Maratona, Poitiers, Yorktown, Austerlitz, Verdun, El Alamein, soltanto alcune delle più grandi battaglie che sono state combattute dall’uomo nel corso della storia mondiale; battaglie di importanza memorabile, quasi quanto quella che quest’anno è andata in scena tra Napoli e Juventus per la conquista dello scudetto. Un ‘testa a testa’ palpitante che è rimasto imprevedibile fino all’ultimo, ma che, ahimè, come tutti gli altri scontri sopra citati, è ormai giunto al termine.
Nonostante un avvio di stagione scoppiettante, che vede i Partenopei saldi al primo posto in classifica, con il relativo e meritato diploma di ‘campioni d’inverno’, il Napoli continua il suo cammino, in Italia e in Europa, seguendo una disastrosa parabola discensionale. Prima l’istantanea uscita dalla Champions League nella fase a gironi (un girone, tra l’altro, non così impossibile da affrontare), poi l’ulteriore eliminazione ai quarti di Coppa Italia ad opera dell’Atalanta, per non parlare, infine, della prematura caduta ai sedicesimi di Europa League contro il Lipsia. Insomma, agli uomini di Sarri, privati di tutto il resto, rimane soltanto l’aspirazione scudetto come unico obiettivo stagionale. Laurearsi campioni d’Italia costituirebbe, per tutta la società ed i tifosi al seguito, un sogno magnifico che non si avvera dal lontano 1990.
Eppure, nel mese di marzo, quel sogno tanto agognato comincia piano piano a sgretolarsi: il Napoli inizia a cedere, perdendo prima contro la Roma in casa, pareggiando poi con l’Inter in trasferta. Ad approfittarne alle spalle c’è la sempre incedibile Juventus, famelica come un condor delle Ande, che mette la freccia e sorpassa gli Azzurri, catapultandoli inesorabilmente in seconda posizione. Da quel momento prende avvio un’appassionante e logorante lotta tra le due contendenti, distanziate a pochissimi punti l’una dall’altra.
E anche se Koulibaly riesce per un attimo a riaccendere le speranze e le fantasie di un’intera città con la sua imperiosa capocciata di testa, che trafigge la rivale bianconera proprio allo Stadium, riaprendo tutti i giochi a sole quattro giornate dalla fine, quelle seducenti illusioni vengono poi malamente stroncate la settimana successiva, quando un certo “Cholito” Simeone affonda la squadra campana con una devastante tripletta, facendola definitivamente allontanare dalla Madama capolista.
Allora ci si appiglia a quelle presunte teorie di complotto di una Vecchia Signora che rubi, paghi gli arbitri e trucchi gli andamenti delle partite; si potrebbe disquisire per ore, se non per giorni interi, su rigori non dati o concessi troppo generosamente, su espulsioni evidenti non sanzionate ed altri mille simili episodi al limite del dubbio. Fatto sta, signori miei, che, tra un mugugno e l’altro, dove ormai l’aritmetica rappresenta soltanto una insignificante questione di formalità, la Juventus si appresta a chiudere il 2018 da vincitrice per la settima volta consecutiva, dimostrando ancora il proprio dirompente strapotere e la propria insaziabile sete di successo; il Napoli, invece, come tutte le altre compagini italiane, si prepara ad andare tristemente in vacanza con la bacheca vuota ed impolverata. Probabilmente, al calar del sipario, si è rivelato essere un sadico karakiri quello compiuto da mister Sarri e i suoi ragazzi, che avrebbero certamente potuto gestire in modo migliore, sul suolo patrio e non, i vari fronti su cui sono stati impegnati durante questa annata. Onore comunque alle armi!
Ma che volete farci amici, c’è un momento per combattere, un momento per la rassicurante menzogna raccontata a se stessi e un momento per la cruda verità, un momento per vivere e continuare a sperare, e uno per morire e perciò rassegnarsi davanti all’inevitabile. “This is war!”, cantavano i Thirty Seconds To Mars nel 2011, esponendo questi concetti, non esattamente riferendosi, però, alla spietata guerra del mondo del calcio.
Tartaglione Marco