Renzi in crisi, destra separata, sinistra dispersa. Rimangono forti dubbi sui candidati premier delle due coalizioni principali. Nei prossimi mesi potrebbero esserci sorprese inaspettate. E se, alla fine, fosse Minniti il prescelto?
Fino a pochi mesi fa tutto si sarebbe potuto pensare tranne poter intitolare “cercasi leader” un articolo riguardante il candidato premier della sinistra alle prossime elezioni. Si credeva, infatti, che se ci fosse un aspetto risolto nel Partito democratico, questo fosse proprio la figura del candido premier. Dopo la vittoria alle primarie dello scorso 30 aprile, il ruolo sembrava saldo nelle mani di Renzi, nonostante l’esito del referendum e le antipatie che l’ex sindaco di Firenze aveva attirato a se durante il suo mandato Ma le cose potrebbero prendere una piega diversa. Il Renzi rottamatore non è pervenuto, l’accanimento nella campagna referendaria ha creato una spaccatura profonda nel paese e dentro il Pd, le forze populiste incalzano nonostante scivoloni ed incongruenze. La destra unita ha ottime possibilità di vittoria e i 5 stelle sono sopra nei sondaggi, seppur di poco. L’ipotesi di un candidato diverso da Renzi non appare più così improbabile. E servirebbe un personaggio di rottura, che riesca a dar l’idea di un cambio di passo deciso, specie sull’immigrazione. Su questo tema negli ultimi mesi è venuto alla ribalta il nome di Marco Minniti, ministro degli interni in carica dalla caduta del governo Renzi. Vediamo quali sarebbero le motivazioni a favore e contro la sua candidatura.
Perché si
“Il tempo delle parole è finito , ora servono i fatti” è con queste parole che il Ministro dell’interno Marco Minniti rompe gli indugi sul tema scottante dell’accoglienza. Le reazioni sono le più disparate, le condanne delle sinistre da una parte e il freddo scetticismo delle destre dall’altra. Entrambe che, sia per ideologia o per fini elettorali, non mettono in luce l’unico fatto inoppugnabile; questa presa di posizione si è presentata come estrema ratio al termine di un lungo percorso perseguito dal ministro Minniti con decisione, qualità latitante negli ultimi anni al Viminale.
Marco Minniti , calabrese classe1956, storicamente vicino a Massimo D’Alema , in quanto Ministro è l’esatta rappresentazione del pragmatismo post ideologico del renzismo. In poche parole potrebbe diventare una figura alquanto rara nel partito democratico odierno, una figura di unione e non di divisione.
Una figura che irrompe prepotentemente nel tema immigrazione, lo fa da uomo di sinistra in un terreno storicamente dominio della destra. Ormai è chiaro ai più che oltre alle tematiche economiche, il tema dell’immigrazione è un bivio da superare nella tortuosa strada che porta a palazzo Chigi. Fare il nome di Minniti tra i probabili candidati premier può sembrare sicuramente azzardato in un primo momento ma ,gli ultimi risvolti, compresa la “sconfitta di Tallin” e i quotidiani tentativi di “suicidio” del candidato in pectore Renzi, potrebbero rimettere tutto sotto una nuova luce. Per quanto riguarda il rifiuto all’apertura di altri porti da parte degli alti paesi UE, quella che, a ragione, è considerata una brusca frenata all’offensiva italiana sul tema, dal punto di vista elettorale mette invece Minniti nella posizione di baluardo in difesa degli interessi italiani a bruxelles,profilo di cui l’elettore italiano sembra avere un gran bisogno.
In tempi non sospetti ,il 21 aprile del 2015,Marco Damilano già metteva sotto la lente di ingrandimento l’allora sottosegretario, un uomo del Pci arrivato ai vertici degli apparati di sicurezza della Repubblica, riconfermato da Renzi nonostante il forte interesse del fedelissimo Lotti alla carica. Carattere riservato, in netta contrapposizione con il segretario, poco attento ai social e schivo su tutto ciò che non riguarda il suo operato e le sue iniziative politiche, tema dove al contrario dimostra un ottima capacità comunicativa e di chiarezza nella sintesi.
