Sabato scorso noi di InfoNerd eravamo alla fumetteria Freekomix per la presentazione di Dragonero 70 da parte di Fabrizio Galliccia, disegnatore della serie dal 2015. In quell’occasione abbiamo avuto modo di parlare con lui e farci raccontare come sia la vita da fumettista
In un mondo dove tutti ti dicono che “avresti dovuto fare l’ingegnere”, come motiveresti le persone che sentono dentro se stesse di voler fare il disegnatore?
Fondamentalmente una persona fa questo lavoro perché non ha alternative. È la necessità di disegnare ed esprimersi attraverso il disegno, di raccontare attraverso il disegno, che ti spinge a farlo. Una persona lo fa punto e basta. Poi se sei fortunato riesci anche a farlo diventare un lavoro.
Quindi tu sei stato anche fortunato!
In effetti io sono stato fortunato sia con le persone che con le case editrici. Ho iniziato con la Nicola Pesce Editore, e il mio esordio è stato su “Heavy Bone” di Enzo Rizzi. E là è stato divertente perché si parlava di uno zombie metallaro killer di rock star.
Esordendo con quello, poi ho avuto la possibilità di vedere apprezzato il mio lavoro. In seguito ho lavorato per l’Editoriale Aurea e Star Comics. Per Star Comics ho lavorato per Giuseppe Di Bernardo sul numero 5 di “The Secret” con la copertina di Emanuela Lupacchino.
Con Giuseppe è stata una bellissima esperienza perché lui, oltre che essere un bravissimo sceneggiatore, è un bravissimo disegnatore, e lavora su “Diabolik”.
Conoscendo lui bene tutte le parti anche del lavoro sui disegni, mi ha aiutato e mi ha corretto. Mi ha fatto indubbiamente crescere tanto. Poi ho lavorato tanto anche con Lorenzo Bartoli, che purtroppo è venuto a mancare, e in quel caso è stato un bellissimo rapporto anche umano perché era una persona fantastica.
Un genio fuori dal comune, un vero e proprio poeta del fumetto. Dopo ho lavorato sempre per l’Editoriale Aurea con Giovanni Masi, portando a casa la mia prima miniserie disegnata completamente da me, “Axel Ardan”. Ventiquattro episodi serializzati su Skorpio.
Il soggetto, mio e di Giovanni (sceneggiatura completamente di Giovanni e disegni completamente miei anche per quel che riguarda le copertine), è stata una bella esperienza nel suo essere una “maratona”, perché comunque sono state più di 200 pagine pubblicate nell’arco di un anno.
Dopodiché, sempre con Giovanni, abbiamo fatto un’altra miniserie di 12 episodi, “Diana Wicce”, che era un fantasy questa volta. Quella di cui parlavo prima, “Axel Ardan”, invece ha un’ambientazione di fantascienza distopica, con sumeri e scafandri.
Infatti proprio su questo tema io avevo una domanda: io sono una grande appassionata di fantascienza, in realtà più di fantascienza che di fantasy, e vedendo le tavole di “Axel Ardan” e la sua storia mi chiedevo se tu ti fossi ispirato a Clive Barker.
Guarda, in realtà non credo che ci sia un riferimento. Spesso prendi ispirazione e non te ne rendi conto, poiché hai un bagaglio visivo di migliaia di immagini e migliaia di storie e queste si incastrano inevitabilmente. Quindi in realtà le tue idee sono la summa e la rielaborazione di quello che hai già visto.
Invece tu, Fabrizio Galliccia, qualche incursione nella sceneggiatura l’hai mai fatta?
Solo con “Axel Ardan” dove ho dato una base di idea per il soggetto.
Quindi anche tu un appassionato di fantascienza!
Là in quel momento avevo voglia di raccontare qualcosa di fantascienza retrò, un po’ alla Flash Gordon, e quindi mi piaceva anche l’idea di questi scafandri, sumeri, questa tecnologia sumera basata sull’elettricità, le pile di Bagdad che si rincastravano in questo mondo e l’idea di fusioni tra gli universi.
