“Gli eroi non muoiono mai”, opera prima dallo stile unico di Aude Léa Rapin

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

“È bello raccontarsi delle storie. Sono sempre meglio della vita”. Così recita il personaggio interpretato da Adele Haènel nel film “Gli eroi non muoiono mai”, colpendo in pieno il cuore tematico della pellicola e lo spettatore che la guarda in questo particolare periodo storico. Il film del 2019 di Aude Léa Rapin, disponibile da noi fino al 15 Febbraio sulla piattaforma del MyFrenchFilmFestival, è una lettera d’amore al cinema. In particolare al documentario, strumento che ci permette da secoli di raccontare storie reali che altrimenti sarebbero dimenticate. Presentato in una proiezione speciale alla Semaine de la critique di Cannes 2019, l’opera della regista francese è un on the road sulla ricerca della propria identità.

Il personaggio centrale della vicenda è Joachim. Un giorno il trentacinquenne francese fa un incontro molto particolare: per le strade di Parigi un mendicante lo insulta e lo chiama con il nome di un soldato bosniaco, Zoran, morto il 21 Agosto 1983. Strana coincidenza, perché questa è proprio la data di nascita di Joachim, che in seguito a questo incontro inizia a fare strani sogni in cui tortura delle persone e a maturare ricordi che non gli appartengono. Sempre più confuso e convinto di essere una reincarnazione di Zoran, Joachim decide di intraprendere un viaggio per la Bosnia. Con lui l’amica documentarista Alice, un cameraman e una microfonista, alla scoperta del mistero e della sua presunta vita passata.

Trailer del film sottotitolato in inglese

Lo stile unico della Rapin

“Gli eroi non muoiono mai” è l’opera prima della Rapin, che si fa subito notare con un lungo che usa un linguaggio molto particolare. La regista, proveniente dal mondo del documentario, ha infatti deciso di strutturare il film come un finto documentario. Dietro alla macchina da presa che segue i nostri protagonisti c’è un personaggio che non vediamo mai, Paul. Con Alice e Joachim vediamo invece la microfonista Virginie. Stilisticamente l’esperimento della Rapin è sicuramente riuscito. Realistici i piani sequenza e i tagli operati fra le varie inquadrature, a dare proprio l’impressione di aver filmato estemporaneamente una situazione reale come si fa per un documentario. Ad aiutare a rendere verosimile l’operazione sono anche le grandi interpretazioni di Adèle Haenel e Jonathan Couzinié.

Proprio lo stile documentaristico, che mette subito di fronte alla dimensione umana del racconto, aiuta lo spettatore ad entrare in una vicenda che ha dell’assurdo, e che arriva a toccare tinte grottesche in alcuni punti della narrazione. Tutti condividiamo i dubbi di Alice, e allo stesso tempo tutti empatizziamo con Joachim. La regista parte da un aneddoto che le era realmente accaduto, ovvero l’incontro con un mendicante che appellava i passanti con nomi inventati, per parlare, almeno apparentemente, di reincarnazione. In verità la reincarnazione è solo un pretesto per lei, perché i veri temi di questo lungo sono la ricerca dell’identità e, soprattutto, la morte.

Adèle Haenel e Jonathan Couzinié in "Gli eroi non muoiono mai" - Photo Credits: Les Films du Worso
Adèle Haenel e Jonathan Couzinié in “Gli eroi non muoiono mai” – Photo Credits: Les Films du Worso

“Gli eroi non muoiono mai”: i temi principali del film

E in questo senso non è casuale la scelta della Bosnia come teatro del film. La Bosnia è un luogo dove la morte è sempre nell’aria. Il peso delle morti avvenute durante la guerra degli anni ’80’90 è ancora attuale, come vediamo nel film. Si tratta di un luogo che è ancora teatro di guerra, e lo vediamo più volte durante la narrazione. Le mine inesplose sono ancora nel bosco, e già appena i protagonisti entrano nel Paese, vediamo i palazzi bucherellati da spari e bombe, che sembrano quasi un groviera.

Aude riflette su come la morte influenza la nostra vita, la vita di un paese e la vita di chi non sa se vivrà ancora a lungo. Ma anche di come la morte influenza le vite degli altri. Quello di Joachim infatti parte come un viaggio per trovare se stesso, come il più classico degli on the road, ma si proietta verso una riflessione più profonda che va all’esterno, verso gli altri. Bellissimo il discorso che, verso il finale, la regista fa pronunciare all’ispirata Adèle Haenel, il cui personaggio rappresenta chi resta, chi è dall’altra parte. Ma il film, ancora di più, racconta quanto sia importante scoprire e abbracciare la propria identità. E ciò è possibile solo vivendo a pieno la propria vita e cercando risposte a domande che vengono dal profondo del nostro animo.

Adèle Haenel in "Gli eroi non muoiono mai" - Photo Credits: Les Films du Worso
Adèle Haenel in “Gli eroi non muoiono mai” – Photo Credits: Les Films du Worso

Non solo lati positivi

La regista francese è in grado di creare un’atmosfera unica, aiutata dal genere, dal tipo di inquadrature e dalla musica bosniaca, che accompagna alcuni dei momenti più importanti del film. Tuttavia non mancano dei difetti nell’opera prima della Rapin. Infatti pur essendo ben costruita, dalla seconda metà in poi gli eventi che portano al climax finale sembrano non incastrarsi alla perfezione, offrendo una “risoluzione” un po’ semplicistica. In questo viene fuori l’ingenuità di una regista ancora al suo primo film.

Aude avrebbe potuto fare un lavoro migliore sulla crescita della vicenda, ma anche su semine e raccolte. La catarsi finale, però, conserva nella sua semplicità una grande potenza. Lo spettatore si ritrova a riflettere insieme ai protagonisti che passeggiano nelle campagne, trascinato dall’evocativa canzone bosniaca in sottofondo. “Gli eroi non muoiono mai” è un film di certo non perfetto. Ma grazie a spunti di riflessione ed originalità stilistiche, fa emergere una regista dal cui futuro ci aspettiamo tanto.

Paola Maria D’Agnone

Seguici su MMI e Metropolitan Cinema.