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Shadow of the Colossus è il miglior gioco di sempre -PT.2 la caduta-

Continua l’analisi di Shadow of the Colossus, in questa puntata di ‘Eppur si gioca’ iniziata qui.

“Hai giocato questo gioco?” “si l’ho giocato”.
In teoria questo scambio di battute dovrebbe essere scorretto.
Grammaticalmente un gioco non può essere giocato come un libro può essere letto o un film visto.

Ma (dalla mia totale ignoranza) credo che queste siano rimasuglie di un tempo in cui i giochi erano unicamente attività e non opere con un inizio, uno sviluppo e una fine.
Il termine giocare è molto interessante e complesso perchè si porta in spalla una serie di ingiustizie e pregiudizi. È difficile prendere sul serio un’arte quando anche solo nella lingua parlata viene trattata come il fratellino scemo.

Questa rubrica, che si pone l’obiettivo di analizzare temi e tecniche di opere video-ludiche, preferisce fregarsene e passare dal serio al faceto, giocare con il concetto di gioco spogliandolo dall’aura di infantilismo che lo avvolge senza però rinunciare alla sua unicità dinamica. Prendersi sul serio e non sul serio. Giocare come in inglese, dove play vuol dire anche recitare, suonare o in genere essere attivi in qualcosa. Sono invitati gli appassionati così come i detrattori le cui perplessità combatteremo con un lapidario e altezzoso “eppur si gioca”.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

9 L’ILLUSIONE

Le storie scheletriche, quelle con pochi e spogli ma significativi eventi, se ben gestite hanno al loro interno una grazia smisurata.
Alcuni dicono che ci sono in realtà solo 5 storie, nella narrativa mondiale.
5 strutture che fanno da minimo comune denominatore a migliaia di interpretazioni delle stesse.

Ognuna di queste interpretazioni, ampliata, sovvertita, ornata o rivisitata può portare a germogli diversi, ma ognuno di questi germogli nasce dal medesimo ramo.

La cosa splendida di questi scheletri è che tanto più sono minimali, tanto più puoi modellarli a tuo piacimento.
Ad una storia di questo tipo, basta semplicemente guardarne il riflesso distorto per sovvertirne il senso.

Lo splendore di Shadow of the Colossus è che usa con questo fine non solo tutti gli elementi raccontati a suo vantaggio, ma anche quelli di secoli di fiabe, leggende, racconti e il nostro rapporto di familiarità con le grandi narrative.

Presentandosi come una storia ‘classica’ senza pretese, facendoci credere di essere ‘a casa’, agisce sui centri del nostro cervello ai quali tali racconti hanno sempre parlato. Usa la nostra abitudine al non mettere tali storie in discussione, per obbligarci a guardare allo specchio ciò che esse implicano, le emozioni che generano in noi, le domande che fanno sorgere e la carenza di risposte semplici.

Cosa è un eroe? Cosa un mostro?

Ma soprattutto, siamo disposti ad agire nell’errore quando il nostro racconto d’eroismo ci fa sentire così bene?

D’altro canto, ‘gli eroi son tutti giovani e belli’.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

10 L’IMPRESA

Seppur questo elemento di sovversione sia in atto dall’inizio del racconto, man mano che la storia prosegue la sua vera natura si fa sempre più esplicita. Tutto ciò che davamo per chiaro, semplice e scontato comincia ad apparire sinistro, sfumato, complesso ed inquietante.

La narrativa dell’eroe che combatte i mostri ha radici antichissime, è vero, ma il media videoludico in particolare ha sempre usato, riusato e abusato di questa storia efficace, ma che riduce con frequenza la sua ‘morale’ ad una visione del mondo semplicistica. Per quanto così facendo i videogiochi siano riusciti a creare grandi esperienze e anche grandi racconti, sedando quel bisogno di escapismo e fungendo magari da valvola di sfogo per una vita stressante, la loro insistenza su questo tipo di storie non solo appiattisce il generale pantheon di storie che sceglie di raccontare, ma limita le possibilità stesse del media, costringendolo a restare quasi sempre fermo sulle stesse soluzioni di narrazione ludica. Perché tali soluzioni sono rodate, funzionanti, sicure.