C’è un po’ questa costante nel tuo lavoro che ho notato: il fantastico in tutte le sue sfumature. Si passa dall’horror anche con delle venature ironiche, si attraversa la fantascienza e poi si arriva al fantasy, di cui proprio oggi celebriamo un esempio che è “Dragonero 70”. Allora mi chiedo se questo sia un caso – magari si lavora molto di più con il genere fantastico anche se ti fa schifo (rido) – o se in realtà sia qualcosa che fa parte del tuo bagaglio anche di appassionato.
L’ambientazione di fantasy e fantascienza mi è sempre piaciuta, e io da quando ho 11 anni gioco di ruolo. Come tutti i giocatori del mio periodo li abbiamo provati tutti, dal cyberpunk al classico fantasy, da “Il Richiamo di Cthulhu”, a “Vampires The Masquerade”. Nasco però come giocatore fantasy di “Dungeons & Dragons” scatola rossa anni ’80 – ’90; e infatti lavorare su “Dragonero”, cosa a cui arriveremo dopo, è il sogno del bambino che si faceva la scheda del guerriero.
Per arrivare a “Dragonero” immagino che ci sia stato un lavoro e una preparazione non indifferente…
Mille tavole di gavetta!
Abbiate fiducia voi lettori che volete imbarcarvi nel mestiere: forse anche voi dopo la millesima tavola ce la potrete fare!
E poi comunque ci sono tanti altri autori, colleghi, a cui devo tanto. Loro mi hanno insegnato molto. Massimo Rotundo, Cristiano Spadoni, ecc. Per “Dragonero” poi, oltre a tutto il lavoro fatto per gli altri editori, ci sono state anche tante tavole di prova. Tanto lavoro per riuscire a raggiungere un segno e riuscire a prendere i personaggi e farli come era necessario che fossero.
Immagino anche che ti sia stato chiesto rielaborare il tuo stile e magari adattarlo…
Fino a un certo punto, perché comunque penso che il mio stile sia sempre stato abbastanza riconoscibile, e chi vede le mie cose di 10 anni fa riconosce comunque lo stesso autore. Mi sono corretto su molte cose, ma comunque alla fine penso che sia abbastanza riconoscibile.
E da persona appassionata di fantasy ti ci ritrovi nel fantasy di “Dragonero”?
Prima di essere un disegnatore di Dragonero sono stato anche un lettore, tra le altre cose Giuseppe Matteoni, che ha lavorato su “Dragonero – Le origini” nel 2007 per le Grandi Storie, è stato anche uno dei miei insegnanti alla Scuola Romana del Fumetto. Ho visto il progetto di “Dragonero” crescere e mi ci sono appassionato da subito. Anche perché in Italia non c’era quel genere di fantasy.
Io so che tu sei anche un insegnante. Raccontaci un po’: come è la tua esperienza in questo ruolo?
Prima di tutto tiri fuori il naso dallo studio che comunque è già qualcosa (ride). Però in generale è divertente. È divertente perché serve anche a te per crescere: spesso durante le lezioni capita che loro facciano delle domande a cui tu non ti sei mai dato una risposta. La lezione non è un immenso monologo e ti ritrovi te a dover cercare di dare un senso a quello che pensi nel momento in cui devi rispondere a ragazzi che ti fanno domande che non ti aspetti. Quindi spesso ragioni con loro.
Ti ritrovi nel ruolo di insegnante, te lo senti tuo?
Questo te lo devono dire loro (indica le sue allieve che incautamente hanno deciso di venire a trovarlo alla fumetteria Freekomix per poi essere partecipi della diretta video di questa intervista).
Io, visto che ora si è parlato di fantasy e di “Dragonero” nello specifico, ho una domanda da farti. Come accennato prima, non sono una grande amante del fantasy per varie ragioni, ma mi sono avvicinata a “Dragonero”. Leggendolo ho notato che i personaggi e gli abitanti del mondo in generale parlino spesso di divinità come se esse esistessero alla stregua di entità antropomorfe, ma poi le manifestazioni soprannaturali che vediamo accadere derivano sempre dalla natura come entità spirituale. È una mia impressione o me lo confermi?
Su questo non posso risponderti per contratto (ride).
Ma com! L’unica domanda un po’ più complicata che ti faccio e non mi puoi rispondere!?
