Il fronte della solidarietà al Regno Unito sul caso Skripal si allarga a 18 paesi di cui 15 dell’Unione Europea. Tante sono le cancellerie che nelle ultime ora hanno deciso di espellere una parte dei diplomatici russi residenti all’interno dei propri confini. Si tratta del momento di maggior tensione da quarant’anni a questa parte. Da quando l’Unione Europea accettò di “ospitare” il sistema missilistico della Nato nel vecchio continente. La risposta del Cremlino non si farà attendere, i paesi del sud Europa sperano in una risoluzione diversa della crisi.

 

(Foto dal web)

Il gesto più eclatante, come spesso avviene da un anno a questa parte, viene dalla Casa Bianca. Donald Trump ha infatti chiuso il consolato Russo di Seattle. Tra le 60 espulsioni decise da Washington, circa 12 sarebbero riconducibili all’intelligence del Cremlino. I primi europei a far eco agli Usa sono Francia e Germania espellendo quattro diplomatici a testa. Kiev dichiara “persone non gradite” 13 cittadini russi e altrettanto si appresta a fare la Polonia. Non tutte le cancellerie, al di la del gesto, sono fermamente convinte delle loro stesse azioni. Prima fra tutti la Merkel, perennemente stretta tra due “blocchi”. Da una parte i legami decennali e strategici con il Cremlino, dall’altra i Paesi dell’Europa centro-orientale, fermi su posizioni dichiaratamente “anti-russe”. Per motivi diversi, paesi come Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia sono restii a inasprire i rapporti con Putin. La Polonia, diventata la punta di diamante della Nato in Europa, continua sulla linea della fermezza. Gli altri paesi dell’area, pressati da venti interni sovranisti e antieuropei, non rischiano una spaccatura netta con Mosca. I paesi della “sponda sud” si attestano su posizioni differenti. La Grecia, da sempre interlocutore privilegiato di Mosca, invita alla cautela, stesso discorso vale per gli spagnoli. Madrid è alle prese con gli accordi per la Brexit riguardanti Gibilterra e il Premier Rajoy è impegnato sulla questione catalana che gli impone di non perdere il vacillante consenso di cui gode il suo governo di minoranza.

La situazione italiana.

Le espulsioni sono fortemente osteggiate nel bel paese, sia da Lega Nord e Fratelli d’Italia che da Gentiloni. Ovviamente con toni diversi ma la linea emersa è proprio questa e per una volta va detto, è una linea coerente. Il governo Gentiloni ha sempre espresso una voce fuori dal coro sulla questione russa, in primo luogo per quanto riguarda le sanzioni. Il nostro paese è tra quelli che maggiormente “soffrono” delle suddette sanzioni ai danni di Mosca. In molte dichiarazioni, l’ex Premier aveva espresso il suo disappunto nei confronti del rinnovo “in automatico” di queste sanzioni. Invocava un confronto che ne mettesse in discussione l’attuazione, cosa che prontamente non è mai avvenuta. Stesso discorso vale per le espulsioni, la Farnesina ha fatto sapere che saranno due i diplomatici russi a dover lasciare l’Italia. Questa decisione, per quanto doverosa è stata presa malvolentieri.

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Palazzo Chigi si trova stretto come la Merkel, tra due fuochi. Da una parte la Nato, dall’altra la convinzione che rinunciare ad un rapporto privilegiato con Mosca implicherebbe  dei danni irreparabili alla nostra economia e alle politiche in termini di sicurezza. Fino ad ora Gentiloni ha dimostrato un olimpica compostezza sul tema, degno della migliore Democrazia Cristiana (e in questo caso non è un accezione negativa). Ma Gentiloni è stato “sfrattato” da Palazzo Chigi, resta da chiarire chi sarà il nuovo inquilino che darà le migliori “garanzie” al padrone di casa. Il padrone di casa è Mattarella, per questo breve periodo il Quirinale si risveglia dal torpore che di solito lo contraddistingue. Qualora a ricevere l’incarico fosse Salvini, la politica estera italiana subirà certamente una brusca virata in direzione Mosca. Questo è uno dei rari casi in cui voltare le spalle alla Nato significa voltarle all’Europa. Di nuovo la dura scelta, Est o Ovest? Tutto scorre nulla cambia.