Cultura

Indie Rock italiano: il meglio (gennaio/marzo) Parte III

E chiudiamo con il terzo e ultimo capitolo (stavolta dedicato all’Italia) la nostra selezione tra gli album più meritevoli del primo trimestre 2018: aiuterà l’ascoltatore interessato a fare la scelta giusta oppure lo streaming a colpo sicuro. Ancora una volta, buon ascolto!

 

Gigante, “Himalaya”
Nove brani per poco più di mezz’ora di musica: un epico album a tema ispirato alla grande letteratura di viaggio, nel cuore i grandi classici moderni e contemporanei (da “Walden” a “Cuore di Tenebra” passando per “La Strada”, “Into The Wild” e “Il Richiamo della Foresta”) che camminano a braccetto con altre suggestioni legate all’animazione giapponese anni Ottanta (su tutti, ‘Ken il Guerriero) ma anche al ‘Western Pop’ di Quentin Tarantino o alla ‘New Hollywood’ dell’età dell’oro. L’intelaiatura dei brani è insolitamente affidata all’ukulele, il sound di matrice matrice folk rock, sezione ritmica solida e tastiere/synth cui spesso è affidato il compito solista.

Canzone: “Guerra

Baustelle, “L’amore e la violenza Vol.2”
Arriva a un anno di distanza dal primo capitolo: come nel suo album ‘gemello’, ritroviamo tra i solchi del vinile brani strumentali e archi in stile ABBA, synth, ambientazioni tipiche di film polizieschi/horror anni ’70. Tanto pop colorato, caleidoscopico e umorale come non accadeva dai tempi di ‘Amen’.
Il songwriting è maturo ma sempre in evoluzione, la vocalità si concede anche qualche  piccolo vezzo d’interpretazione. Il tema cardine? Il bisogno, anzi l’urgenza d’amore costi quel che costi.

Canzone: “Veronica N°2

Wrongonyou, “Rebirth”
Finalmente il primo album di studio, dopo un Ep e diversi singoli. Coccolato da pubblico e critica, in rampa di lancio per un futuro successo nazionale/internazionale, complici testi scritti/cantati in inglese e un paesaggio sonoro affine ai successi più importanti in ambito pop rock d’alta classifica.
Lui è Marco Zitelli, 27 anni, in arte Wrongonyou, sotto contratto per la storica etichetta Carosello, la stessa di Levante e TheGiornalisti. Un set di brani soffusi e gentili, sognanti e garbati, inter-generazionali come il pop della più abile fattura, “indie” suo malgrado.

Canzone: “The Lake

Calibro 35, “Decade”
Dieci anni. Un’epopea incorniciata metaforicamente tra spari, sirene della polizia e groove poderosi degni del miglior film di genere “poliziottesco” o della science fiction da appassionati. Questo l’orizzonte cinematografico/musicale intorno al quale la band si è sempre mossa, con la voglia di tirare l’acceleratore spingere ancora oltre, come in questi brani che vedono la collaborazione degli ottoni (Esecutori di Metallo su Carta). L’album è una summa delle eclettiche doti della band, sciorinate lungo la prima parte di carriera. Evoluzione costante, cura di ogni particolare. Al resto pensa quella bollente fusione di funky, jazz, psichedelia e rock da colonna sonora di cui i Calibro 35 sono indiscussi maestri.

Canzone: “Superstudio

Generic  Animal, “s/t”
Non è certo “generico” quanto “bizzarro” l’animale che da il nome a questo nuovo percorso musicale, che fa suoi differenti idiomi (alternative rap, folk/pop, soul) e li sintetizza in una formula eccitante, credibile e stimolante. I testi sono opera di Jacopo Lietti (il leader dei dei Fine Before You Came), mentre la produzione è stata affidata a Marco Giudici e Adele Nigro (Any Other). Il vocalist è Luca Galizia, 23 anni. Capace di dare vita a un sound fresco, rilassato, popolato di micro racconti dolci-amari di vita quotidiana in provincia.

La formula ha un ché di “non finito” e “destruttrato” , un’aura ancora quasi acerba eppure incredibilmente matura al tempo stesso. Chitarra acustica, soul, malinconia, inquietudine. Da non perdere.

Canzone: “Broncio

Mèsa, “Touché”
Dietro allo pseudonimo si cela Federica Messa, cantautrice romana classe 1991. Di suo finora è uscito un EP omonimo lo scorso anno, una manciata di brani che le sono valsi il contratto con Bomba Dischi, rifugio sicuro di tutto l’indie capitolino più scintillante e pubblicizzato. “Touché” è il disco di debutto, undici brani screziati di un pop/rock delicato e molto intimista, che nell’ispirazione guarda tanto alla autrici del passato (Cristina Donà) che del presente (Levante). Suoni e arrangiamenti convincenti, guidati da una voce dalla sicurezza che non diremmo di un esordiente. Il titolo del disco rimanda in prima battuta alle regole della scherma. Ma vale qui soprattutto come participio passato del verbo “toucher”, in uso ogni volta che ci si sente esposti ammettendo qualcosa che forse, nel profondo, si voleva tener nascosto.

Canzone: “Oceanoletto

The Zen Circus, “Il Fuoco in una Stanza”
Si tratta probabilmente del lavoro meno immediato per il quartetto toscano, segno di un progressivo, ideale passaggio dal punk/folk della prima ora a un eclettico alternative rock denso di dettagli e sfumature. Temi: anche qui il privato e l’intimo prendono piede a discapito dell’impegno socio-politico-ambientalista cui i ragazzi ci hanno abituati. Tredici tracce per un album vissuto, zeppo di canzoni che funzionano e chiedono solo di essere ascoltate ancora, anche solo per apprezzare fino in fondo il grande lavoro fatto in studio di registrazione. Sembrano finiti i tempi della ‘presa diretta’ in favore appunto di uno sfruttamento sapiente delle potenzialità che una produzione di mesi e mesi può generare.

Canzone: “Catene

Dunk
Super-gruppo come si diceva una volta: ne fanno parte i fratelli Giuradei, Carmelo Pipitone (Marta sui tubi) e Luca Ferrari (Verdena), e la loro forza sta tutta nella grande eterogeneità della proposta: c’è infatti spazio per languide visioni acustiche cui fanno seguito, senza apparente soluzione di continuità trascinati e ribollenti gorghi di prog-rock viscerale, e poi di nuovo ballate delicate come una brezza autunnale.

Il suono è possente eppure incredibilmente malleabile: le due anime coesistono perfettamente facendo della sperimentazione sonora dei Dunk un album di tutto rispetto, da vivere e respirare a pieni polmoni.

Canzone: “E’ altro

 

Di Ariel Bertoldo

 

 

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