I dipendenti si dimettono volontariamente in massa dai loro posti di lavoro: il fenomeno delle Grandi Dimissioni nasce negli Stati Uniti nel 2021, dopo che il governo si è rifiutato di offrire protezione ai lavoratori dopo la pandemia di Covid-19. Si tratta di un format che ha raggiunto presto anche l’Italia, dove il tasso di dimissione è arrivato a toccare l’85% tra aprile e giugno del 2021. Il fenomeno ha toccato il suo picco durante l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus, ma campanelli di allarme ci sono da molto prima: già tra il 2017 e il 2021 il tasso di licenziamenti volontari aveva raggiunto il 30,7%.
Grandi Dimissioni: la situazione italiana
Nel nostro paese, settori più colpiti sono soprattutto Informatica e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). Ma ad essere colpito è anche il settore sanitario, che vede una percentuale di dimissioni pari al 7%, probabilmente a causa delle pressioni dovute alla pandemia. A dimettersi sono stati soprattutto giovani tra i 26 e i 35 anni, i quali rappresentano una fetta pari al 70%, e tra i 36 e i 45 anni, che sfiorano il 30%. Il fenomeno sta colpendo soprattutto il Nord Italia e coinvolge principalmente gli impiegati.
Le cause vanno ricercate in condizioni occupazionali precarie, nella riduzione delle retribuzioni e nel deterioramento delle relazioni lavorative. Inoltre, il 44,7% delle persone dimesse nei primi sei mesi del 2021 non aveva un contratto di lavoro attivo. Secondo il rapporto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, la maggior il 52% dei dimessi abbandona, infatti, un lavoro precario, con contratto a termine (37,4%) mentre meno della metà dei lavoratori (47,1%) abbandona un’occupazione a tempo indeterminato. Nel 58,7% dei casi vengono lasciati lavori a tempo pieno, ma anche la percentuale delle dimissioni dai part-time è piuttosto alta, rappresentando il 37,9%.
Martina Cordella