Hollow Knight – Di cose oscure ed inquietanti

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Di Redazione Metropolitan


“Hai giocato questo gioco?” “si l’ho giocato”.
In teoria questo scambio di battute dovrebbe essere scorretto.
Grammaticalmente un gioco non può essere giocato come un libro può essere letto o un film visto. Ma (dalla mia totale ignoranza) credo che queste siano rimasuglie di un tempo in cui i giochi erano unicamente attività e non opere con un inizio, uno sviluppo e una fine.
Il termine giocare è molto interessante e complesso perchè si porta in spalla una serie di ingiustizie e pregiudizi. È difficile prendere sul serio un’arte quando anche solo nella lingua parlata viene trattata come il fratellino scemo.
Questa rubrica, che si pone l’obiettivo di analizzare temi e tecniche di opere video-ludiche, preferisce fregarsene e passare dal serio al faceto, giocare con il concetto di gioco spogliandolo dall’aura di infantilismo che lo avvolge senza però rinunciare alla sua unicità dinamica. Prendersi sul serio e non sul serio. Giocare come in inglese, dove play vuol dire anche recitare, suonare o in genere essere attivi in qualcosa. Sono invitati gli appassionati così come i detrattori le cui perplessità combatteremo con un lapidario e altezzoso “eppur si gioca”.

La gemma splendente del Team Cherry è un gioco enorme e stupendo. Un prodotto che non fa niente di radicalmente nuovo, ma che è perfetta sintesi di molti dei punti di forza che fanno grandi i videogames. In praticolare, oggi, analizzeremo la potenza espressiva ed immaginifica del suo mondo di gioco (oltre che di chi lo abita) per scoprire come gli sviluppatori siano riusciti a creare un luogo così affascinante come Nidosacro.

Per come la vedo, ci sono diversi tipi di opere.
Ma per amor di brevità, ne considereremo solo due.
E per amor di positività, sono due tipi di bei giochi, così nessuno è triste.

Il primo tipo sono le opere innovative, che fanno qualcosa di diverso o nuovo e ti lasciano a bocca aperta per il genio di cui sono intrise. Poi ci sono opere che non fanno niente di particolarmente nuovo e diverso, ma che prendono una serie di idee preesistenti e collaudate per poi unirle, sviluppandole in una prodotto finale che sfiora la perfezione formale.

Sarebbe facile pensare che il primo tipo sia molto più importante e complicato da creare del secondo, ma a pensarci bene è davvero cosa rara trovare opere che riescono a toccare grandi vette con strumenti già abbondantemente esplorati. Non bisogna sottovalutare l’importanza di saper fare bene il proprio ‘mestiere’.
È fondamentale che esistano innovativi tipi di martello, ma è altrettanto importante che esistano dei BUONI martelli, anche standard. I primi, di solito, hanno un concetto nuovo e avanguardistico che li regola, ma spesso non nascono pronti ed efficienti e la loro forma va perfezionata, resa più efficace. Ed è anche per questo che serve chi i martelli li sa ‘far bene’.
Di contro un martello ‘fatto bene’ può perdersi, nonostante il suo fondamentale contributo, nei meandri della storia, tra un’innovazione e l’altra.

Per fortuna i giochi non sono (solo) martelli. Dunque non servono solo creatori di buoni martelli, ma anche chi li sappia usare per appendere un quadro.
Un gran bel quadro, magari.
E Hollow Knight è davvero un gran bel quadro, appeso ad un muro pulito e solido, perfettamente allineato, usando un martello eccellente e manovrato da un maestro.

Hollow Knight – Immagine dal web


Per quella che è la mia esperienza, i vari elementi che compongono Hollow Knight non sono niente di nuovo.

È un metroidvania 2D (anche sorprendentemente lungo) ovvero un gioco con prospettiva bidimensionale il cui mondo consente una quasi libera esplorazione, ma con barriere superabili grazie ad abilità che il giocatore ottiene nel corso dell’avventura, costringendolo poi a riesplorare zone già viste con possibilità ed occhi nuovi, per svelarne i criptici segreti.

Parlando di cripticità, HK sembra avere la durezza, il mistero e l’enormità di giochi come Dark Souls (che chi scrive conosce, ma non di primo pugno, quindi perdonate eventuali errori da profano). Un mondo spietato, enigmatico, gigantesco e dove nessuno ci va piano con te.
In HK le modalità di attacco dei boss appaiono vorticose, letali ed incomprensibili come dipinti cubisti; mosaici di movimento da decifrare e imparare a memoria al fine di poterci vedere attraverso per eseguire una danza-battaglia letale e infine trionfante.

Lotta in Hollow Knight – Immagine dal web



È un gioco tracciato con la direzione artistica peculiare che contraddistingue gli indie, videogame che con la loro forza eversiva hanno sdoganato nuovi (e riabilitato vecchi) stili grafici in controtendenza al dominio della modellazione poligonale più o meno realistica.

