Gennaio 2016, l’entrata in vigore dei trattati firmati a Vienna il 2 Aprile del 2015 tra i membri permanenti del consiglio di sicurezza (più la Germania) e l’Iran fece pensare all’inizio di un disgelo. Lo scorso 12 Ottobre Trump rimette tutto in discussione ma ciò potrebbe avere ripercussioni anche sugli accordi commerciali tra Teheran e Roma.
Un incubo cominciato nel lontano 1979, con la rivoluzione dell’Ayatollah Khomeini che di fatto sancì l’isolamento iraniano rispetto alle potenze occidentali. Nel 2008 un’altra rivoluzione, o presunta tale, questa volta a migliaia di chilometri di distanza, a Washington. Viene eletto Barack Obama, il primo Presidente nero degli Stati Uniti d’America. In realtà di rivoluzionario il mandato di Obama ebbe poco, soprattutto in politica estera, ma una rottura ci fu, proprio il trattato sul nucleare con l’Iran, fortemente voluto e difeso dal presidente, il quale forse non si rese conto di essere il solo alla Casa Bianca ad appoggiare questa iniziativa. Gli accordi coinvolgevano tutte le potenze occidentali e non per ultima l’Italia, infatti non riguardavano esclusivamente il nucleare, prevedevano anche la graduale riduzione delle sanzioni economiche verso Teheran, aprendo di fatto il mercato iraniano al mondo. La delegazione italiana che sbarcò il 12 Aprile del 2016 in Iran, fu la prima ad essere ricevuta da Rohani. Composta da 147 Manager rappresentanti di 55 aziende (Eni, Saipem, Mediobanca, FS) siglò accordi per 30 miliardi di euro, pronta a rispolverare i rapporti privilegiati che i due paesi avevano prima del 1979, un sogno insomma.
Rouhani con Renzi nell’Aprile del 2016 (foto dal web)Ma lo scorso 12 Ottobre un ciclone dalla bionda chioma di nome Donald Trump ha interrotto questo sogno, obbligando anche gli imprenditori italiani ad un brusco risveglio. Sembra di essere ripiombati indietro di decenni, accuse verso Teheran di improbabili finanziamenti ad al-Qaeda (formazione sunnita per la quale l’iran sciita non nutre particolari simpatie) violazione dei trattati sul nucleare (gli iraniani hanno acconsentito all’ingresso periodico di osservatori UN).
In realtà il risveglio non è stato così brusco, mentre Obama gioiva all’indomani della firma di Vienna, a Washington si era già messa in moto una macchina pronta ad ostacolare la reale riuscita degli accordi commerciali, una macchina chiamata sistema americano, indipendente allo studio ovale, soprattutto durante la presidenza Obama. Le chiamate tra Teheran e Roma si sono affievolite nel corso dei mesi e la motivazione era una ed una sola, le banche statunitensi avevano iniziato ad ostacolare il flusso di denaro iraniano, rendendo impossibili alcuni investimenti fondamentali per Teheran. Nessuno negli U.S.A è interessato a favorire lo sviluppo economico dell’unica potenza sciita dell’area, fortemente avversa sia agli “amici” sauditi che ad Israele. Obama con la sua testardaggine aveva rischiato di rovinare questo disegno decennale che va ben oltre lo stesso Presidente. Dopo il discorso di Trump, le reazioni degli altri paesi coinvolti sono state a dir poco fredde, gli iraniani ribadiscono la non-rinegoziabilità dei trattati, lo stesso hanno fatto Russia, Cina e la stessa Federica Mogherini. L’attenzione viene puntata sul nucleare ma, molti analisti sostengono che il vero nodo sia negli accordi commerciali e nella fine delle sanzioni. “The Donald” a differenza del suo predecessore e fedele all’elettorato che lo ha portato alla Casa Bianca, ha rimesso in discussione quella che si poteva considerare una svolta storica nelle relazioni tra l’occidente e il fu impero persiano. La schizofrenia di Washington comporta ancora una volta conseguenze per i suoi alleati. La posizione di Russia e Cina pare essere contraddittoria rispetto alla Casa Bianca, si apre l’ennesima partita, forse per quella delegazione di inizio aprile 2015, non tutto è perduto, ma sicuramente, per ora, niente dipende da Roma ne tanto meno da Bruxelles.