
Recentemente è stata riportata la notizia secondo la quale, nella nostra galassia -la Via Lattea- esisterebbero 36 forme di vita e civilta’ sviluppate e in grado di poter comunicare, più o meno come faremmo noi. ma quanto c’e’ di vero?
Come e’ stata riportata la notizia
Questo risultato è effettivamente ciò che emerge da uno studio recentemente accettato dall’ “Astrophysical Journal”, una rivista specializzata sicuramente affidabile. Come al solito pero’, la notizia viene riportata con titoli forse un po’ troppo altisonanti. “Ecco perché potrebbero esistere ben 36 civiltà extraterrestri“: questo è come repubblica ha riportato la notizia della pubblicazione. “The astrobiological copernican weak and strong limits for intelligent life” (I limiti astrobiologici copernicani forte e debole per la vita intelligente) è invece il titolo reale del suddetto articolo. Cerchiamo di vederci un po’ più chiaro e di capire cosa hanno fatto Tom Westby e Christopher Conselice, i due autori dell’articolo.
Le basi dell’articolo
Avere una prova significativa di vita in altri pianeti è qualcosa che abbiamo da sempre cercato di ottenere, forse per non sentirci troppo soli in un Universo cosí grande, o forse perché sembra piuttosto logico che, se esistiamo noi, perché non dovrebbero esistere altri mondi popolati da esseri intelligenti? Esistono anche programmi di ricerca di segnali di vita “alieni”, come ad esempio il SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che cerca di captare segnali radio di origine non naturale ed extraterrestre.
36 forme di vita aliene, quindi?
La statistica sembra suggerire che, visto il numero enorme di stelle (più di 200 miliardi solo nella nostra galassia), non sia poi cosí improbabile che attorno a una (o più!) di queste ci sia un pianeta che ospiti le condizioni ideali perché si possa sviluppare una forma di vita in grado di evolversi in modo simile a quanto abbiamo fatto noi sulla terra. Nel 1961, proprio cercando di calcolare la probabilità di circostanze simili, Frank Drake -astrofisico statunitense- cercò di quantificare il numero di possibili civiltà intelligenti. Tutto questo riassunto dalla celeberrima equazione di Drake.
Insomma, 36 (ma con una incertezza di +175 o -32) possibili civiltà in grado di comunicare con noi. Ma come sono arrivati a questi numeri i due autori? Innanzitutto c’è da dire che l’approccio è simile a quello usato da Drake, cioè probabilistico. Questo non vuole assolutamente dire che sia campato in aria, tutt’altro. Si basa in parte su supposizioni su come dovrebbero essere queste forme di vita ed in parte sulle conoscenze fisiche che abbiamo al giorno d’oggi.

Approccio al problema: il metodo Drake
L’approccio più semplice rispetto al primo punto è pensare che la vita intelligente sia simile a quella che conosciamo qui sulla terra, e che si sia sviluppata in modo analogo soprattutto come tempi-scala. Questo è quello che viene chiamato il “Principio astrobiologico copernicano”.
Secondo questo principio lo sviluppo di vita intelligente sulla terra non costituisce un evento particolarmente eccezionale.
Gli autori quindi continuano seguendo l’approccio di Drake che, nella sua equazione, aveva considerato quali possono essere le variabili “pro-vita”, ma le aggiornano secondo le conoscenze più recenti e c’è da dire che, rispetto sessant’anni fa, di progressi in questo campo ce ne sono stati. Così vediamo che nell’equazione di Drake entrano variabili normalmente usate in una moltitudine di campi dell’astrofisica e dell’astrobiologia:
- il tasso di formazione stellare della Via Lattea (quante stelle, in media, si formano all’anno).
- la frazione di stelle contenenti uno o più pianeti. il numero medio di pianeti che possono potenzialmente ospitare la vita.
- la frazione di questi pianeti in cui la vita si potrà effettivamente sviluppare in forma intelligente e in grado di creare un segnale “semplice” che potrà essere rilevato da altri.
- la vita media di questa civiltà una volta che sia arrivata ad uno stadio che le permette l’invio di tali segnali.