Shadow of the Colossus non solo decide che un’altra narrativa è possibile. Ma sceglie di prendere e onorare il racconto classico, riducendolo al cuore di ciò che lo muove e mostrandocene la bellezza, per poi complicarla. L’impresa stessa alla base del gioco è tesi, antitesi e sintesi di questa danza di grandi racconti eroici. Dei loro lati splendidi, dei loro lati mostruosi, della bellezza confortevole, unica e potentissima e dei loro limiti agghiaccianti. È una dissertazione grigia, fatta per renderci funamboli di una fune morale.

Pronti a cadere nello strapiombo.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

11 I MOSTRI

Scalare una creatura enorme. Stanare una bestia misteriosa e di ambigua natura. Davide che spegne Golia con la tenacia e l’ingegno. È facile rimanere sconvolti dalla perfezione formale dell’intrigo istintivo che queste creature ci invitano a cogliere. La voglia di scalarli, l’astuzia alla quale dobbiamo ricorrere per avere la meglio.

Ma una volta su queste creature, alcune così immense da diventare terreno, la nostra definizione si fa sfocata. Sono bestie? Sono luoghi? Sono costrutti? Sono forze della natura?
L’interagire con il loro corpo ci porta ad un confronto non solo narrativo, ma anche simbolico e concettuale. Cosa rende mostruoso un mostro? E il fatto che qualcuno (che sia la voce di uno spirito o l’incipit di un gioco) ci abbia incaricato di abbatterlo, basta come motivazione?
E cosa dice di noi, la risposta a questa domanda?

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

12 IL VUOTO

Le lande proibite dove si ambienta la storia sono delle terre meravigliose e terrificanti.
Non vediamo quasi niente di ciò che esiste oltre questo luogo maledetto.
Non sappiamo da dove viene il nostro eroe, non sappiamo quale sia il racconto della vita e delle interazioni sociali. Il proscenio delle vicende, la cornice del quadro è questo posto lontano e vuoto, collegato al resto del mondo da un ponte lunghissimo e surreale. Rovine antiche suggeriscono altrettanto antiche civiltà, ma nessuna anima lontanamente umana è visibile. Solo colossi, lontani rapaci e piccole lucertole.

Per il resto, grandi spazi vuoti. L’autosufficienza della quale abbiamo parlato non serve solo a rendere vivo e credibile il mondo, ma anche a darci la sensazione di nulla e solitudine. Questo posto è una tomba della civiltà, un luogo dove la natura parla una lingua tutta sua, incomprensibile all’uomo che tenta di decifrarla. Le rovine forse ci danno la sensazione che questa lingua potremmo impararla, ma il velo del tempo ha ormai sommerso anche loro di un silenzio per noi imperscrutabile.

La libertà e la bellezza che troviamo in SOTC, l’esca di sublime che ci diceva ‘il mondo è tuo’ ci si ritorce presto contro, spiegandoci che queste lande non sono da conquistare. Sono bensì solenni e immobili conquistatrici, luoghi che incarnano l’aspetto più dominante del sublime, quella inscrutabilità maestosa che ci fa sentire piccoli e schifosi. Se prima ci credevamo pronti a dominare l’orizzonte che si stagliava davanti per noi, ora siamo delle formiche ignoranti che non riescono a capire i sussurri di una terra saggia, dolente ed antica.

Che parla, ‘come il sole, parole troppo grandi per un uomo’.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

13 L’INTIMO

La metafora e il simbolismo sono bestie splendide.
E il fantasy è un genere perfetto per incarnare concetti iniettandoli in creature e situazioni affascinanti, surreali e sopra le righe. Con discreta frequenza, però, il lato emotivamente energizzante del fantastico divora qualsiasi altra opzione che questo splendido genere può offrire. Spesso parlando di bene e male, di buoni e cattivi e poco altro. Il più delle volte sotto il manto di magia si cela una dicotomica narrativa di eletti che devono adempiere ad un destino, di superuomini che compiono l’impossibile.

