Sono passati dieci anni da quel terribile 3 ottobre 2013, quando 368 persone, per lo più donne e bambini eritrei, persero la vita in un naufragio al largo di Lampedusa. Sono passati dieci anni dal terribile naufragio di Lampedusa. Non il primo e non l’ultimo, ma sicuramente una delle stragi del Mediterraneo che colpì di più l’opinione pubblica, portando alla ribalta la tragedia umanitaria di migliaia di persone che rischiano tutto per fuggire in Europa. Il 3 ottobre 2013, 368 migranti morti a Lampedusa, a pochi passi dall’Isola dei Conigli, ricordato tramite l’istituzione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza.
Di fronte all’Isola dei Conigli, per segnalare la loro posizione, incendiarono una coperta. Le fiamme si propagarono subito: 368 i migranti morti; 155, fra cui sei donne e due bambini, i salvati. “Viene la parola vergogna: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie”, disse quel giorno stesso Papa Francesco.
Le celebrazioni del 3 ottobre, successivamente istituite dalla legge 45/2016, ricordano i morti del naufragio e i tanti migranti che ancora attraversano il Mediterraneo. Gli sbarchi continuano senza soste, mentre grandi, medie o piccole stragi raccontano lo strazio senza fine dei viaggi della speranza tra le coste meridionali e settentrionali di questo mare che da culla di culture è diventato, suo malgrado, un enorme cimitero.
Sono oltre 28mila i migranti morti nel Mediterraneo dal 2104 ad oggi, stando ai dati di Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità). Tra le vittime, 1.143 erano minori. Nell’ultimo decennio, gli eventi fatali avvenuti durante la traversata del Mediterraneo Centrale verso l’Italia rappresentano mediamente il 76% del totale eventi accaduti su tutte le rotte, con proporzioni particolarmente elevate negli anni 2014 (95%), e negli anni 2016 e 2017 (90%). Anche il 2023, non ancora concluso, registra quasi il 90% degli eventi fatali nel Mediterraneo Centrale.