Benvenuti al secondo report di Metropolitan Magazine Italia sul Festival di Berlino. Tante novità in serbo per voi: i commenti ai film delle precedenti giornate, le star sul red carpet e l’esordio nella kermesse dell’unico film italiano in gara aspettando il cinema americano.

C’eravamo lasciati con la presentazione al grande pubblico di Eva di Benoit Jacquot e lo riprendiamo due giorni dopo con i fischi della sala dopo la prima proiezione. I toni ambigui, torbidi e perversi visti nel libro di James Hadley Chase, dai cui è tratto il film, scompaiono. Opera pretenziosa che si sviluppa più su un piano psicologico abbandonando spesso la storia che diventa a tratti grottesca. Isabelle Huppert appare in grande forma ma fuori luogo in una posizione non congeniale alla sua età. Le soluzioni autoriali sfiorano tal volta il ridicolo rendendo la pellicola goffa e priva di contenuti. Di maggiore interesse è il film Transit di Christian Petzold. Il regista tedesco prosegue nel suo percorso alla scoperta del pensiero tedesco tra le guerre e lo fa in un film dove mostra che la distanza tra la Seconda Guerra Mondiale e la nostra epoca sembra più vicina che mai. Film che racconta la storia di un esodo; un viaggio ma anche la trasformazione culturale di un’intera nazione. Attraverso l’odissea straziante  dei rifugiati che nella poetica del regista ritrovano vita. Mai banale e non retorico perché i rifermenti tra quell’epoca e la nostra sono velati ma tanto chiari da farci riflettere. In Dovlatov di Alexey German JR si parla di censura e di ostruzionismo. Piani sequenza estenuanti, talvolta surrealistici seguono la vena poetica dello scrittore, a cui è ispirata la vicenda. Il film fa riflettere sull’inutilità della privazione della libertà artistica ponendosi con toni sarcastici di fronte alla gravità degli accaduti. Dovlatov viene considerato dalla critica come uno dei migliori film al festival visti fino ad ora.

Applausi a scena aperta per l’unico film italiano in concorso: Figlia mia di Laura Bispuri che si dichiara favorevole al movimento #MeToo ma si batte verso la strumentalizzazione di qualsiasi causa! La regista romana crea donne a tutto tondo puntando su una forte caratterizzazione eliminando la perenne attesa della controparte maschile. La voglia di raccontare le pulsioni umani nonostante la globalizzazione porta l’autrice ad ambientare l’opera in una Sardegna ancestrale e primitiva. Quest’ambientazione fa da base alla vicenda che vede nelle attrici il pomo della discordia della pellicola. Se la piccola Sara Casu si dimostra eccezionale come esordiente non si può dire di Valeria Golino e Alba Rohrwacher che spesso appiano melodrammatiche e di difficile empatia. Continua la domenica di festival con Le priére di Cédric Khan che riesce a colpire la giuria con un’opera che unisce la lotta alla dipendenza con la lotta alla fede più estrema alla ricerca di una via giusta di religione. Delude The Real Estate di Alex Petersen e Mans Mansson.

 

Nella giornata del 19 viene mostrato l’omaggio toccante che Emily Atef fa a Romy Schneider nel film Three days in Quiberon. L’attrice, interpretata da un ottima Marie Baümer, viene immortalata in uno splendido bianco e nero che le continua a donare grazia nonostante la depressione e il sentimento di morte aleggi nell’aria. La regista non è mai banale ed evita di entrare nei cliche del film facile. Decide perciò di lasciare spazio alle immagini rappresentando semplicemente la vita. Fuori concorso è Seven days in Entebbe del produttore e regista di alcune puntate di Narcos Josè Paldilha. Il film porta a Berlino qualche film di genere per intrattenere gli spettatori meno esigenti. Thriller teso e cupo con degli ottimi Rosamund Pike e Daniel Brühl. L’ultimo film della giornata porta la paura e il dramma sul grande schermo. Si ricalca il dramma del terrorismo. Il film è Utøja 22.Juli di Erik Poppe che parla della strage avvenuta in Norvegia nella cittadina da cui il titolo dell’opera prende il nome. Grande merito va al regista che riesce a incanalare sullo schermo lo stupore più che la disperazione, lo smarrimento più che i morti, l’incredulità più che l’odio. L’espediente è una giovane donna ignara, o quasi, di tutto ciò che la circonda perché impegnata in un campeggio. Presto la sua felicità svanirà diventando

una testimone nel dramma. Da vedere.

Per martedì 20 Febbraio il festival ci propone due dei film più attesi: Season of the devil di Lav Diaz e Don’t worry, he won’t get far on foot di Gus Van Sant. Al prossimo report e mi raccomando: Buon Cinema!

Quinto De Angelis