Abbiamo deciso di raccontare così questo risveglio, questa “Fase 2” in cui Roma, prova a svegliarsi, ma forse, questo risveglio porta dentro di sé ancora qualcosa di incompiuto.
4 Maggio, “Fase 2”: il tempo di pensare
Ve lo ricordate ancora com’è essere abbracciati da qualcuno? Com’è sentire ancora il calore di un’altra persona contro il nostro corpo? Ha un sapore di un ricordo lontano, di amara consapevolezza. Il mio ultimo abbraccio è stato in una stazione, ho salutato una parte di me, le ho chiesto quando ci saremmo riviste, lei mi ha detto “Spero presto”. Inconsapevole che ancora oggi, non sarei potuta tornare a lei, ad una normalità così ovvia, ma così improbabile da restituire. Eppure siamo ancora noi, siamo ancora dentro le nostre vite. Siamo sempre stati qui, mi chiedo, ricordiamo ancora chi siamo? Che siamo fatti di emozioni, di mani, di corpi? Lo so che è solo un momento.
Abbiamo tanto tempo per pensare, adesso. Quando penso al tempo me lo immagino sospeso. In pausa. Ma in realtà tutto scorre e ho paura ora di rimanere indietro. Bloccata in un tempo che non può essermi restituito.
Questo è un inno alla bellezza di Roma, che rimane intatta rispetto a una crisi che ha cambiato tutti. Tutto. Ha rimodellato il modo di pensarci nel mondo. Di camminare, di guardarci. Di schivarci. Ma la verità è che vorremmo non ci avesse mai cambiati. Vorremmo avere il tempo di recuperare tutto. Di conoscere ancora. Di vedere coi nostri occhi. Di poterci toccare, senza che sia uno schermo a rivelarci. Senza maschere, senza protezioni. In attesa di quel giorno in cui la materialità, il momento, il presente torni a sfiorarci con le sue mani prepotenti.
Dedicato a chi ancora non posso toccare.
(Arianna Lomuscio)
Ho alimentato diverse pulsioni inesaudite durante la fase 1 di questo esilio psico-fisico. Le ho accumulate, aggrovigliandole, e le ho riposte in quel cassetto che sono solita devolvere al caos: l’unico principio regolatore del mio vorticoso mondo interiore. Per la prima volta nella mia esistenza, probabilmente, mi sono assoggettata alla sconosciuta legge della programmazione e così, senza neanche rendermene conto, ho iniziato a dare un peso concreto alla lungimiranza. Risultato? Il mio presente, declassato dal ruolo primario che gli ho sempre conferito, si è trasformato in una parentesi transitoria. Forzata, prigioniera e utile ad un solo scopo: toccare il domani. Nella bramosia di appropriarmene il prima possibile, per viverlo senza tutti quei filtri che una vita normale – libera nel suo divenire – è solita usare con prudenza.
Il 4 maggio, in un immaginario collettivo unanime nel suo essere ingenuamente ottimista, si faceva baluardo di un libero arbitrio che – per cause di forza maggiore- ci saluta ancora beffardo dalla collina di Pony. Però quella notte, che ho camminato per godermi l’alba dal Colosseo con i movimenti incerti di un mocciosetto che impara a muovere i primi passi, sono stata investita da una consapevolezza tutt’altro che scontata: la vita, quella vera, fatta di aria che ti entra nei polmoni, mani che si sfiorano e pensieri ad alta voce che si disperdono in spazi che non ti impongo il veto delle mura, è figa sul serio.
Per adesso, anche oggi, ci resta l’incompiuto. Lo stand-by. Quel tasto di riavvio ha la smania di essere pigiato; sbrighiamoci.
(Alessia Lio)
La verità è che siamo ancora congelati in un contrasto, desiderosi di distruggere queste barriere che ci hanno separati così all’improvviso, ma ancora assuefatti al profumo di un’aria più leggera e al silenzio innaturale ed ipnotico che si è impossessato del mondo esterno. Quel luogo oltre la nostra finestra, costellato da striscioni ormai sbiaditi e lasciati appesi alle finestre, odora di libertà e allo stesso tempo inizia a farci paura, facendoci pesare addosso le aspettative del giorno in cui tutto dovrà ripartire, e dal quale noi ancora non abbiamo capito cosa volere. E allora il dubbio ci assale, iniziamo a pensare che forse non è poi così male rimanere al sicuro per qualche giorno in più, protetti da una realtà che al momento non ci sentiamo in grado di affrontare. La mente inizia a ronzare, in preda ad un vortice nel quale stiamo lentamente imparando a sopravvivere, fino a che il pensiero non si posa a chi ci è rimasto lontano, alle persone così vicine a noi che ora non possiamo toccare. “Cambierà qualcosa quando finalmente potremo sfiorarci di nuovo?” “Dovremo ricominciare da capo?” “Quella sensazione sotto le dita che ricordo così bene sarà ancora lì quando arriverà il momento, o si trasformerà in qualcosa di diverso?”
La verità è che le risposte le dovremo trovare noi, istante dopo istante, quando sarà il momento. Che sia domani o fra due mesi, la paura ci attanaglierà, intrecciandosi indissolubilmente con il sollievo e la gioia, con un senso di liberazione che forse mai avevamo provato prima.
Capiremo che qualsiasi distanza si sia insinuata tra noi sapremo ricucirla, in un momento o con il tempo poco importa, perché se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi ultimi mesi, è che la nostra vita senza il respiro di chi amiamo è un po’ come la città più bella del mondo senza le persone che ogni giorno la inondano: unica, ma priva di quel battito che la rende viva.
(Antea Ruggero)