Aleksandr Sergeevič Puškin nasce a Mosca nel 1799. La sua è una casa in cui manca l’affetto, in compenso è piena di libri. Attinge da questi, facendo sua la visione illuminista e viene  sedotto dalla poesia di Byron, Parny e Chenier. Non li prende mai a modello, però. Ha il dono dell’originalità e la letteratura diventa un mezzo di denuncia di ipocrisie e ingiustizie della società russa.

Non è mai sarcastico, crede ancora in un mondo più giusto dove l’uomo può vivere in  pace coi suoi simili. Il romanzo in versi Eugenij Onegin ci consegna il tormento di personaggi innamorati e infelici. Tatyana rifiuta Onegin perché è sposata. Puskin ne fa la depositaria degli alti valori morali. E secondo Dovstoijevski lo scrittore  avrebbe fatto meglio a dare il nome di Tatjana come titolo al poema, perché è lei la vera protagonista.

ALEKSANDR PUSKIN (FOTO DAL WEB)

Per il teatro puškiniano, ricordiamo il dramma Boris Godunov e le piccole tragedie tra le quali Il convitato di pietra e Mozart e Salieri. La sua qualità di drammaturgo è quella di  essere riuscito, a differenza di Moliere e Shakespeare, ad esempio, a rendere i personaggi stranieri delle sue opere non influenzati dalla cultura russa, ma calati nella  nazione in cui sono collocati.

Puškin muore a 37 anni in un duello.

Impulsivo, geloso ed irascibile, il suo carattere si discosta parecchio  dall’algida e razionale  cultura illuministica sulla quale si è formato. Durante la vita lancia il guanto di sfida 20 volte e altrettante volte, viene sfidato. L’ultimo  gli è fatale.

Non potendo sostenere le chiacchiere sull’infedeltà di sua moglie, sfida pubblicamente l’ipotetico amante Georges d’Anthès per due volte. La prima volta la cosa si risolve pacificamente, ma la seconda si decide per il duello, una pratica abbastanza frequente all’epoca.

Puskin è  un eccellente tiratore, ma non è sua abitudine sparare per primo.

Il suo avversario è meno sensibile e sferra il colpo che lo colpisce allo stomaco. Dopo due giorni muore.

La  vicenda alimenta ancora di più le chiacchiere alla corte zarista fornendo materiale di conversazione per molto tempo.

ANTON CECHOV (FOTO DAL WEB)

50 anni dopo, nel 1887, Antòn Čechov scrive un racconto: Il vendicatore, tra le righe un’accusa bonaria a chi, vittima della gelosia, ipotizza un bagno di sangue per salvare l’onore.

Era una critica a quel senso dell’onore che aveva ucciso Puskin? Non lo sapremo mai.

Alessandra Casanova

Anna Cavallo