Alla fine è successo. L’Esercito Libero Siriano, alleato di Ankara, è entrato ad Afrin rompendo le eroiche difese delle milizie curde del YPG. Erdogan sostiene di aver il totale controllo della città, il portavoce del YPG Brusk Haseke dichiara che i civili non verranno abbandonati alle barbarie degli occupanti. Sicuramente è in corso un massacro di civili, sarebbero più di 300 le vittime tra la popolazione, da aggiungere ai 1.500 caduti tra le forze curde. Tutte vittime di un aggressione ingiustificabile, coperta dall’assordante silenzio della Nato e della maggior parte dei media.
In questi ultimi due mesi si è sentito parlare molto di Siria, gli attacchi di Assad nella regione del Ghouta, i civili in fuga dal Ghouta orientale, non che ci siano emergenze di serie A o di seri B, un emergenza è un emergenza, un massacro è un massacro. Tuttavia nel frattempo in Siria era in corso un altra guerra, ugualmente disastrosa e sconcertante.
La differenza?
Sta nel fatto che da una parte l’aggressore era Assad, inviso alle potenze occidentali eccezion fatta per la Russia, dall’altra a portare l’attacco, che in qualsiasi altro caso sarebbe stato giudicato criminale, è stata la Turchia, il secondo esercito della Nato per numero di effettivi. Una situazione di certo imbarazzante per l’Alleanza Atlantica, costretta al silenzio di fronte all’aggressione mossa nei confronti di coloro che fino al giorno prima erano stati i pupilli di Washington, i Curdi del Rojava. Il 20 Gennaio era scattata l’operazione denominata “Ramoscello di Ulivo”, quasi a voler deridere la comunità internazionale. Sotto questo simbolo di pace si cela la volontà di Erdogan di attuare una sistematica eliminazione del popolo curdo. Afrin è diventata il simbolo della resistenza, come lo era stata Kobane contro l’Isis, questa volta è diverso. Se contro il Califfato i curdi potevano godere di un appoggio logistico e politico, in questo caso sono abbandonati a se stessi. L’unico a tentare di difenderli, quantomeno a parole è proprio quel cattivone di Assad. Cattivo lo è veramente, un termine tanto infantile quanto pregnante nel caso del dittatore di Damasco. Assad non è mosso da un interesse verso la causa Curda ma, pare essere l’unico ad essersi accorto che i confini siriani sono stati violati. Sono stati violati da un paese (la Turchia) che durante il conflitto contro l’Isis ha mantenuto un atteggiamento a dir poco ambiguo. Se i confini turchi sono stati sempre sbarrati per i rifornimenti a favore dei curdi, non si può dire altrettanto per i convogli del Califfato. In quel caso la frontiera turco-siriana diventava magicamente permeabile, diverse testimonianze di fuoriusciti jihadisti indicano nella Turchia un porto franco per far transitare combattenti, droga ed armi. Questo fino a quando non si è capito che la fine militare dell’ISIS era vicina, a qual punto Ankara si è schierata apertamente contro i tagliagole, salvo poi rivolgere la sua attenzione sul nemico di sempre, il popolo curdo. Nelle ultime ore questa campagna sembra giunta al termine, l’eroica resistenza delle Forze di Difesa del Popolo curdo nulla ha potuto contro gli attacchi aerei turchi, Afrin è caduta. Il corridoio umanitario “concesso” da Erdogan sta servendo solo ad individuare con facilità i convogli di civili che abbandonano la città.Una volta individuati vengono prontamente colpiti dall’aviazione, stessa sorte tocca agli ospedali. A nulla servono le smentite di Ankara, nel 2018 ogni cosa viene ripresa, postata e resa chiara e inconfutabile. Lo dimostra la sollevazione che sta avvenendo in molte piazze, al di fuori dei palazzi, oltre alle dichiarazioni ufficiali (poche) sta nascendo un movimento internazionale pronto a sostenere il popolo curdo, a difenderlo dalla prossima aggressione.
Afrin è solo il primo atto di uno “spettacolo” il cui finale ad oggi sembra scontato, se fosse un giallo il colpevole sarebbe il maggiordomo, in questo caso è Erdogan. Ora l’attenzione di Ankara è rivolta su Kobane, le sorti dei curdi si decidono di nuovo in questa città già in passato simbolo di resistenza. Oggi come ieri, come intitolava un noto fumettista romano: “Kobane Calling”.