HK si muove con la precisione e il minimalismo dei controlli simili a quelli dei giochi Nintendo, con poche azioni (quelle che servono) facili da attuare, ma difficili da padroneggiare. È un’opera dove la crescita delle abilità del personaggio è naturale sviluppo ed espansione di quelle base, al fine di mantenere una pulizia che amplifica il lato ‘performativo’ del gioco (in poche parole, è esperienza bella, poetica, catartica e soprattutto divertente anche solo muovere il personaggio dal punto A al punto B).

Il gioco presenta anche una meccanica ludica interna ottimamente congegnata, che regola e guida la traversata ad ogni passo. Uccidendo nemici si ottengono anime da accumulare e che possono essere poi consumate per sferrare potenti incantesimi o ricaricare la propria barra della vita (quest’ultima opzione è applicabile al costo di rimanere immobili per il tempo utile). Questa meccanica non solo ci porta sempre ad essere attenti alle mosse da effettuare, non solo ogni sua variante è legata ai differenti modi di interfacciarsi con un unico tasto al fine di snellirne l’uso, ma fa sì che noi siamo sempre spinti ad affrontare i nemici che ci si pongono davanti (tantissimi e tutti con modalità d’attacco e approccio diverse), per evitare di restare a corto di anime e dunque ci spinge ad usare costantemente il nostro aculeo… cosa che, guardacaso, è il modo principale che abbiamo per interagire anche con gli ambienti nei quali siamo immersi.

Tutto questo senza parlare del sistema di personalizzazione delle abilità e una serie di altre minuzie.

Ognuno di questi elementi eccellenti e collaudati, Hollow Knight riesce a prenderlo, sfruttarlo a pieno e unirlo insieme agli altri sotto l’unica bandiera autoriale del Team Cherry, creando un’esperienza dove temi e toni si irradiano in ogni aspetto creativo, ma in particolare nell’immersivo mondo di gioco e in chi lo popola.

Capanna in Hollow Knight – Immagine dal web



In Hollow Knight interpretiamo una piccola creatura che si inoltra all’interno di un regno chiamato Nidosacro. Subito siamo accolti da un messaggio di ‘benvenuto’ che ci descrive il luogo come un grande regno, eterno e inscalfibile, splendido e fulgido. Questo tipo di ideale fiero e stoico continuerà a fare capolino per tutto il gioco, ma quasi immediatamente ci sarà chiaro che il posto è molto diverso dal sogno promessoci. In maniera analoga alle parole scolpite sulla statua crollata di re Ozymandias nella (fin troppo citata, e me ne scuso) poesia di Shelley, le spoglie di Nidosacro, i fantasmi che la abitano e i vivi che non fanno che rimanere con la mente al passato (o che sono impazziti insistendo in questa illusione) non fanno che dipingerci un raggiante regno sicuro della sua potenza, ma che nei fatti ha lasciato posto alla desolazione mortifera dentro la quale dovremo muoverci. Non a caso la prima area civilizzata con la quale ci accoglie il gioco è chiamata, opportunamente, ‘Pulveria’.

Nidosacro è un sistema di aree molto diverse tra loro, che però grazie all’interconnessione logica e narrativa, costruiscono una crediblità d’ambiente. Nonostante il regno sia sotterraneo, ad esempio, ci imbatteremo una città stupenda dove piove sempre, questo perchè essa è situata sotto un lago, che gocciola sui tetti. Sotto alla città, giustamente, una vasta rete fognaria. Intorno alla splendida zona forestale è sensato trovare posti dove l’umidità modella cunicoli di nebbia o affascinanti labirinti di funghi. Nel canyon sotto allo spietato colosseo dei folli, precipitano corpi di guerrieri sconfitti etc. etc.

Godmaster in Hollow Knight – Immagine dal web



Questo rende il mondo credibile, ma ciò che inizia a svelarci il fulcro della storia è vedere come la cultura dell’ormai scarno popolo sia fusa con la natura. Troveremo architetture sfarzose e imponenti, ma svuotate, avvolte, divorate e consumate da agenti ambientali come rampicanti o la già citata pioggia. Spoglie di luoghi ora popolate da creature selvagge. Alcune comunità sopravvivono (una delle quali, guardacaso, abita un villaggio dall’architettura molto meno ‘presuntuosa’), altre rinascono (in cerchie più feroci come il già citato colosseo), altre sono decimate, altre ridotte in uno stato di zombificazione del quale scopriremo di più andando avanti e prestando attenzione. Insomma, Nidosacro è un posto sempre poetico, occasionalmente caldo e confortevole, ma spesso freddo e crudele, dove anche la più dolce delle creature può celare un lato tetro e agghiacciante. Lo splendido, ma desolato ed aspro guscio, di un mondo un tempo pieno di vita.

