 4% produce un vantaggio di 54,87 euro, il totale del risparmio per il lavoratore ammonta a 96,03 euro mensili, la cifra proiettata su 5 mesi di durata dell’una tantum equivale a 480,13 euro”.
Nel caso di un lavoratore con una retribuzione annua di 20mila euro, gli interventi dell’esecutivo Draghi confermati con una maggiorazione dal governo Meloni producono un vantaggio di 32,92 euro, con l’ulteriore sforbiciata del 4% del cuneo arrivano ulteriori 43,90 euro, quindi in totale il vantaggio per il lavoratore è di 76,82 euro mensili, proiettati sui 5 mesi dell’anno sono 348,10 euro.
Cos’è il taglio del cuneo fiscale
Il cuneo fiscale, secondo la definizione fornita dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), è “il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore”. In parole più semplici, si tratta della differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro per il dipendente e la busta paga netta incassata da questi.
In Italia il cuneo fiscale è ancora molto alto, come dimostrano i dati sul cuneo fiscale pubblicati dall’Ocse nel rapporto Taxing Wages 2019. A fronte di un valore medio del cuneo fiscale nei 36 Paesi Ocse pari al 36,1%, l’Italia occupa il terzo posto. Un singolo lavoratore senza figli a carico è sottoposto ad un cuneo fiscale del 47,9%, di cui il 16,7% è rappresentato dalle imposte personali sul reddito ed il restante 31,2% dai contributi previdenziali, di cui una parte è a carico del lavoratore (7,2%) e l’altra del datore di lavoro (24%)