Se mai dovesse esistere un Paradiso e di conseguenza un Inferno, credo che siano in terra e che prendano forma attraverso le scelte che compiamo in vita. Ecco, Noi quel giorno, cosi lontano ma cosi vicino nel ricordo, si scelse di raggiungere le porte dell’Inferno: Zagora. Saliti sul bus ci affrettammo a prendere i posti in fondo, una fretta che mi ricordava le gite scolastiche, dove i posti in fondo erano sinonimo di “quanto siamo ribelli sui nostri troni”. Mai errore fu più ingenuo. Partiti al calare del sole, dopo circa due ore, ci fermammo tra le montagne per fare una piccola sosta. Sinceramente non mi sono mai sentito cosi abbracciato dalla Terra, in questo luogo sperduto, tra le stelle mai viste in anni di veneranda vita, con un semplice panino in mano e con tanta speranza dentro da poter veramente pensar di cambiare le leggi universali che dominano l’uomo e il pianeta che ci ospita. Ripartiti, il sogno sfumò. Di fronte a me, al livello delle ginocchia, c’era una  sorta di ventola che sparava aria calda, il che mise me nelle condizioni di convertirmi a qualsiasi credo purchè quella maledetta tortura finisse il prima possibile. Ebbene 8 ore non sono il “prima possibile”. Giunti alle prime luci a Zagora, mi sento in dovere di baciare il terreno. Dopodichè un gentilissimo tassista, dopo tentativi di comprensione a vuoto, ci portò a un campeggio dove una trama in stile Stephen King si sarebbe compiuta. Perchè per Noi, non sarà il semplice campeggio di Abdullah, uomo di deserto, dai modi ambigui, al punto di non capire mai se fidarsi o meno. Quel luogo sarà il nostro Overlook Hotel. Unici turisti nella terra di nessuno. Fatte le dovute conoscenze, Io e Follia, rilassati, lavati e impacchettati, ci apprestiamo a fare la conoscenza di Abdullah, beduino dall’enorme esperienza che con quel modo da “Le mille e una notte”, ci trascina a quel luogo onirico e mai domo, che è il deserto, dandoci modo di fantasticare, il tutto condito dal piatto forte della casa, ovvero insalata marocchina, una vera manna per un luogo che raggiunge i 40° e oltre come se nulla fosse. E ovviamente fumati, cosa che non dispiaceva e che ci fece capire tutte quelle sfumature, è il caso di dirlo, del prodotto più conosciuto e ambito dai turisti. Ma Noi, voglio ricordare, eravamo avventurieri con tanta voglia di vivere la vita. I giorni passarono lenti, con tè alla menta all’unico fornitore della città, una città che di notte ti catapultava in un film di Sergio Leone, con i famosi tumbleweeds e la desolazione da stallo alla messicana. E vi assicuro che la notte portava buio, il buio che fino a quell’istante non avevi mai realmente conosciuto e che ci metteva un pò di soggezione quando arrivava il momento di rientrare al campeggio. Finchè un giorno il dramma si compì. Follia era stato derubato di una enorme cifra (a dispetto dei miei “soli” 400 dirham, poco più di 40 euro) mandando in frantumi i nostri sogni di trovare e salvare il Piccolo Principe solo nel deserto in ostaggio di un serpente cattivo. Ne scaturì un forte dissidio tra me e Follia sul da farsi e, causa le condizioni fisiche, lo spossamento dal troppo caldo incessante, nonchè mentali, cervello in fumo, portò entrambi ad ammalarci di un male, molto in voga tra Noi uomini, che prende il nome di orgoglio! Per farla breve, Io cercavo di convincere in tutte le maniere Follia, di rientrare la sera stessa a Marrakech, città che ci dava una parvenza di casa, ragionare, e soprattutto, udite udite, colpo di scena, attendere l’arrivo di quello che fu un salvatore, il nostro amico Ferro (nome fittizio come sempre) che si sarebbe unito a Noi nel viaggio. Follia dal canto suo voleva rimanere, e calcolando che era passata da poco una settimana di viaggio e ne avevamo di fronte altre tre e calcolando anche la cifra irrisoria che gli era rimasta, non per fare propaganda, mi sento di dire che la logica era dalla mia. L’orgoglio e anche Abdullah, novello Machiavelli, ci divise. Irremovibili sulle nostre decisioni. Ritornai a Marrakech la sera stessa, attraverso due bus e fui ospitato prima della partenza da un ragazzo che mi sfamò nell’attesa nervosa (ospitalità marocchina sempre al top). Confesso di aver abbandonato Follia all’Inferno, nelle mani di Abdullah, architetto del male. Ma a parte gli scherzi, il tutto capitò per la nostra genuina ingenuità, portandoci una amara e calorosa lezione che nel futuro ha aiutato sicuramente entrambi. Grazie ad Allah (si giocava in casa loro), Follia prese anch’egli la decisione saggia di ritornare e la sera stessa eravamo fianco a fianco a gustarci le prelibatezze uniche del Marocco e smorzare quel che era stato un semplice fulmine di guerra. Ad oggi è diventata una delle storie più raccontate da entrambi, un cavallo da battaglia, che ci regala sempre grasse e sincere risate. L’orgoglio dopotutto non potrà mai vincere su una amicizia vera. Ma il viaggio non era per niente finito, anzi eravamo usciti dall’Inferno più forti di prima e con il nostro amico Ferro in canna, eravamo pronti ad affrontare la costa marocchina. L’avventura continuava…

 

Giacomo Tridenti.