Ma cosa succede quando una storia decide che ogni suo elemento è più profondo di così? Che succede quando una storia usa l’enorme e grandioso come specchio del piccolo e intimo?

Cosa succede quando all’interno di un videogioco non otteniamo potenziamenti tramite sfide dal respiro mozzafiato, ma uccidendo delle lucertole indifese? Come interpretiamo la creatura che ci propone l’impresa quando vediamo che non è rassicurante, ma indecifrabile? Come ci comportiamo nel momento in cui, una volta ottenuto il massimo della nostra forza deviando dal cammino, possiamo accedere ad un giardino segreto e scopriamo che mangiandone i frutti le nostre capacità vengono ridotte irrimediabilmente, fino anche a renderci più deboli rispetto a quando abbiamo iniziato?

Perché alla morte di un colosso la musica parte liberatoria, ma diventa malinconica? Perché la nostra scalata sembra sempre più una discesa? Perché il nostro corpo si deteriora ogni conquista che facciamo?

Shadow of the Colossus crea una zona interpretativa inquietante che rende guardinghi. Dove ogni classico elemento di grandezza, nasconde un significato meschino o quantomeno insospettabile.
Ed improvvisamente l’enorme diventa giudice del minuscolo. Minuscolo come il giocatore in un mondo incontaminato e minuscolo come le nostre ambizioni e convinzioni.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

14 IL GIUSTO

Spegnere degli occhi è una grossa responsabilità.
Prendere decisioni è una grossa responsabilità.
E quante volte, tristemente anche nel mondo reale, cerchiamo un nemico perché è più facile così?
La vita di un essere umano è una trama complessa. È una ragnatela di ingiustizie e pozzi privi di senso ai quali cerchiamo di darne in tutti i modi possibili.
E quante volte la responsabilità di mettere da parte noi stessi è una soluzione che non vogliamo scegliere?

Quante volte le risposte facili ci rassicurano, mentre le realtà complesse ci uccidono piano?
Quanti giochi giochiamo per non sentire le urla nella nostra mente?
E quanti giochi, quelle urla, le trasformano in silenzio per farcele affrontare in una zona sicura?

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

15 IL SILENZIO

Non esiste la musica, senza silenzio. E anzi, la musica stessa è scandita da pause, da durate di tempo vuoto. Da suoni intensi, ma che riecheggiano in spazi dinamici. Tanti piccoli suoni forti in fila, una fila dettata da microscopiche pause. E se dovessimo prendere quelle pause e rallentarle, o rallentare quei suoni cosa otterremmo?
Espandendo un chiaro e semplice riff di chitarra all’inverosimile, diventa una lunga litania atmosferica di difficile comprensione, ma indubbiamente intensa. Shadow of the Colossus è una storia di estremi. Piccolo e grande, creature e luogo. Silenzio e musica.

Grandi azioni inevitabili come lo sconfiggere un colosso con una musica tragica e trionfante in sottofondo, interrotte da lunghe pause silenziose dove possiamo sentire solo la natura, esplorandola liberamente mentre muta si rifiuta di spiegarsi a noi. Estremi che danno valore l’uno all’altro. Un’accostamento indubbiamente poco confortante e poco ‘orecchiabile’, ma che vuole immergerci nel significato e nel significante dei due poli che lo compongono, per farci sentire la potenza di due lingue. Una cauta e una dinamica.
Una salita. E una discesa.

