Si spegneva il 3 agosto del 1667, a Roma, Francesco Borromini, una delle personalità più importanti del Barocco romano e internazionale. Giunto a Roma dal Canton Ticino, Borromini conquistò la sua posizione tra i grandi del Barocco con lunghi tirocini da Milano a Roma, città nella quale affiancò il “rivale” Gian Lorenzo Bernini nella realizzazione del Baldacchino di San Pietro, e nell’impresa di Palazzo Barberini. Una rivalità quella con il Bernini che segnò profondamente l’artista, portandolo ad un progressivo isolamento.
Francesco Borromini a Milano e Roma
Diversamente da Gian Lorenzo Bernini, cullato fin da subito da papa Urbano VIII, Francesco Borromini seguì un percorso molto più arduo e faticoso per raggiungere il meritato successo che egli ottenne, per lo più nella parte centrale della sua carriera e dopo la morte. Originario di Bissone, città del Canton Ticino, dove nacque nel settembre del 1599, si trasferì all’età di nove anni in Lombardia. A Milano iniziò una serie di apprendistati, tra cui quello presso la fabbrica del Duomo. Nel 1619 si trasferì a Roma dove, come in Lombardia, seguì un apprendistato come scalpellino, sotto la guida di Carlo Maderno.
È di quest’ultimo il progetto di Palazzo Barberini, al quale lavorò anche lo stesso Borromini, con lo scalone elicoidale. Presso il cantiere di Palazzo Barberini, l’architetto iniziò una collaborazione con Gian Lorenzo Bernini. Collaborazione che ritroviamo nella realizzazione del Baldacchino di San Pietro e che finì con quest’ultima opera.
La chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane
Il successo Borromini lo ottenne qualche anno più tardi, nel 1934, quando gli fu commissionato il progetto per la chiesa del convento di San Carlino alle Quattro Fontane. L’ambiente, che è di un’artificiosità tecnica incredibile, è organizzato attorno ad un chiostro rettangolare. Quest’ultimo ha gli angoli convessi, quindi la struttura non è più la classica struttura rigida a cui si era abituati. L’interno invece, di forma ellittica, possiede quattro nicchie che, aprendosi, creano un originalissimo trapasso dalle superfici concave a quelle convesse.
Per quanto la struttura possa esser definita, a ragione, innovativa, il capolavoro di Borromini è la cupola della chiesa. Di forma ovale, è collegata all’abside tramite pennacchi. I cassettoni, che si stagliano sulla superficie concava e che presentano quella singolare forma che richiama le cellette di un alveare, vanno restringendosi verso la sommità, facendo così sembrare la chiesa più alta di quanto non lo sia in realtà. A questo si aggiunge un’illuminazione uniforme, ottenuta grazie a fonti di luce che provengono non solo dall’alto ma anche dalle finestrelle che si aprono dietro al fregio della cupola.
Dall’Oratorio dei Filippini a Sant’Ivo alla Sapienza
Dopo Il San Carlino, Borromini fu scelto per la costruzione dell’Oratorio dei Filippini per la Chiesa Nuova. Qui ritroviamo nuovamente l’alternanza di forme concave e convesse, che possiamo osservare nella facciata. Nella parte superiore di quest’ultima troviamo al centro la nicchia che è contratta verso l’interno e richiama il motivo a cassettoni usato da un grande artista rinascimentale, Bramante, che Borromini poté studiare nei suoi anni milanesi. D’altronde è tipico dell’architettura borrominiana il ricorso ad elementi rinascimentali, che però vengono presi singolarmente e inseriti all’interno di un diverso ordine di rapporti. Una procedura che ha il suo apice nell’altro grande progetto di questi anni, Sant’Ivo alla Sapienza.
Quest’ultima fu commissionata a Borromini all’inizio degli anni ’40. La forma, di derivazione barberiniana, è data dall’unione di due triangoli equilateri. L’interno è dominato dalla maestosa cupola che, tramite l’alternanza di sporgenze e rientranze, sembra espandersi e contrarsi. L’illuminazione è inoltre uniforme come nel San Carlino, poiché proviene dall’alto, tramite l’altissima lanterna, e dai lati grazie alle finestre che troviamo sopra la trabeazione. L’esterno della cupola è composto da un imponente tamburo convesso su cui si stagliano la sopracitata lanterna e la spirale.
Gli ultimi lavori di Francesco Borromini
Con l’inizio del pontificato di Innocenzo X, nel 1644, Borromini divenne l’architetto principale in città. Il lavoro più importante fu sicuramente il rinnovamento degli interni di San Giovanni in Laterano. La volontà del pontefice era quella sì di rinnovamento, ma anche di mantenimento della struttura rinascimentale. Borromini riuscì ad esaudire le richieste del papa grazie alla sua flessibilità tecnica, di cui abbiamo dimostrazione nella grande navata centrale e nelle navate minori composte da cupole e volte a botte e ribassate.
Dopo l’ascesa al pontificato di Alessandro VII, nel 1655, Borromini trovò sempre meno spazio e, caduto in una forte crisi psicologica, morì suicida, a Roma, il 3 agosto 1667.
Riccardo Malarby
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