E’ inutile nasconderlo, alla notizia che la Pixar avrebbe messo in mostra alcune delle opere contenute nei suoi archivi, ci sono brillati gli occhi come un bambino il giorno di Natale.
ANTEA:…E se anche tu hai avuto la stessa reazione, allora è possibile che ti ritroverai in quest’articolo.
Già, perché ci sembrava superfluo fare una banale recensione che descrivesse le meraviglie di questa mostra (qui il sito del Palazzo Delle Esposizioni). Quello sono in grado di farlo tutti.
Ciò che cercheremo di raccontare, è invece lo stupore di due eterne bambine, al cospetto dei segreti di quel mondo che le ha sempre affascinate ed accompagnate sin da quando hanno memoria.
Tanto per dire, non c’è da stupirsi se in una mostra piena zeppa di marmocchi, le più emozionate eravamo evidentemente noi. E no, non ci vergogniamo neanche un po’.
Certo, la prima cosa che ti colpisce in realtà è la vecchiaia. Ti percuote violentemente appena metti piede nella mostra.

Si inizia infatti con l’angolo dedicato a Toy Story, primo vero lungometraggio Pixar e pietra miliare dell’infanzia di chiunque pretenda di ricevere un minimo di rispetto.
Il fatto è che, almeno per me, Toy Story è uscito più o meno l’anno scorso. L’ho visto per la prima volta qualche tempo fa, mentre le altre 229814 sono compresse in una bolla spaziotemporale non ben definita.
Quando poi ti avvicini ai primi bozzetti, che rappresentano un simpaticissimo Woody in erba, e leggi la data sulla didascalia, la pesante consapevolezza che quel film sia uscito 23 anni fa per poco non ti scaraventa al suolo.
Ma dura solo un secondo.
Perché passeggiando fra le decine di opere esposte, fluttuante in uno stato di assoluto stupore, tutto ciò che riesci a provare è orgoglio. Orgoglio per non aver mai smesso di essere completamente rapita da quel mondo.
Che siano dei pazzeschi studi del personaggio sulle piccole formiche di A Bug’s Life, il color script (tecnica assolutamente ipnotica che riproduce il copione come uno storyboard, sacrificando però il dettaglio per il colore) di Alla Ricerca Di Nemo, che ti catapulta immediatamente in un oceano di sfumature, o una Merida in bianco e nero che non riesci a smettere di fissare, qualsiasi cosa ti lascia senza parole.

E ogni opera trasuda la competenza, la creatività e la passione che la Pixar impiega per poter raccontare le sue storie e tenere noi, eterni bambini di tutte le età, incollati allo schermo.
Basti pensare a Coco, in fondo. Nell’angolino a lui dedicato si trova solo un piccolo puntino dell’universo di lavoro che serve per creare un impresa del genere.

Ma anche in un solo dipinto, finalizzato a creare un concept, ritrovi tutto il calore, la vivacità e la sconcertante profondità di quel “film per bambini” che si è rivelato essere un capolavoro tra i capolavori.
Se poi ti giri, e trovi un assaggio dell’incredibile maestria tecnica utilizzata per dare vita allo straordinario vortice di colori del mondo dei morti, devi chiamare qualcuno a portarti via, perché allontanarsi è impossibile.
La mia menzione particolare, va però alla rappresentazione a matita dell’anemone di Nemo, che in tutto quello straripare di piccoli ed immensi capolavori, ancora continuo a non capire perché mi affascini così tanto.

In fondo, i lungometraggi Pixar sono questo: l’unione di menti uniche e artisti inimitabili, che unendo creatività, passione e duro lavoro, attraverso un numero incalcolabile di opere d’arte che in pochi vedranno mai, riescono a raccontare delle storie come nessun’altro al mondo è in grado di fare.
Non semplice abilità in computer grafica, ma un lento, lunghissimo, affascinante, percorso studiato nei minimi dettagli. Dalla semplice matita, fino al grande schermo.
Questo è ciò che la mostra vuole raccontare, e non ci sono dubbi che ci sia riuscita del migliore dei modi.

E allora ci provassero pure a dire che siamo troppo grandi per questo genere di film.
Se rimanere incantati da qualcosa che sia frutto di un lavoro talmente meticoloso e ispirato allo stesso tempo, è una cosa da bambini, allora permettetemi di dire che non sono mai stata così fiera di non voler crescere mai.
Ma ora è arrivato il momento di lasciare la parola ad Arianna, che ancora non si è ripresa del tutto dall’esperienza.
ARIANNA: Tutto è iniziato con papà che torna a casa da lavoro e porta con sé qualcosa di nuovo. Tra le mani era un nuovo film, una nuova avventura, ma quell’avventura, quella targata Pixar non era come le altre, sarebbe stata una di quelle avventure che non avresti dimenticato per tutta la vita.
Quel ricordo, quello di papà col dvd di Monsters & Co, è stato come un flash dolce e impetuoso al tempo stesso, quando sono entrata nell’ala del Palazzo delle Esposizioni dedicato al capolavoro Pixar.

L’emozione di vedere con i miei occhi come i creatori avevano dato vita alla piccola Boo, tra miniature e bozzetti, penso possa sentirla ancora adesso, mentre scrivo queste parole.
La delicatezza del tratto della matita, l’espressione degli occhi della piccola bambina e di Sulley, che la tiene tra le mani. Avrei voluto rubare quel disegno e tenerlo con me per sempre, come a custodire quei ricordi di bambina che, a ripetizione, avrebbe consumato quel Dvd, assieme a suo fratello, e avrebbe pianto (come fa anche oggi) dopo aver visto l’ultima scena del film.
E poi c’è quella normale famiglia di supereroi che ruba la scena a tutti.
Violetta, Jack Jack, Helen, Flash, Bob: eccoli qui Gli Incredibili. Tutti voi avete sempre sognato di avere un superpotere, di svegliarvi, e avere un’identità segreta da proteggere, vero? E che la vostra famiglia combattesse i cattivi più cattivi di sempre? Io sì, e di questo lungometraggio so ancora tutte le battute a memoria.

E vedere come nasce quel capolavoro, mi ha fatto brillare gli occhi. Il principio, lo storyboard, un passo dopo l’altro verso due ore di emozioni. Creare una magia targata Disney, quello si che è da supereroi!
Ma il viaggio deve proseguire, e non c’è viaggio più bello se non a Radiator Springs, con Saetta McQueen e Cricchetto. Cars è stato un altro capolavoro che, a modo suo, ha segnato ancora una volta l’infanzia della piccola bambina che sognava un giorno di fare la Route 66 a suon di rock’n’roll.

Nella mostra, ogni piccolo passo verso la perfezione delle ambientazioni, dei colori, dei particolari, ci è stato svelato, ed era come ritornare lì, tra le corse della Piston Cup e la magia di una città dimenticata, quel piccolo gioiello.
Mentre ero circondata da tutta quell’arte della creazione dei sogni, lì al Palazzo delle Esposizioni, mi torna in mentre una frase che Sally ripeteva a Saetta, che ha sempre risuonato nella mia mente di bambina e che ha accompagnato la mia vita, “Il bello non è arrivare, il bello è viaggiare”, non la meta, ma la corsa, che era un po’ la sintesi di quella serata a Via Nazionale.
Perché avremmo solo voluto continuare a girare in quel piccolo mondo, e non volevamo per nessun motivo arrivare alla fine, al cartello “Uscita” e lasciarci alle spalle la meraviglia e lo stupore di un mondo così legato a noi e al nostra anima, per sempre.
ANTEA RUGGERO
ARIANNA LOMUSCIO
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