La stella più brillante della scena musicale ‘Mainstream Pop’ si chiama Billie Eilish: cantautrice americana, 17 anni e un pubblico adorante che va ben oltre il target prettamente adolescenziale. E questo grazie ad una serie di elementi, dettagli e sfumature che la allontanano dallo stereotipo trito del “Teen Idol”.
Partiamo dai numeri legati a Internet e Social, in costante aumento: 16 milioni di follower su Instagram; centinaia di milioni di ascolti e visualizzazioni tra Spotify e Youtube; 2 milioni e mezzo di “Like” su Facebook. Cifre molto importanti (pari a quelle che in Italia accomunano superstar del calibro di Chiara Ferragni, Fedez, Modà o Baby K, ma il paragone non calza non fosse altro perché la stella di Eilish è in vertiginosa ascesa oltre che di caratura internazionale, a differenza di quasi tutti i nomi nostrani qui citati) a testimonianza di un personaggio che in appena due anni di attività ha saputo guadagnarsi la fiducia di un pubblico molto vario ed eterogeneo.
Non sono infatti soltanto gli adolescenti ad affollare i suoi concerti – a Milano lo scorso febbraio si è registrato un clamoroso sold out con un mese abbondante di anticipo rispetto all’uscita del primo album, smartphone in aria, scene di ‘karaoke’ a sottolineare ogni brano in scaletta – ma a scrivere bene di lei sono i più preparati critici musicali (dall’autorevole quotidiano “New York Times” fino alle fanzine specializzate), gli addetti ai lavori, persino musicisti rock navigati come il leader dei Foo Fighters, Dave Grohl, che ha paragonato il clamore mediatico intorno a Eilish a quello delle prime uscite pubbliche dei Nirvana immediatamente ‘post-Nevermind’.
“When we fall asleep, where do we go?” è il titolo del suo album di debutto, uscito venerdì scorso e già promosso a livello televisivo con alcune comparsate strategiche nelle trasmissioni più seguite d’America. L’etichetta discografica è la Interscope, di proprietà della Universal, ovvero la più grande e potente multinazionale del mondo. I manager della label devono aver intuito l’enorme potenziale sonoro e comunicativo gravitante intorno a Billie Eilish, e su di lei stanno costruendo una campagna d’immagine e promozione di sicuro impatto. Che però, almeno per una volta, evita di interferire a livello musicale. E qui sta la novità.
Già, perché se da vent’anni a questa parte tutti i nuovi “Teen Idol” del mondo globalizzato ‘2.0’ (da Britney Spears fino ad Ariana Grande e Selena Gomez) hanno avuto un folto team di produttori, autori, arrangiatori, musicisti, coreografi e consulenti d’immagine al loro servizio, nel caso di Billie Eilish tutto il progetto musicale ruota intorno all’autonomia creativa. Perché Billie scrive, arrangia e produce ogni canzone con il fratello Finneas, che suona con lei anche in tournée. Senza altre interferenze. E il fatto che non sappia ballare o che si vesta in uno stile un po’ androgino, con un look casual e ‘urban/street’ che strizza l’occhio al rap, non danneggia la sua immagine, che anzi ne esce rafforzata. Perché il desiderio qui è quello di non sembrare perfetta, come le sue colleghe.
Billie Eilish è un anti-diva, non si atteggia a gattina sexy: mostra al contrario tutte le fragilità, le ansie, le paure e la vulnerabilità degli adolescenti suoi coetanei. Coi suoi capelli decolorati, la bassa statura e la carnagione lunare somiglia più a una Lorde, a una Lana De Rey, cantautrici cui musicalmente e vocalmente si ispira – aggiungendo al mix anche Dua Lipa e Maggie Rogers.
Il suo album, così come l’ EP che era uscito uscito due anni fa, ci mostra un mosaico composito di generi e stili: c’è l’elettronica, la trap, un spruzzata di R’n’B, cantautorato folk strimpellato con Ukulele e ballate pianistiche di grande atmosfera. Le tastiere, i synth, le drum machine la fanno da padrone, così come i filtri applicati digitalmente alla voce, che la destrutturano facendola sembrare una radio con segnale debole e disturbato.
Ed in un certo senso è proprio il “disturbo”, declinato in termini psicologici di paure e ossessioni, a dominare anche i testi scritti da Billie: l’immaginario è quasi sempre scuro e malinconico, con tratti “Horror” e riferimenti al suicidio. La ragazza non si fa problemi a cantare un ritornello che recita “Voglio farmi fuori” in un brano che si intitola “Seppellire un amico”. E la generazione di oggi, che ha incoronato gli ascolti di una serie Tv controversa come “13 Reasons Why” – che pure ha utilizzato pezzi di Eilish nella colonna sonora – è la stessa che oggi applaude Billie Eilish.
Sentiremo senz’altro parlare ancora della cantautrice di Los Angeles: un fenomeno commerciale probabilmente pilotato dai manager sotto l’aspetto del lancio pubblicitario e della comunicazione mediatica (lanciare una stella adolescente anti-diva, sfacciata, che non sa ballare, che veste extra-large e canta di argomenti scottanti senza censure, è pur sempre un progetto di marketing e sta vincendo alla grande) ma che mantiene comunque genuinità sotto l’aspetto musicale, perché abbiamo di fronte un autrice che sa bene quel che vuole e come ottenerlo, quali corde emozionali toccare. Ci sembra lo faccia nel migliore dei modi e gli perdoniamo qualche scivolone un po’ troppo ‘Mainstream’. Del resto è pur sempre la galassia cui si rivolge.
E ha 17 anni.
Ariel Bertoldo