E guscio non è una parola scelta a caso poichè tutti i personaggi di Hollow Knight, dai grandi eroi agli umili mercanti, sono insetti.
Come già detto, infatti, la vera vita della narrativa è regalata dai personaggi. Insetti civilizzati, di varie forme e culture, che combattono con spade-aculeo e si proteggono con carapaci cheratinosi a mo’ di scudo. Scegliere gli insetti come contorno concettuale per gli abitanti del gioco è perfetto per esprimere il tema di una umanità che si crede importante in un universo indifferente. Dopotutto, non è ironico che un grande regno pieno di sé sia creato e popolato da creature che noi umani sappiamo essere piccole e (per quanto importanti) tendenzialmente indifese? Al contrario dell’ambiente che si presenta sempre solenne, i vari attori incarnano anche un altro aspetto del gioco. I luoghi sono gonfi di tetra tristezza e spietatezza macabra, ma i loro abitanti donano a questa atmosfera una vena di ironia che allegerisce l’esperienza senza mai svilirne i temi.

Salubra in Hollow Knight – Immagine dal web



La scrittura, l’interpretazione e l’animazione che vibra nel cast di Hollow Knight è smaccatamente cartoon. Le gestualità e le espressioni sono molto minimali ed eleganti quando devono esserlo, ma sanno essere esagerate per generare empatia, simpatia, ma anche orrore e grottesco. Spesso la linea tra buffo e inquietante è così sfumata da creare una sensazione unica e particolare. I personaggi di Nidosacro sono doppiati in una lingua incomprensibile e criptica (come la storia del regno), nonostante i loro dialoghi siano tradotti nei box di testo. Ognuno di loro, però, ha non solo una voce, ma una parlata unica e personale. Sfido chiunque a dimenticarsi le grida di Hornet in battaglia: parole che non esplicitano un concetto, ma lo esprimono comunque a pieno e che ci fanno subito capire il tipo di guerriero (e il tipo di persona) che stiamo affrontando; così come sfido a farvi uscire dal cervello e dai nervi la parlata tronfia, ma anche ridicola del tronfio e ridicolo Zote il potente.

I tocchi di classe sono però ovviamente nel modo in cui possiamo interagire con il cast. Ogni abitante ha dei segreti e non sempre quello che dice corrisponde a ciò che pensa, starà a noi decidere come e quanto vogliamo sapere di qualcuno, tornando a trovarlo, esplorando la sua casa oppure decidendo se aiutarlo o meno. Potremmo incontrare personaggi innamorati che si lasciano sfuggire sospiri emozionati quando ci vedono. Oppure beccare un gruppo di amici che borbottano tra di loro nelle terme, ma che tacciono improvvisamente appena ci avviciniamo e che non ritroveremo più nello stesso punto, suggerendo che la loro vita non si muove in funzione di noi né tantomeno di quel luogo (in effetti adibito al relax). O ancora, un popolo precedentemente ostile che si inchina una volta riconosciuta la nostra forza. Oppure qualcuno che ci ha fatto un torto e trema quando ci rincontra.

Ci sarebbero altre decine di dettagli da esplorare e decostruire per capirne il funzionamento e l’efficacia. Ma lo troverei ingiusto nei confronti di uno degli elementi cardine del gioco.

Giardini in Hollow Knight – Immagine dal web



Hollow Knight, come già detto, è un gioco criptico.

Parla del passato, del futuro, dei cicli della vita, della non importanza del tutto, del fatto che le cose che contano davvero sono roba come i morsi, la tempra e la capacità di integrarci con l’oscurità e scenderci a patti, suggersice che il passato vada lasciato morire e forse ucciso, visto che è stata la sua stessa rovina.

Prendendo appunti, prestando la massima attenzione e con una buona dose di interpretazione, dai mille dettagli del gioco si può anche dedurre una cristallina cronologia di Nidosacro e di tutti i misteri dei suoi abitanti (incluso il misterioso protagonista), ma alla fine della fiera, sembra che il gioco non voglia questo. Quanto più in fondo andremo nei meandri del cadavere del regno, tanto più per ogni nuova luce ad illuminare i fatti, nascerà un nuovo angolo d’ombra e quando scorreranno i titoli di coda (a prescindere da quale finale avremo ottenuto) non potremo che sentirci persi e spaesati.
Come vuoti cavalieri ai quali è stata negata la gloria di un’impresa.

Ma è proprio quello che il gioco vuole. Ce lo ha detto dall’inizio.

L’ingannevole titolo, dopotutto, si traduce proprio ‘Cavaliere Vacuo’.

Come disse David Lynch del suo capolavoro Eraserhead (anch’esso un racconto tetro, misterioso, simbolico ma anche grottescamente ironico) Hollow Knight è un ‘sogno di cose oscure e inquietanti’. Se la definizione vi aggrada e sentirvi piccoli e persi come insetti nel buio non vi butta giù, recuperatelo appena possibile.

E affrontate il vuoto.

Ve ne pentirete amaramente.



Alessandro Romita