Allora ti rispondo da lettore: i khame (le divinità del mondo di “Dragonero”) si sentono, la loro presenza si percepisce nella quotidianità dei personaggi, ma in effetti questi non appaiono mai. Non si sono mai visti, ma chissà se li vedremo?
Questo è un indizio!
(ride) Chissà se sì o chissà se no! Calcola che quando non so rispondere dico sempre che per questioni contrattuali non posso!
In futuro pensi di fare qualche incursione in progetti che non appartengono al genere fantastico, di cui sei così appassionato?
Non si esclude, però per il momento sto bene così. Io disegno i draghetti, sto tanto bene (ride)!
(Una voce fuoricampo: io vedo bene Fabrizio Galliccia in Topolino, “Wizards of Disney” ahahah!)
Poi io ho una libertà espressiva che non è facile avere. Non c’è in tutte le serie la possibilità di sfondare la gabbia come e quando voglio.
Quindi “Dragonero” è una serie che lascia il disegnatore libero…
Sì, è una serie molto sperimentale. Guarda, ti faccio vedere una tavola per farti capire. Ero abbastanza convinto che me l’avrebbero bocciata, questa è una tavola che viene direttamente dall’ultimo numero uscito in edicola, “Dragonero 70”.
In questa tavola c’è l’ascia che sfonda la gabbia e si va a piantare fuori dall’ultima vignetta. Io pensavo che non me l’avrebbero fatta passare, ma visto che il lettore era in grado di leggere tutto e poi aveva un senso all’interno di una sequenza di combattimento è stata approvata. Questa è una cosa che nel classico fumetto bonelliano di solito non si vede troppo, come le tavole che escono a fine pagina.
Questa è una cosa che trovo molto interessante perché significa che nonostante tutto la Bonelli è una casa editrice che lascia ancora, almeno su “Dragonero”, spazio alla sperimentazione.
Non solo su “Dragonero”! Su “Dragonero” ti parlo della mia esperienza, ma questa è una caratteristica anche di altre. Per esempio su “Orfani” c’è stata una sperimentazione completa, dal colore al tipo di taglio che gli è stato dato.
Se uno guarda un po’ il tuo curriculum vitae scopre che tu hai lavorato anche nel mondo della pubblicità, del cinema, ecc. Ti trovi bene in quel mondo come in quello del fumetto?
È un lavoro diverso. In quel caso si parla prettamente di storyboard. Vai a fare una pre-visualizzazione del girato: disegni la scena per gli addetti ai lavori. Nel cinema italiano non è usatissimo, anche se si sta usando molto negli ultimi tempi e spesso si utilizza nel caso di scene particolarmente complicate. Quando ci sono scene di azione, scene di massa, o con movimenti particolari, si usano gli storyboard affinché si abbia una linea guida del movimento degli attori e delle macchine. Spesso vengono fatti anche solo per capire che tipo di attrezzatura serva per girare una scena.
I due mondi si sono influenzati a vicenda nel tuo lavoro? Pensi che il fumetto abbia giovato di questa tua esperienza nel modo in cui magari questa esperienza ha giovato del fumetto?
L’esperienza nel fumetto mi ha dato molta velocità nel fare storyboard, quindi ho ottenuto una manualità che altrimenti sarebbe difficile avere. Dall’altra parte invece lo storyboard mi ha aiutato tanto nella regia, poiché negli storyboard il disegno non deve essere definitissimo, ma deve avere una regia molto chiara, e questa cosa l’ho portata anche nel fumetto.
So che tu hai lavorato anche a John Doe, e recentemente ho scoperto che è stato tratto un gioco di ruolo dal fumetto. Lo hai provato? Magari facciamo qualche sessione?
Ancora no, ma mi piacerebbe tanto!
C’è qualche domanda che vorresti che ti fosse fatta?
Non posso rispondere per motivi contrattuali (ride).
InfoNerd, insieme a tutto il Metropolitan Magazine Italia, ringrazia di cuore Fabrizio Galliccia per essersi concesso per un’intervista durante la sessione di firmacopie di Dragonero 70 alla fumetteria Freekomix.
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