La “nuova” equazione di Drake
I due autori elaborano una nuova equazione, a partire da quella di Drake, incorporando le più recenti acquisizioni scientifiche. Queste includono ad esempio
- La frazione di stelle con pianeti che stiamo conoscendo sempre meglio grazie ai dati di missioni dedicate come quella del satellite Kepler
- La funzione iniziale di massa (quante stelle nascono con una certa massa);
- Il fatto che sappiamo che una stella deve vivere in modo sufficientemente “stabile” per un lungo periodo di tempo, diciamo 5 miliardi di anni almeno (come il nostro sole), perché ci sia il tempo sufficiente affinché si formi un pianeta e in esso si sviluppi ed evolva la vita. Una stella anche di poco più massiccia del sole vive questa fase di stabilità (che tecnicamente si denota come “sequenza principale”, periodo in cui la produzione di energia avviene tramite fusione di idrogeno in elio nel nucleo della stella) per un periodo di tempo non sufficiente a garantire la stabilità necessaria.
È inoltre di fondamentale importanza che la stella sia nata da una nube sufficientemente ricca in metalli (dove per “metalli” gli astronomi usano denominare qualsiasi elemento che non sia idrogeno o elio): c’è bisogno di ossigeno, silicio, carbonio, azoto, ferro, ecc., cioè di tutti gli elementi che costituiscono gli organismi viventi.
Ulteriori risultati dello studio
Tra gli altri risultati interessanti di questo lavoro, c’è anche la proposta che il periodo con la probabilità massima di sviluppo della vita sia stato 5 miliardi di anni fa. Il calcolo è presto (si fa per dire) fatto:
- Sappiamo che il picco di formazione stellare della Via Lattea si è verificato all’incirca 10 miliardi di anni fa
- Questo colloca a quell’epoca anche il momento di massimo nella formazione di pianeti;
- Lasciamo quindi 5 miliardi di anni che è il tempo necessario perché si formi la vita come noi la conosciamo (cioè noi stessi…)… ecco fatto.
Insomma, siamo nati quasi in ritardo ma probabilmente questo è dovuto al fatto che il sistema solare è un luogo particolarmente ricco in metalli (sempre utilizzando la definizione “astrofisica”), e produrre elementi più pesanti di idrogeno ed elio comporta vari cicli di formazione stellare, in cui gli elementi pesanti vengono sintetizzati, quindi tempi più lunghi.
Ulteriori chiose: 36 forme di vita? forse, ma…

Ci sono poi condizioni che gli autori ritengono “forti”, cioè devono essere assolutamente presenti (e questo quindi riduce le possibilità che le condizioni si verifichino tutte assieme): in questo caso otteniamo il numero minimo di pianeti in cui dovrebbe esserci una civiltà con capacità tecnologiche tali da poter comunicare; 36 in tutta la galassia (con una incertezza che porta il valore ad oscillare tra 4 e 211). La più vicina di queste civiltà potrebbe trovarsi ad una distanza di 17mila anni-luce. Non proprio dietro l’angolo.
Se invece supponiamo che anche con condizioni meno stringenti si possa avere la vita, allora il numero di civiltà “comunicanti” che ci si aspetta cresce di parecchio: 928 (con il valore che oscilla tra 110 e 2908), e la civiltà più vicina potrebbe trovarsi a soli 3320 anni-luce.
Insomma, risultato finale? Visti i numeri in gioco è probabile che ci sia (altra) vita nella nostra galassia.
Forse saranno 36 forme di vita aliena, forse anche di piu’, ma è altrettanto improbabile -viste le distanze- che le si possa individuare in tempi brevi.
Articolo per “La Scienza Risponde” a cura di Jacopo Fizz
Bibliografia:
- Cocconi, G.; Morisson, P. (1959). “Searching for Interstellar Communications” Nature. 184 (4690): 844–846. Westby, T; Conselice, C.J. (2020).
- “The astrobiological Copernican Weak and Strong Limits for Extraterrestrial Intelligent Life”. Astrophysical Journal, in press.