Per abituarci alla dicotomia e pian piano, sfumarla, ribaltarla e infine trasformarla in unica cosa.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

16 L’EPICA

Per la treccani la definizione base di Epica è
‘Narrazione poetica di gesta eroiche, spesso leggendarie’

e Shadow of the Colossus vuole sicuramente farti provare la sensazione di essere un eroe. Il suo incipit narrativo è fin troppo classico, anche se da subito il tono è diverso dal solito.
Un ragazzo si rivolge ad un’antica figura senza corpo chiedendogli di risvegliare una ragazza a lui cara dal sonno della morte. Tale spirito concede all’eroe la richiesta, ma gli dice che per far si che la ragazza torni alla vita, lui dovrà sconfiggere sedici colossi nascosti nelle terre proibite che ora si trova davanti.

Ma cosa succede quando gli elementi esterni alla cornice irrompono sul proscenio delle terre dimenticate?
Cosa sono queste terre? Perché dimenticate? La nostra spada magica, come l’abbiamo ottenuta, di preciso? Brandirla è la cosa più giusta? Questi colossi, cosa sono esattamente? Perché sembrano tutti fatti della ‘stessa pasta’? Perché siamo circondati da ombre oscure che fissano il nostro corpo, ogni volta che saliamo un gradino nella nostra epica scalata e ci ritroviamo nel tempio privi di sensi?

Shadow of the Colossus, guardacaso, è una storia di ombre. È una storia che ci regala un sogno e lo trasforma piano, quasi impercettibilmente in incubo. Una favola color seppia, come una vecchia foto, che prende ogni aspettativa e la ribalta al fine di farci sentire meschini.

Il bianco diventa nero e il nero, bianco.

E poi, sul finale, ci dice che il punto non sono le due tinte invertite. Ma il loro indistinguibile mischiarsi.
Che sì, la narrativa dell’eroe può essere splendida ma pericolosamente ingannevole. Ma ci dice che, soprattutto, tale narrativa è lontana dalla realtà delle cose. Anche il peggiore dei finti idoli può essere mosso da buoni sentimenti. Di buone intenzioni è lastricato l’inferno, dopotutto, ma le buoni intenzioni rimangono buone.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

CONCLUSIONE:
ASCESA E CADUTA, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA.

E dunque, laddove una promessa può sembrare una condanna, resta una promessa. Dove una accusa può sembrare una lapidaria esecuzione, diventa speranza ed opportunità. Dove il distinguo tra bene e male sembra prima composto da due lati inamovibili che solo in un secondo momento si rivelano intercambiabili, alla fine essi diventano un unico flusso, costante, bellissimo e terribile di speranza o, quantomeno, di sguardo nel fragile futuro dell’uomo.

Shadow of the Colossus è un racconto di quelli che ti lasciano più profondo di come ti hanno trovato, se si è disposti ad ascoltare.
Che mettono in discussione la nostra storia, la nostra tradizione narrativa, il nostro rapporto con l’ego. Un racconto che parla al fruitore di queste sfumature con la potenza che solo i videogiochi possono avere, chiedendoci di fidarci e di agire. Un videogioco che brandisce la sua forza interattiva con una mano sublime, inzuppando di senso ogni elemento di design, lasciando che la storia si sviluppi tramite noi, il mondo e la nostra interazione con esso. Lasciandoci il pieno controllo (le poche cutscene del gioco partono quasi solo quando non siamo presenti o vigili), Shadow of the Colossus colma sempre quel controllo di significato, facendoci immedesimare e vivere concetti complessi da spiegare, ma chiari da giocare.

Shadow of the Colossus – Photo Credit: web

Se non avete ancora provato questo capolavoro, fatelo ora.

Perché questo capolavoro, insieme a pochi altri, è forse il miglior videogioco di sempre.

Se dovete mostrare ad un alieno cosa è un videogame, dategli Tetris.

Se dovete mostrargli il potenziale dei videogame e in cosa sono unici, dategli Zelda: Breath of the Wild.

Se dovete mostrargli l’umanità tramite un videogame, dategli senza esitare, Shadow of the Colossus.

Probabilmente si metterà a piangere mosso a compassione e magari, solo magari, fermerà l’invasione e deciderà di risparmiare le meschine, minuscole, bellissime creature che siamo.

ALESSANDRO ROMITA
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