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Il modello ibrido è la svolta? Le imprese sfidano la crisi, ma l’Italia ci sta?

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La pandemia, in un modo o nell’altro, ha insegnato qualcosa agli italiani, anche nuovi metodi di lavoro e ottimizzazione della produttività. Un nuovo approccio dapprima sperimentale ha preso il sopravvento in alcuni settori. Oggi è il metodo preferito per alcune aziende che hanno trovato nuove opportunità di contenimento dei costi legati alla propria attività. La svolta è il modello ibrido?

Smart working o modello ibrido: è tutto oro quel che luccica?

Con l’avanzare della crisi economica e dell’inflazione, sempre più aziende hanno allargato i propri orizzonti verso lo smart working. Hanno dirottato il drenaggio di parte delle proprie risorse direttamente a casa del dipendente. Ci sono stati risparmi anche notevoli in costi di gestione e manutenzione delle strutture. Anche il dipendente in molti casi ne ha giovato. Abbatte tempistiche, problemi legati alla circolazione, soprattutto nelle grandi città, e può gestire in modo semi-autonomo la propria giornata lavorativa.

Ma ci sono dei pro e dei contro.

Lo smart working in alcuni casi, ha prodotto effetti indesiderati. Molti si sono ritrovati a non staccare effettivamente dal lavoro, costretti in una posizione di continua reperibilità. Effetto? Prolungamento della giornata lavorativa, allontanata sensibilmente da quelle che erano le canoniche “otto ore” trascorse in ufficio. Per molti invece è stato un grande passo in avanti. Considerata la libertà offerta dalla propria azienda nel rispettare consegne e scadenze, c’è chi ha avuto carta bianca nel gestire autonomamente il proprio capitale umano.

La svolta è il modello ibrido? Non per tutti

Con la recente abrogazione di tutte – o quasi ‒ le restrizioni imposte a causa dell’emergenza Covid, è nato un terzo metodo, definito “ibrido”. Alternare presenza in sede a lavoro da casa. È indubbio che la crisi economica e l’inflazione abbiano toccato tutti i settori in modo sensibile. Una nuova strategia potrebbe essere quella di un tipo di lavoro che alterna quello domiciliato a quello in presenza.

Un nuovo espediente che va certamente a colmare alcune delle lacune lasciate dalla crisi pandemica, ma non si può applicare a tutte le attività. Basti pensare che la repubblica si regge ancora sui settori fondamentali come agricoltura e allevamento e prodotti derivati da queste attività. A questi settori sono connesse grandi filiere che non possono in alcun modo permettersi, anche volendo, un’attività lavorativa decentrata dalle proprie sedi.

Il titolare di una azienda agricola o un allevatore non può certo dirottare le proprie risorse verso un modello ibrido. Non potrebbe nemmeno una pizzeria o un ristorante o ancora una fabbrica. L’automazione robotica, in molti ambiti, ha permesso di ridurre i costi della manodopera. Dall’altra parte, gli attuali rincari energetici pesano anche agli imprenditori più all’avanguardia in termini di tecnologia produttiva.

Nel caso invece dell’amministrazione pubblica, un dipendente statale potrebbe gestire tranquillamente il disbrigo delle pratiche da casa, ma mancherebbe il contatto con il pubblico. Gli italiani sono molto affezionati al rapporto personale con chi tutela i loro diritti e doveri. Hanno bisogno di una presenza fisica che li guidi nella risoluzione delle proprie problematiche.

Smart working alternato a lavoro da casa: si, ma…

Per alcuni settori, un modello ibrido potrebbe essere senz’altro una soluzione. Il dipendente deve comunque fare i conti a fine mese con bollette sempre più alte. Perfino un computer in casa sempre acceso potrebbe avere un peso.

E che dire dell’artigianato? Un settore che ha decorato l’Italia di non poca fama in tutto il mondo e che oggi va perdendosi. Chi si dedica a questo settore, non può ‒ in molti casi ‒ permettersi le attrezzature per poter lavorare da casa. Non solo per i costi, ma anche per motivi di spazio. Bisogna tener conto anche del grande scoglio chiamato burocrazia. Chi vorrebbe avviare un lavoro in proprio, magari nel garage della propria abitazione, si trova spesso davanti a grosse problematiche.

Un metodo innovativo, ma l’Italia non è ancora pronta

Oggi l’imperativo è abbattere i costi e volgere lo sguardo verso nuove strategie e fonti di guadagno che possano far girare di nuovo l’economia. Investire su energie rinnovabili che abbiano un costo nel medio/lungo termine, marginale, è oltre ogni dubbio la strada da seguire. Ma forse l’Italia non è ancora pronta per un passo in avanti e un cambiamento così drastico. Il modello ibrido nel nostro paese non è applicabile per la stragrande maggioranza dei lavoratori.

Il caro vita e l’inflazione, anche stringendo il più possibile la cinghia, pesano in ogni caso sulle tasche di lavoratori (dipendenti e autonomi) e imprenditori. Si fatica a trovare la scappatoia. Una cessazione dell’attività si tramuta in aumento della disoccupazione, piaga della quale l’Italia attualmente soffre.

Del resto, un paese non può basare la propria economia esclusivamente sul terziario e sul terziario avanzato.

Antonio Farris

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