China Town di Caparezza: un viaggio che parte dall’arte astratta di Malevič, con il suo Quadrato Nero, per poi toccare con l’inchiostro tutte le meraviglie del mondo.
“Art for art’s sake” affermava Oscar Wilde. Lo slogan, letteralmente “l’arte per l’arte”, insisteva sulla concezione di quest’ultima come attività fine a se stessa. L’arte ha vita indipendente, non deve imitare il reale ma, al contrario, può fungere da scappatoia, dandoci la speranza che, al di là delle tragedie quotidiane, possa esistere un mondo perfetto.
Questa concezione artistica è stata più volte ripresa nel corso della storia, dando vita a rappresentazioni iconografiche estremamente diverse tra loro. Si passa così da dipinti onirici, inseriti nel clima estetico di fine Ottocento, all’arte concettuale del Novecento: c’è Jackson Pollock in America e Lucio Fontana in Italia.
E poi c’è Kazimir Malevič in Russia, che teorizza e illustra il Suprematismo. Malevič si propone la realizzazione di un’opera totalmente astratta, senza alcun riferimento al mondo circostante, in grado di giungere all’assenza della forma artistica. Il suo dipinto Quadrato Nero ne è il miglior esempio. È un quadro semplice, dove la profondità del nero è la pista in cui far correre l’immaginazione, che può dar vita a qualunque oggetto. Come fosse un punto di partenza.
Punto di partenza anche per altri artisti. È il 2014 quando Caparezza pubblica il brano China Town, nona traccia dell’album Museica.
È lo stesso rapper ad affermare che l’ispirazione giunge direttamente dal dipinto russo:
il nuovo pezzo “se ne sta lì, nero su bianco, come il quadro di Malevič”
sostiene il cantante.
China Town è un elogio alla scrittura e all’inchiostro: strumento utilizzato da generazioni per regalare le proprie idee all’immortalità. A volte, quello di rendere i propri pensieri per iscritto è un bisogno inconscio, uno sfogo liberatorio. Lo sa anche Caparezza che, nella canzone, parla dell’inchiostro come se fosse la chiave della felicità:
“Valium e prozac non mi calmano datemi un calamo”.
E ancora:
“Basta una penna e rido come fa un clown, / a volte la felicità costa meno di un pound.”
Esaltando, allo stesso modo, i benefici quasi prodigiosi, che derivano dallo scrivere: “Non è la fede che ha cambiato la mia vita, ma l’inchiostro”. Poco dopo “non è la droga a darmi la pelle d’oca ma / pensare a Mozart in mano la penna d’oca”.
Per poi continuare, definendo l’inchiostro “il prodigio che da voce a chi non parla / a chi balbetta”.
Un miracolo che non conosce limiti geografici né temporali. Nel brano sono infatti presenti numerosissimi riferimenti ad una varietà di luoghi e culture estremamente disparati: Santiago De Compostela, gli Appennini, le Ande, il Gange, la Terra Santa, la Mecca e l’America.
Vengono, allo stesso modo, chiamati in causa le situazioni e i personaggi più diversi. Si parla di Mozart e di Freud. Ecco le magie di Dynamo. La figura dell’albatro, utilizzata da Baudelaire e Coleridge. Ci sono Daniel Pennac, Indro Montanelli, Cristoforo Colombo e Billy Preston. Si nominano i film surreali di Luis Bunuel.
Surreale è anche il videoclip della canzone. Si apre con la vista di una città tetra, lugubre, quasi fantasma. Da una finestra illuminata, scorgiamo Caparezza. È seduto alla scrivania con la penna stilografica in mano. Non appena l’inchiostro sfiora la carta, inizia il viaggio in un mondo meraviglioso, fatto di colori e avventure.
Vediamo allora il rapper passeggiare in mezzo alla natura, tra cascate imponenti e colline, dietro alle quali un sole d’oro sta tramontando. Arriva sulla vetta di montagne sperdute in oriente, per poi prendere un treno e attraversare pianure sconfinate, con lo sfondo delle notti stellate di Van Gogh, e l’euforia dei testi futuristici di Marinetti. Ammira le piramidi egiziane e cavalca l’oceano su di un veliero, per poi arrivare a toccare il cielo, tra nuvole cristalline e libellule colorate.
La scrittura è un vortice, nel quale prima o poi, i più fortunati, riusciranno a cadere. Quello è un mondo magico: ci si trovano carpe giapponesi, furgoni della Volkswagen e cieli stellati. Che poi di magico ha ben poco. Niente di astratto, nessuna fatina o miracolo assurdo. Solo il mondo che ci circonda, in tutta la sua varietà e meraviglia.
Allora forse, l’arte diventa un ottimo modo per ricordarci delle bellezze che già possediamo. È facile guardarsi intorno e rimanere incantati, basta sapere cosa osservare.
Laura Bartolini