Winnie the Pooh, l’orso giallo che ha imperato per anni sui sentieri della nostra infanzia, è protagonista di retroscena del tutto esclusivi. Conosciuto come un “lui”, adesso si scopre che, in realtà, era una “lei”.
Siamo onesti, la nostra è una generazione temprata da traumi infantili vari ed eventuali, tesi a stuzzicare la precarietà di una psicologia ancora in formazione (vedi i Cinque traumi (più uno) targati Walt Disney). E’ con animo turbato e desolato che, ad un soffio dal club degli “enta”, ricordo ancora il rimbombo del pianto struggente del brutto anatroccolo, nel cortometraggio della spietata Disney.
Ad aggiungersi alla lista pressapoco infinita di alibi per potenziali psicopatici, ci pensa il nuovo sesso di Winnie the Pooh. Da qualche ora, in rete, infuria la nuova sul genere reale dell’orso che avrebbe ispirato il suo scrittore: A.A. Milne.
A.A. Milne con il figlio Christopher Robin
Winnie the Pooh: la vera storia
La storia vera che ha portato l’autrice Lindsay Mattick, ideatrice di “Finding Winnie“, a svelare i fasti di questo iconico personaggio, scalda il cuore dei più algidi. Il luogotenente Harry Colebourn, di cui la Mattick è pronipote diretta, era colui il quale aveva adottato una cucciola di orsa rimasta orfana. Nella convinzione di poterla accudire e addestrare, la chiamò Winnie (diminutivo di Winnipeg) e la portò a casa sua, in Gran Bretagna. Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, l’uomo fu chiamato alle armi in Francia e, per questo motivo, si trovò costretto ad affidare l’animale allo zoo di Londra. E’ stato in quell’ambiente, sicuramente più ostile rispetto al calore di un focolare domestico, che la giovane orsa subì le curiose attenzioni di un piccolo visitatore: Christopher Robin, il figlio A.A.Milne.
Quell’incontro speciale, spronò il bambino a chiamare il suo orso di peluche con il nome dell’esemplare femmina, in carne e ossa, che aveva ammirato quel giorno. Il suo papà, di lì a poco, avrebbe dato vita ad una collana di racconti per ragazzi aventi come protagonisti i pupazzi di pezza di suo figlio. Primo fra tutti, nel ruolo principale, Winnie the Pooh: ora, una delle star più conosciute e redditizie dei cartoni animati di casa Disney.
Winnie the Pooh – A.A.Milne. (Immagine dal web)Appreso il resoconto commovente delle vere origini del nostro beniamino, irrompo con la reazione immediatamente successiva alla presa di coscienza che l’ingordo orso color del miele fosse una femmina. Siamo ad un livello analogo alla scoperta di Titti che, con la sua sottile voce squillante e le lunghe ciglia da vamp, era invece un maschio dalla virilità accuratamente soffocata.
Cresciuti a pane e Sailor Moon, con le Starlights ambigue nel loro essere transgender, siamo quella generazione X che scorreggia con orgoglio sul perbenismo becero. Eppure, lungi dallo scandalizzarmi per una simile inezia, mi è andata di traverso la saliva al pensiero di identificare quel Winnie ,dalla simpatia per me poco rilevante, come una femmina. Lui, con l’aplomb di un goffo quarantenne brillo in pensione, è sempre stato accostato a tutto ciò che meno poteva associarlo al gentil sesso.
Poi, parliamoci con trasparente schiettezza, venire a conoscenza di questa storia non è sicuramente il dettaglio più inquietante della serie. Studi quantitativi, sicuramente meno qualitativi, hanno portato in auge una verità che razionalmente di sconcertante ha ben poco, se si osserva anche solo per pochi minuti la “poco allegra” combriccola di Winnie.
Winnie the Pooh: i casi umani
In testa abbiamo, ovviamente, il protagonista: il nostro Pooh, dall’alto del suo rassicurante gonfiore addominale, è tra una dimenticanza e una figuraccia che ostenta il suo problema principale. Con la stessa insaziabilità di un cristiano post digiuno eucaristico, dimostra a più riprese quello che assomiglia ad un disturbo alimentare. Precursore del reality “vite al limite” di Real Time?
Segue il maialino Pimpi: voce tremolante, determinazione questa sconosciuta e insicurezza come accessorio principale, sono le qualità più evidenti del più piccolo del gruppo. Il suo è stato definito come un poco trascurabile disturbo d’ansia, condito da attacchi di panico che possono accompagnare solo. Ma Pimpi è carino. Ed è rosa. In realtà, tra tutti, l’unico difetto grossolano sembrerebbe esser quello.
Tigro: l’instancabile felino di pezza dall’iperattività invidiabile e, a tratti, anche fastidiosa, è il paziente affetto dal deficit dell’attenzione. Un tratto che lo porta ad alimentare un qualificabile entusiasmo per qualcosa che, dopo qualche minuto, dimenticherà come l’elenco delle cose da fare lasciato sul tavolo dalla propria genitrice. Immedesimazione Tigro, immedesimazione.
Ih Oh: l’asino tutto sorrisi, entusiasmo e felicità inesistenti, è il candidato perfetto e ideale per gli estimatori di Giacomo Leopardi. Simbolo della depressione più avvilente, il dolce somaro attrae lo spirito da crocerossina di una nutrita compagine di ragazze che, per anni, ha avuto il suo peluche attaccato allo zainetto. L’augurio che si facevano da sole, era quello di un’esistenza felice?
Tappo: il coniglio del Bosco dei Cento Acri è l’aspirante perfetto per il titolo di elemento ossessivo compulsivo della compagnia. Credevate di essere soli nel subire la scomoda sensazione di dover ripetere ciclicamente azioni che non hanno alcuna utilità nel quotidiano? E invece no. E ora andate, suonate il citofono due volte con orgoglio, raggiungete quella sensazione di appagamento estemporaneo che vi cambia la giornata!
A chiudere la carrellata c’è Uffa: il gufo, unico volatile fra tutti, fa della spocchia il carburante del suo modus operandi. Sicuro di sè, un filino arrogante e mai restio a farlo notare, soffre di un innocuo quanto urticante disturbo di narcisismo poco latente. Il pet perfetto per Cetto Laqualunque, tra un cazzu cazzu iu e l’altro pure.
In fondo, cari lettori, si sa. E’ domenica, il giorno favorito per l’autocommiserazione e lo sguazzamento nei disagi più insidiosi. Volevo mantenerne intatta la coerenza. Siamo in tema.
ALESSIA LIO