Teatro delle Albe: omaggio a Dante Alighieri, con “fedeli d’Amore”. La nebbia romagnola racconta la morte del poeta nel 1321
Un’alba nebbiosa, a Ravenna, nel settembre del 1321. È appena morto Dante Alighieri. Il poeta, l’uomo politico, il padre della lingua italiana. E’ il fuggiasco, il nemico di Firenze, odiato e processato come delinquente, accusato di crimini odiosi. Peculato, corruzione, perfino pederastia. Con “fedeli d’Amore, polittico in sette quadri per Dante Alighieri” diretto da Marco Martinelli, in scena venerdì 6 dicembre al teatro Rasi di Ravenna, la sua morte diventa una riflessione corale che abbraccia l’uomo e il poeta, il politico e l’esule, ma soprattutto la drammatica attualità della sua vicenda.
È la voce della figlia Antonia, che erompe nella camera buia, ricordando il padre che “da giovane ha fatto canzoni, lui e i poeti come lui, fedeli d’amore, facevano canzoni ed erano fatti, cadevano a terra folgorati, tutti ebbri, tutti fatti di Amore”. Ed è “la fine che non è una fine”, l’ultimo dei sette quadri dove l’amarezza e il senso di inutilità per la sua opera di fronte alla morte, sorda e vorace, che incombe, si sciolgono nell’ultima commovente visione di Beatrice bambina.
Poesia e passione politica. Nebbia e luce. Visione e delirio, sogno e disperazione. Lo scenario scarno avvolto in colori fragorosi e sgargianti. La voce di Ermanna è la protagonista assoluta, profonda, gutturale, a volte sussurrata, altre volte urlata, dolente, ironica, feroce. È l’omaggio viscerale, senza orpelli e senza inchini, della terra romagnola a Dante, quello messo in scena dal Teatro delle Albe di Martinelli, lasciando che sia proprio la sua nebbia a parlare.
A raccontare di quell’ultima notte, tre il 13 e il 14 settembre del 1321, mentre il poeta è in preda alla febbre, circondato dai familiari e dagli amici del cenacolo ravennate. Un’ispirazione, quella di far parlare la nebbia, che Ermanna racconta di aver avuto anche grazie all’incontro con la poesia di Cristina Campo. “T’ho barattato, amore, con parole. Buio miele che odori dentro diafani vasi, sotto mille e seicento anni di lava ti riconoscerò dall’immortale silenzio”.
Anna Cavallo