Nell’opera più significativa dello scrittore tedesco Hermann Hesse, un uomo, emblema del Siddharta, compie un suo viaggio interiore: s’immerge nel fiume, ascolta il suo rumore, il canto degli uccellini, percepisce da quell’apparente silenzio, l’apoteosi, la pace dei sensi, sentendosi in perfetta simbiosi con la natura circostante.
Hesse, Siddharta: il dialogo introspettivo dell’uomo nel suo viaggio interiore
Siddharta, nella ricerca di sè stesso e della felicità, interroga il proprio io interiore, si pone tanti interrogativi, ma si riesce a dare poche riposte: tipico del viaggio adolescenziale, di chi deve conoscere bene il mondo, ricercando la verità, in una sfrenata corsa alla ricerca di sè stesso.
Il protagonista del romanzo, seppur errando, non ricerca la verità, nel volto della statua del Buddha, bensì nella moltitudine delle genti comuni, ovvero “nei mille volti cangianti”: quando si accorge che l’agognata riposta alle sue domande, non risiede nella realtà, poichè la vera felicità non risiede nei beni materiali della realtà, come l’amore carnale della bella Kamala, o nelle ricchezze del mercante Kamaswani, che donano solo una falsa, effimera felicità, allora realizza che la vera felicità risiede in una dimensione spirituale, ove in perfetta simbiosi con la natura, la propria anima è unita a quella del mondo: si raggiunge così il Nirvana, la pace interiore, la purificazione.
Il fiume come meta del viaggio interiore verso il Nirvana
Il Siddharta, nella sua ricerca dell’effimera felicità materiale, nell’amore carnale di Kamala, si accorge che sta errando, a lasciarsi carpire dalla “bramosia delle carni”, e ricerca nel fiume la salvezza della redenzione dal peccato carnale: il suo saggio amico Govinda, gli impartisce una lezione di vita: “l’uomo puro può cadere nel peccato, ma l’uomo saggio deve imparare dagli errori“, non deve cercare la redenzione, nella morte, ma nel raggiungimento dell’ apoteosi con la natura, nell’immersione nel fiume.
L’immersione nel fiume è la meta del lungo viaggio dell’uomo, simboleggia il raggiungimento del Nirvana, il paradiso induista, che per i buddisti si raggiunge nell’immersione nel fiume Gange, fiume sacro, ove chiunque vi si immerga attraversa una purificazione interiore e rinasce.
Hesse, il Siddharta: il viaggio interiore verso il Nirvana per la salvezza dell’anima
La fuga del figlio di Siddharta, prototipo della contestazione giovanile, ovvero della gioventu’ che si ribella agli ideali rigidi delle figure genitoriali borghesi, suscita nel protagonista dell’ononimo romanzo, una pochezza di sentimenti, “amaro era il sapore del mondo”, ovvero la vita appare vuota di sogni di desideri, di gioia e di dolori, proprio quando si è dilaniati dalla sofferenza e dalla bramosa ricerca dell’io interiore, ovvero della beatitudine.
Il Siddharta, rimembrando nella fuga del figlio, il dolore provato, da lui stesso nella fuga dalla sua famiglia, lenisce “le ferite dell’anima” nel fiume, simbolo del Nirvana, dove come Buddha, riceve “l’illuminazione“, ritrova il proprio io interiore, che per Schopenauer risiede nell’irrazionalità, nelle cose in sé, e non nella rappresentazione fenomenica della realtà, ove tutto è razionale, legato da una relazione di causa ed effetto. Nel romanzo di Hesse, Siddharta si sente “parte del tutto”, parte di un’anima collettiva, aliena il suo essere, si immerge nel fiume, sentendosi in perfetta simbiosi con la natura, e tutto il mondo intorno sembra fermarsi, il tempo diventa illusorio, passato e futuro si fondono in un eterno presente.
Marina Lotito
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