L’unica certezza della vita è la morte. Una paura universale: i misteri dell’Universo orbitano intorno a una sola verità che, da sempre, governa la nostra esistenza; e che abbia una faccia da mostro o che sia un anziano barbuto e alato, la Morte rimane il più grande enigma e la sola sicurezza.

Nella mitologia greca il mistero della Morte si nascondeva dietro la figura di un Dio, Thanatos, e quale immagine più autentica per un’entità così contradditoria?
Un Dio che non si mostra ma che governa, il fascino dell’assenza ma il timore del potere: la morte è ciò che c’è di più astratto ma anche di più reale.

È proprio in queste sfumature contrastanti che risiede il fascino del mistero, ed è proprio per questo che la morte rimane una delle più grandi attrazioni emotive, suscitando riflessioni dall’antichità fino ai tempi più moderni. Ricerche, teorie e concezioni che hanno accumunato ogni branca del sapere, dagli studi di fisica quantistica a quelli di medicina e biologia, per affluire sempre nelle braccia dell’arte, che nella morte ha riconosciuto un vero topos e il comune motivo di ogni filosofia.

Immagine dal Web

Nelle vesti di un’anziana in Hemingway o nel tremitio della poesia di Giorgio Caproni , la morte ha sempre indossato volti infiniti senza poter essere riconosciuta e scoperta mai.

Un velo che nasconde la più grande rivelazione o il nulla cosmico? Se lo sono chiesti in tanti, filosofi e scrittori, eppure mai nessuno ha potuto parlare di verità.
É una verità di fede, mai assoluta, ed è per questo che l’arcano diventa il più grande motore per il pensiero.
Il pensiero è un bambino curioso, vuole toccare ciò che non conosce; nulla si crea senza una domanda.

Il pensiero dell’arte sulla morte

L’arte è, nel suo istinto, il tentativo di rispondere a domande universali che alimentano e tormentano la nostra esistenza: così negli Inni alla notte di Novalis, nel quadro Morte e vita di Klimt o ne La prigioniera di Proust, l’uomo sceglie di dare una forma a ciò che mai riuscirà a scoprire.
Eppure è proprio nel vano tentativo di conoscenza, nell’oltre a cui tende l’uomo, che si nasconde l’origine dell’arte.

La morte distrugge, mentre l’idea della morte crea; figlia della curiosità e della paura, l’arte accoglie l’immagine della morte come uno tra i più stabili temi nella creazione.
Sono domande che hanno sfiorato le menti di qualsiasi epoca, ma ognuno ha dato un volto differente allo stesso mistero: che la morte sia il nulla eterno per Ugo Foscolo o un momento di liberazione dal dolore per Leopardi.

Ognuno, nella storia della letteratura, ha tentato di trovare un modo per vincere la morte: se non la si può comprendere, che almeno si cerchi un modo per superarla. Ma come si può valicare il nulla che la morte lascia?

Forse solo la memoria e la poesia vincono la morte, quella funzione eternatrice della poesia che Foscolo declama nei Dei Sepolcri che tenta di sovrastare il vuoto che, nel tempo, la morte impone. La poesia tramanda quello che la morte lascia dimenticare: valori, idee, affetti e ricordi che nell’abbandono della morte vanno perduti. Nulla più della poesia, neppure la vita, possiede l’eterno.

Oltre la morte materiale e fisica, si nasconde una morte mistica e morale: il tempo è una morsa che altera valori e ideali nelle trasformazioni dell’uomo e della società. Muoiono ideali e valori, dietro la corruzione o nelle semplici mutazioni generazionali, e la letteratura è un mezzo per descrivere e combattere ogni forma di morte. E lì dove non bastano le parole per raccontare, arriva la musica.

Il tema della morte nella musica

Come completo strumento di coinvolgimento emotivo, la musica ancora di più della letteratura, riesce a veicolare idee e riflessioni.
Anche tra le note, la morte s’infila con il suo alito di mistero, accolta dalle più grandi voci del cantautorato italiano e straniero.

Esorcizzare la tragedia della vita, che è la morte, con l’armonia della musica è uno dei miracoli del genio umano.
Pari alla missione eternatrice della poesia, la canzone conserva la memoria persino di chi nella morte è già finito.
Per questo Elton John scriveva Candle in the Wind (1973) dedicandola alla morte prematura di Marilyn Monroe, anche per questo i Pink Floyd nel 1975 pubblicavano Wish you were here, per l’assenza pesante di Syd Barret nella band. Sicché anche lo smarrimento mentale, come quello di Barret, o la confusione, l’incoscienza è morte, come tutto ciò che diventa vuoto.

Qualcuno, ancora più vicino a noi, alla morte ha dedicato un intero album: Tutti morimmo a stento l’ha intitolato, Fabrizio De Andrè, che nel 1968 raccontava che cosa la morte porta, cosa lascia. Quasi sempre finisce con la solitudine come un momento di intimità, di verità.

De Andrè

La morte diventa un fascino sottile, che si infila anche nei pentagrammi della musica italiana, che abbia indossato i panni ironici o i più drammatici e sentimentali: la morte, così come l’amore, è qualcosa a cui non si fugge neppure tra le righe delle canzoni.
E Francesco Guccini, in questo ampio mazzo di carte, cosa racconta del fantasma della morte? Forse più di quel che, presi dalla bella canzone popolare, qualcuno possa pensare. Ma, in fondo, cosa c’è di più “popolare” della sorte che a tutti tocca?

Francesco Guccini

Era il 1967 e Guccini pubblicava Folk Beat n.1: fin dagli esordi la morte non era esclusa tra le tante storie raccontate.
Alla vigilia di un ’68 che avrebbe scardinato le certezze di una generazione, con In morte di S.F (anche chiamata Canzone per un’amica) Guccini introduce quei dubbi esistenziali che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua carriera, e vita, celati nell’esplicito dolore per la morte di una sua cara amica.

Non basterà il dolore per ricordare la morte, quando questa si infila in quell’altro mistero, che è il tempo: nel suo scorrere incessante eppure così personale. Nelle stagioni che portano gli amici, i viaggi, il tango, le canzoni di notte e quelle per i matti: ci sarà sempre alle spalle la malinconia naturale di un uomo che si ricorda quanto il tempo cambia la forma dei sassi.
Quando gli uomini sono sassi, il fiume è la vita e quella corrente che saprà dargli nuova forma sarà sempre il tempo.

Rossella Papa