Claudio De Sousa, giocatore nella Viterbese Castrense nel girone a di serie C, ci racconta quell’ infortunio al piede che cambiò il corso della sua carriera, quei “no” dei medici alla sua domanda di un eventuale ritorno in campo e la sua ostinazione nel non mollare che gli ha permesso di poter richiedere alla FIGC il riconoscimento dell’idoneità sportiva dopo anni di inattività.

Claudio De Sousa (Photo Credits Instagram)

Pescara, un tacchetto colpisce la tua caviglia, di colpo tutto precipita, si trattava di “parestesia dell’avampiede”, i medici ti dissero che la tua carriera era finita. Come hai reagito?

Quello che mi è successo, inizialmente mi ha fatto cadere nello sconforto totale. Quando i medici mi dissero che con quel tipo di infortunio non avrei più giocato a calcio, ho visto improvvisamente il sogno di una vita cadere a pezzi. All’inizio è stata dura, ma dopo questa prima fase ho deciso che non avrei mollato, e con grande forza di volontà ho ripreso ad allenarmi tutti i giorni. Ricordo che i medici mi dissero che allenando il piede con costanza il processo di guarigione si sarebbe velocizzato, ma non sapevo quanto ci avrebbe messo, magari 3 anni o 7 anni. La mia tenacia mi ha aiutato molto. Dopo quasi 3 anni ho iniziato a giocare a San Marino, lì ho capito che ero quasi in condizioni di rifare un campionato importante. Da lì è iniziato l’iter per dimostrare che ero guarito perché in Italia mi avevano detto che non sarei più potuto ritornare in campo. Ho avuto tanta forza e questo mi ha permesso di avere un’altra opportunità.

Per quasi 3 anni sei rimasto fermo. Come hai vissuto l’incertezza di un ritorno in campo?

I primi 2 anni non sono stati semplici perché non pensavo che sarei effettivamente ritornato. Io ci speravo ma i referti medici parlavano chiaro e poi comunque il dolore al piede persisteva. Dal secondo anno in poi ho iniziato a pensare che prima o poi ce l’avrei fatta, il piede piano piano migliorava e questo alimentava la mia speranza. La mia forza è stata quella di guardare sempre il lato positivo di tutto questo. Quell’infortunio l’ho accettato, l’ho vissuto e l’ho superato, contento anche di come è andata, perché poteva andare anche peggio e oggi posso dire di essere felice di come ho affrontato tutto quanto. L’infortunio mi ha sicuramente penalizzato perché avrei fatto sicuramente una carriera diversa, magari in A o in serie B, questo è un mio pensiero  dimostrato dal fatto che dopo anni di “stop” ho ripreso una carriera sempre da professionista in serie C.

Soprannominato la “pantera”. A cosa è legato questo soprannome?

Questo soprannome mi venne dato a Chieti quando ho ricominciato la seconda fase della mia carriera. Credo che probabilmente sia legato alle mie movenze in campo e un po’ al colore della pelle e al fatto che quell’anno avevo fatto 18 gol.

Claudio De Sousa (Photo Credits Instagram)

Giocatore in diverse squadre. Quale porti nel cuore e perché?

Se dovessi sceglierne due, sicuramente Lazio e Chieti. La Lazio perché è la squadra in cui ho esordito in serie A. Ho un ricordo bellissimo di quel periodo, ho fatto gol, mi sono scontrato col grande calcio. Avevo 18 anni e per un ragazzo essere in serie A, vivere il calcio a quei livelli era straordinario. Poi c’è stato l’infortunio. Ho ripreso da Chieti dopo tanti anni di inattività dove dovevo dimostrare se ero in grado di giocare o smettere, invece è stato un anno straordinario dove ho rilanciato, ho fatto 18 gol, insomma, come non portarla nel cuore, Chieti mi ha dato tantissimo.

De Sousa segna il gol del raddoppio della Lazio sul Messina. Video ⇓⇓⇓

Qual è la giornata tipo da Claudio De Sousa?

Il mio è uno stile di vita molto semplice, concentrato sull’allenamento quando sono in stagione. La mattina mi alzo, faccio colazione, raramente mi capita di uscire la mattina, preferisco rimanere a casa e guardare serie tv, telefilm. Il primo pomeriggio mi alleno e poi mi concedo un po’ di relax, magari esco con gli amici per un aperitivo o una cena.

Claudio, quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Per il momento non ho progetti per il mio futuro. Ho 33 anni, vorrei fare altri 3 anni nel calcio,  chiudere bene la mia carriera, per il resto valuterò strada facendo quello che potrò fare dopo, se restare nel mondo del calcio, ma non è detto, anzi mi piacerebbe fare altro, magari nel settore imprenditoriale.

Claudio, tu che hai sempre creduto nel tuo sogno e non hai mai mollato, cosa ti senti di dire a chi pensa di non farcela e vorrebbe lasciar perdere tutto?

Di crederci! Spesso quando la strada è molto difficile molliamo senza sapere di essere ad un passo dal successo. Io ho imparato che bisogna sempre lottare e non mettersi mai nelle condizioni di avere rimpianti. Io posso dire di non aver mollato, di averci creduto tanto e di avercela fatta. Quando sono ritornato in campo a Chieti, in occasione del Premio “Giuseppe Prisco 2013”, ho ricevuto come premio una targa di riconoscimento per la mia forza di volontà e lealtà sportiva.

De Sousa alla cerimonia di premiazione del premio “Peppino Prisco”

Sandra Barone