Il conflitto in Yemen e la conseguente emergenza umanitaria, sembrano non avere fine. Le cause vanno ricercate sia oltreconfine che nelle spaccature interne che da sempre lacerano il paese.
L’unica repubblica della Penisola Arabica verte in una situazione di crisi ormai dal 2014, quando le milizie Huthi occuparono la capitale Sana’a e, dopo una breve e fragile pace con il governo, nel Gennaio del 2015, attuarono un colpo di stato ,forti dell’alleanza con l’ex presidente Ali Abdullah Saleh. Pochi mesi dopo, a Marzo, iniziarono i bombardamenti sauditi sul nord del paese, segnando di fatto l’inizio delle ostilità ad un altro livello.
Ali Abdullah Saleh (Foto dal web)La scarsa e superficiale attenzione rivolta dai media a questo conflitto è dovuta a vari fattori, da una parte la guerra in Siria che monopolizza le prime pagine e dall’altra la complessità della situazione yemenita, che non può essere ridotta all’ennesimo capitolo della lotta a distanza tra sauditi e iraniani. Il paese infatti presenta una situazione molto complessa, partendo dal fatto che la riunificazione tra nord e sud è avvenuta solo nel 1990, il territorio è sempre stato suddiviso in zone di influenza, indipendentemente dalla riunificazione.
Ciò rende difficile analizzare un conflitto che presenta al suo interno almeno tre livelli di scontro: Le identità regionali contrapposte all’oligarchia di Sana’a, Salch contro Islah (ossia il blocco di potere che sostiene l’ex presidente Saleh contro il partito espressione del blocco tribale islamista)ed infine la contrapposizione tra Riyad e Teheran. Riguardo a quest’ultimo punto è importante fare una precisazione, l’appoggio iraniano alle milizie sciite è limitato alla fornitura di armi e al supporto economico, di contro i sauditi sono direttamente coinvolti sul campo, sia con l’aviazione ma anche con il dispiegamento di forze terrestri. L’invio di una forza di coalizione ufficialmente guidata dagli Emirati Arabi, oltre ad essere la prima volta in cui le monarchie del golfo inviano soldati oltreconfine, rimarca ulteriormente la volontà di Riyad di mantenere il controllo nell’area.
Milizie Houthi (foto dal web)Il protagonista di questa iniziativa è Mohammed Bin Salman, Ministro della Difesa e primo nella linea di successione al trono Saudita. La missione del giovane principe, va letta nell’ottica di un offensiva generale contro l’avanzamento del “blocco sciita” composto da libano, Iran e Siria. L’eventuale perdita di un paese amico e totalmente dipendente dall’Arabia Saudita come lo Yemen, sarebbe un colpo troppo grande per Salam che deve dimostrare di meritare la successione, infatti in patria molti guardano con scetticismo alla scelta del Re di stravolgere la normale linea dinastica a favore del figlio prediletto ,il quale promette profonde riforme.
Mohammed Bin Salman (Photo credits:Ansa)Nonostante gli sforzi della coalizione, le sorti del conflitto non sembrano volgere a favore del governo ne tantomeno di Riyad, è nel nord del paese che si gioca la partita fondamentale. Gli Houthi oltre a condurre operazioni di guerriglia molto efficaci, per di più nel loro territorio, hanno l’appoggio incondizionato della popolazione che viene rafforzato dai bombardamenti tutt’altro che chirurgici dei sauditi che possono “vantare” tra i loro obbiettivi anche l’ospedale di Medici Senza Frontiere. D’altra parte le milizie sciite non sono da meno con i blocchi stradali a danno dei convogli umanitari che hanno di fatto isolato e condannato la città di Taiz.
Bombardamenti sauditi sulla capitale (foto dal web)Come è accaduto precedentemente in Libia e in Siria, l’unica compagine che sembra trarre vantaggio dal caos generale è Daesh, che ha rafforzato la sua influenza nella città portuale strategica di Aden, compiendo diversi attentati a danno delle autorità governative locali. La rapida risoluzione del conflitto pare improbabile, anche in virtù dei plurimi fallimenti inanellati nei colloqui di pace a Ginevra. La soluzione potrebbe essere uno smembramento del paese in più nazioni sovrane, o quantomeno l’istaurazione di un forte federalismo che rispetti le diverse anime che popolano una nazione che forse, come molti paesi del” terzo mondo”, non sarebbe mai dovuta esistere come tale.
Federico Rago