La sintesi, dote fondamentale per una persona che deve di fatto sedere su due poltrone ministeriali allo stesso momento, infatti mentre il nostro Ministro degli Esteri Alfano accompagna Mattarella in visite istituzionali per l’intero globo, Minniti vola a Tunisi, a Malta, tiene vertici al Viminale con i ministri di Ciad e Niger, stipula trattati sulla fornitura di radar alla Libia, insomma, si comporta da perfetto inquilino della Farnesina, supplendone alle mancanze. Un altro punto di forza potrebbe essere la regione che gli ha dato i natali, la sua Calabria alla quale è fortemente legato, dove il 4 dicembre 2014 gli elettori hanno espresso un netto rifiuto alla riforma e al governo Renzi. Avere dopo tempo immemore un candidato premier espressione del sud, gioverebbe a tutto il paese ma, in particolar modo al pd che negli ultimi anni ha sottovalutato le ripercussioni elettorali derivanti da promesse non mantenute e da una generale indifferenza della classe dirigente renziana rispetto al tema del Meridione, dimostrando una sconcertante miopia. Si spera solo che la vista migliori e che si aprano gli occhi considerando l’eventualità di esprimere un candidato veramente capace di unire sotto di se le diverse anime del partito nonché dell’intero paese.
Perché no
Il problema principale è la coalizione politica a sostegno della sua candidatura. Quale partito punterebbe su Minniti come capo del governo? Naturalmente, la risposta più immediata è il Pd. Ma oltre alla situazione intricata all’interno dei dem, con Renzi che difficilmente lascerebbe campo al possibile rivale, il ministro degli interni tratta temi (leggi sopra) che sono poco digeribili dall’ala più a sinistra del partito, per non parlare dei gruppi politici esterni al partito democratico, come Mdp o sinistra italiana. Immigrazione, sicurezza, porti chiusi… sicuri che un elettore “rosso” voterebbe un candidato premier che fa di temi del genere l’epicentro della propria agenda politica?
Immaginarlo come leader di una coalizione di centro destra, tra l’altro ad oggi ancora inesistente, appare piuttosto difficile. Principalmente per il suo passato, fatto di incarichi importanti assunti in vari esecutivi di sinistra, che lo definisce come uomo appartenente a quella parte politica. Non che sia particolarmente identificato dalla gente in questo modo, ma durante la campagna elettorale il suo passato sarebbe difficilmente digeribile ad un elettore “moderato” e sarebbe un argomento sicuramente cavalcato dagli avversari, sia interni che esterni alla coalizione a sostegno della candidatura.
Inoltre per Minniti non sarebbe facile sfondare a destra, visto che l’immigrazione è un tema già cavalcato in maniera esauriente in primis dalla Lega, ma anche da Forza Italia e, ultimamente, dai 5 stelle. Un elettore che ha fortemente a cuore questo argomento continuerebbe a sostenere il partito che per primo ha posto questi problemi all’ordine del giorno, piuttosto che affidarsi alle promesse di cambio di rotta fatte da un partito che è inquadrato dalla maggior parte degli elettori come il principale colpevole dell’attuale situazione.
Un soggetto politico nato dal nulla come Macron? Non sembra avere le physique du rôle ne l’età adatta per realizzare un progetto del genere. Inoltre, un esperimento di questo tipo è già avvenuto in Italia con Grillo, quindi quello spazio dovrebbe essere già occupato.
Inoltre, su Minniti grava un’ulteriore incognita, ovvero la sua capacità comunicativa. E’ un uomo che ha fatto del suo punto di forza il lavoro nell’ombra, lontano da quei riflettori che dovrebbe necessariamente calcare nel caso di una sua candidatura a capo del governo. Come si troverebbe a mestare nel torbido, ad affrontare la battaglia mediatica legata a doppio filo alla corsa verso palazzo Chigi? Sicuramente, per come è abituato a lavorare, sarebbe almeno privo di esperienza.
Scritto da Michele Damiani e Federico Rago