Uno spettacolo apparentemente senza regole (quelle del teatro canonico) senza trame, senza pretese e senza fretta. Eppure le regole del gioco ci sono e vanno rispettate: Paolo Rossi è un re anarchico che si assopisce sul divano e sogna la libertà.
Entrando alla Sala Umberto di mercoledì pomeriggio ti aspetti una scarica di adrenalina raffinata dal comico Paolo Rossi e dalla sua verve artistica a tutti nota, ma la sala è semivuota, le teste ingrigite si avviano lentamente ai posti per assistere, l’aria condizionata spara freddo. Poi finalmente il buio.
Paolo Rossi appare sornione, gioca subito sull’orario di replica (ore 17.00) celebrando la volontà di aver voluto preferire dare un senso al pomeriggio piuttosto che rilassarsi in una pennichella romana di tutto rispetto. Parla al pubblico, esordisce con un monologhetto (duende, lo chiama) e lì per lì appare come un Bérenger decadente svogliato e ammiccante.
L’anarchia è dietro l’angolo, si annida pericolosa nelle corde di una chitarra elettrica e di un contrabbasso, dietro ad un divanetto rosso e alle miriadi di oggetti tecnici disseminati sul palco aperto e senza quinte. Arriva dal sogno. Il sogno di Paolo Rossi.
Il Re Anarchico non è uno spettacolo usuale, non ha regole, non si può attendere da esso uno svolgimento o del pathos. Il re anarchico è un’ode alla libertà di espressione, al citazionismo, alla Commedia dell’Arte, alla musica, alla nostalgia del passato.
Paolo Rossi sogna e si addormenta (e lo dice, nonostante le proteste di qualcuno del pubblico che non vuole che l’attore lo faccia) e dal suo sogno viene fuori il teatro: una fantomatica masnada di attori deve essere “scelta” dal capocomico Paolo Rossi per recitare a Versailles.
Una motivazione che già di per sé lascia spiazzati per il nonsense. Ma invece dal sogno (che è forse l’unico momento di libertà che ci appartiene) il comico friulano, quasi come un prestigiatore fa con un cilindro, tira fuori citazioni di grandi classici del teatro o della letteratura e incroci psicologici della concezione della personalità.
Bravi gli attori al suo seguito (alcuni di loro noti per aver duettato in Tv con il comico Maurizio Crozza) che stanno al gioco senza regole e si divertono adoperando due armi essenziali per ogni attore: l’improvvisazione e la libertà (figlia di quella Commedia dell’Arte regina del teatro).
Lo spettacolo scivola via in un intarsio di sketches di grande interpretazione e possente tecnica che però slegano empaticamente lo spettatore dall’attore. Poche le emozioni, molte le risate.
Molière morì in scena durante una replica del malato immaginario, Paolo Rossi dedica la pentalogia proprio a lui, adoperando la passione, la voglia, il desiderio di essere attore, di essere emancipato e di pungere con l’ironia e la satira politica per risvegliare dal torpore le tante platee addomesticate ad applaudire per dogma. La penna di Emilio Russo e Georgia Rossi (gli autori) ha tracciato un canovaccio: il resto del gioco lo hanno fatto gli attori.
Ancora in scena fino al 28 ottobre.
con Paolo Rossi, Marco Ripoldi, Renato Avallone, Marianna Folli, Chiara Tomei, Francesca Astrei e Caterina Gabanella.
Musiche eseguite dal vivo Emanuele Dell’Aquila e Alex Orciari