Eleonora Duse, l’originalità  nello stile di recitazione, la rivalità  con  Sarah Bernhardt,  i contrasti con Craig e il sogno di rinnovare la drammaturgia

Alta, impettita, con le mani sui fianchi nella locandiera di Goldoni oppure seduta a gambe divaricate sotto il vestito lungo con i gomiti sulle ginocchia nella Signora Delle Camelie di Dumas. La postura sfrontata, il viso severo, malinconico, non bello e senza trucco, i costumi di una semplicità che sfiora la noncuranza.

È Eleonora Duse, fisicità matriarcale e capacità di scavare a fondo nei suoi personaggi per rappresentarne l’essenziale, in aperta rottura con la tradizione teatrale ottocentesca. Figlia d’arte, nata nel 1858 a Vigevano e iniziata giovanissima alla recitazione, vive con senso di contraddizione il suo destino di attrice.

Ama il teatro, ma non l’ha scelto e si forma come autodidatta. Il rifiuto delle convenzioni sul palco è fin dall’inizio la cifra stilistica della Duse attrice che con le sue interpretazioni seduce pubblico e critica e si ostina a infrangere le regole del sistema.  Impara presto però  a conoscerne l’ architettura, la complessa trama dei rapporti tra attori, capocomico e  autori. A quattro anni debutta a Chioggia con il personaggio di Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo nella compagnia dei genitori, a dodici è Francesca da Rimini, a quattordici Giulietta.

A ventun anni, nei panni della nuora uxoricida Teresa Raquin di Emile Zola, nella compagnia stabile del Teatro dei Fiorentini, accanto a Giacinta Pezza, attira l’interesse di critici e letterati e si avvicina agli ambienti della Scapigliatura. Stringe amicizia con la giornalista Matilde Serao e con Martino Cafiero, direttore del Corriere del Mattino, col quale  ha una breve relazione e un figlio che vive solo poche settimane.

E’ l’inizio della sua turbinosa vita sentimentale. Si sposa senza esserne innamorata con l’attore Tebaldo Checchi, ha una lunga e complicata storia con il compositore  Arrigo Boito, poi si innamora di Gabriele D’Annunzio, che prima la corteggia con insistenza, la sfrutta economicamente convincendola a finanziare i suoi lavori teatrali, poi la tradisce.

Considerate in retrospettiva, le delusioni amorose sembrano incastrarsi perfettamente nella sua lunga carriera di artista, funzionali alla nascita del mito Duse in cui vita e arte entrano in simbiosi e  la prima accetta di sacrificarsi per l’altra. Nessuno forse l’ha veramente amata, tutti  ne hanno rafforzato  la leggenda.

Nel 1880 entra insieme al padre nella compagnia Città di Torino di Cesare Rossi e inizia a selezionare il suo repertorio con i lavori di Dumas figlio, Sardou, Goldoni, Verga e Giacosa. Emerge l’originalità che imprime ai personaggi femminili, con una recitazione depurata dai barocchismi e lunghe pause. Si è già attirata l’ostilità di una parte della critica legata alla tradizione, da Monti a Bettoli, mentre il marchese D’Arcais l’appoggia. Come Adelaide Ristori, l’attrice italiana più famosa del periodo, di cui è considerata l’erede, che nel 1882 le scrive una lettera di presentazione all’imperatore del Brasile mentre è in partenza per la sua tourneé in Sudamerica.

Ma ancora una volta la Duse scombina le carte. Non vuole essere la primadonna protagonista  del rinnovamento della drammaturgia teatrale che però tiene al sicuro la tradizione del repertorio nazionale, come vorrebbero in tanti nel suo ambiente. Vuole portare in scena la crisi dei valori, i mutamenti sociali in corso e le loro ambivalenze,  partecipare alla metamorfosi a cui è destinato il teatro tra i due secoli per poter sopravvivere.

Tra la fine negli anni Novanta e i primi del Novecento, quando ormai tutti la paragonano a Sarah Berhardt, porta in scena figure femminili nevrotiche, insofferenti alle logiche della società borghese, con Casa di bambola e La donna del mare di Ibsen, Casa paterna di Sudermann, La seconda moglie di Pinero. 

E nel 1897, al Teatro De la Reinassance, batte la rivale francese nell’interpretazione di Magda, secondo il giudizio del critico Von Hoffmannstahl, dopo il tiepido riscontro di pubblico con cui era stata accolta l’interpretazione di Margherita nella Signora delle Camelie.

Il suo repertorio è sempre  più aperto alle suggestioni dello sperimentalismo, collaborando con Craig, che allestisce le scene per la rappresentazione di Casa Rosmer di Ibsen al Pergola di Firenze, ma  lui  non sopporta i vincoli del realismo imposti dall’attrice. E’ già proiettato su  una scenografia più astratta e simbolica, in cui la parola perde la sua centralità per lasciare spazio all’azione scenica e alla luce.

In comune hanno il desiderio di rinnovare la drammaturgia ma attraverso linguaggi diversi. Isadora Duncan, che li aveva fatti incontrare, riesce a smussare la ruggine tra i due e lo spettacolo è un successo. Nella tappa di Nizza però il contrasto diventa irrimediabile e Craig abbandona la tourneé. Il 1909 è l’anno del primo ritiro della Duse dalle scene.

Ma nel 1916 eccola girare il suo primo e unico film, Cenere, dal romanzo di Grazia Deledda, per la regia di Febo Mari. Nel 1920, con la compagnia Zacconi, a Torino, è di nuovo La Donna Del Mare, ma invecchiata, e ancora una volta osannata per la capacità di fare suo un personaggio  ormai fuori dalla sua portata.

Decide di organizzarsi con una sua compagnia e parte in tourneé, prima a Londra e a Vienna, poi negli Stati Uniti, dove a Pittsbugh, muore di tubercolosi in una stanza d’albergo il 21 aprile 1924. Trasportata in Italia, i funerali a Roma, nella basilica di Santa Maria Degli Angeli, e la sepoltura ad Asolo.

Anna Cavallo