Un fumettista, uno storico e un antropologo entrano in un bar e… Il convegno Religioni Fantastiche e Dove Trovarle è andato così, più o meno. Durante il primo giorno si è parlato di fumetti storici, fedeltà storica e guerra tra fazioni. Senza feriti, per ora.
Quest’anno Velletri ha ospitato il convegno Religioni Fantastiche e Dove Trovarle. Divinità, Miti e Riti nella Fantascienza e nel Fantasy. Durante il primo giorno di convegno un dibattito è sorto, con concorrenti di un certo calibro. Sul lato destro del ring Emiliano Mammucari, Matteo Mammucari, Giovanni Masi, e Marika Michelazzi. Sul lato sinistro invece dei nemici potentissimi, detentori del mistico potere della fedeltà storica: storici e antropologi. E * rullo di tamburi * io ero una di questi.
Nero: la pietra dello scandalo
Nero è un fumetto storico dell’etichetta Audace di Sergio Bonelli Editore, la cui uscita è stata annunciata al Lucca Comics & Games 2018. Il progetto era già in cantiere da tempo, e infatti, come Emiliano Mammucari diceva in un’intervista nel 2016:
Nella scuola italiana, non è un fenomeno raro quello del disegnatore che passa poi a impegnarsi a scrivere i testi di un fumetto. […] Si tratta di qualcosa di abbastanza usuale, specie per i disegnatori della mia scuola: siamo naturalmente portati verso il racconto […]. A dire il vero ho già in cantiere una serie tutta mia, che sto scrivendo e ho quasi ultimato. Si intitola Nero, ed è la storia di un guerriero arabo nel periodo delle Crociate. È una miniserie di tre numeri a colori disegnata da me. Del resto, scrivo da quando ero ragazzo, è una mia piccola passione da sempre.
L’opera in questione, che vede Emiliano e suo fratello Matteo come scrittori, racconta per l’appunto la storia di due guerrieri, uno arabo e uno cristiano, durante il periodo delle Crociate. Niente di male se non fosse che, a detta dello stesso Emiliano, durante le presentazioni del fumetto e i dialoghi intorno a questo, abbiano dovuto fronteggiare l’ira dei più insospettabili: gli storici.
Lo spettro della fedeltà storica
Quello che i fumettisti ci raccontavano era condiviso da tutti. Gli storici erano veramente diventati rabbiosi e non riuscivano a discostarsi dal simulacro della fedeltà storica. Erano diventati una palla al piede, più concentrati sull’elsa della spada di un guerriero arabo durante una particolare Crociata piuttosto che sull’elaborato intreccio narrativo.
E noi antropologi e storici, dall’altra parte del ring che ospitava l’agone pubblico, eravamo tutti:
Ma non siamo tutti così! Ve lo giuriamo! Siamo anche in grado di capire che un fumetto non debba essere un saggio storico. Sappiamo tutti in sala che anche la storia scritta dai grandi accademici va incontro a interpretazioni.
oppure
300 è un fumetto e film bellissimo! Era ciò che avrebbe fatto Erodoto se fosse vissuto ai nostri giorni!
Però è inutile, guardiamoci in faccia, lo sappiamo che certe volte dentro di noi scatta la vocina dello spettro della fedeltà storica. Ed era scattato anche dopo poco queste affermazioni, quando un bravissimo e gentilissimo storico delle religioni ha dovuto puntualizzare che non vi erano mai stati ritrovamenti iconografici che attestassero un certo culto presso la civiltà minoica.
E intanto Emiliano, Giovanni, Matteo e Marika lo osservavano.
Fumetti VS fedeltà storica: una questione di potere
Durante il convegno allora ho deciso di prendere eroicamente la parola, intenta a difendere la categoria. L’astio degli storici nei confronti delle rappresentazioni non storicamente attendibili deriva da una questione di potere. Lo si capisce ancora meglio se si fa un parallelo con un settore che è al centro delle recenti discussioni socio-antropologiche: le rievocazioni storiche.
Quando si tocca il tema delle rievocazioni storiche infatti, saltano fuori gli altarini: si scopre che la storia è quasi sempre “inventata”, che la tradizione è un qualcosa negoziabile continuamente in base all’autorità e al potere politico. Manifestazioni che ospitano gruppi in competizione sulla giusta versione della storia. E poi ovviamente c’è la questione del mondo accademico: la torre d’avorio da cui certe persone vogliono un dominio circa i mezzi attraverso cui parlare di storia. Si parla di ruolo pubblico delle nostre discipline. E stiamo sempre lì, si parla di potere. E il fumetto storico, che ha un pubblico allargato, parla a tanti target, è un mezzo che mina il potere di trasmissione e rappresentazione della storia.
Fumetti, fedeltà storica e potere: argomenti di cui non si parla in conferenza stampa
Giovanni Masi è stato chiaro: gradiva la riflessione sulla sfera politica perché di solito non compariva mai in conferenza stampa, anche se lui avrebbe voluto. Lui, come gli altri dalla parte del ring dei fumettisti, era consapevole di questo aspetto. Era consapevole che il mezzo fumettistico, con un suo valore storicamente connotato e con un target amplissimo, fosse un mezzo potente per la trasmissione e rappresentazione della storia. E se si parla di Assassin’s Creed non si creano le stesse polemiche perché è un videogioco e il mezzo fumettistico probabilmente evoca una sensazione diversa.
Le stesse polemiche circa il modo in cui vengono rappresentati dei mondi del passato (ma anche del presente, diciamolo) avvengono in contesti poi di cui è dato sapere solo ai membri della nicchia di interesse: i giochi da tavola o di miniature a tema storico. Ricordo ancora una chiacchierata con il direttore di una nota rivista del settore: lui, storico medievista che aveva sempre avuto la passione per i giochi da tavola storici, non capiva certe ipocrisie. Fu lui a raccontarmi un aneddoto: si levarono proteste contro l’uso della svastica all’interno delle pedine a forma di bandiera della Germania nazista.
Avete mai sentito qualche storico lamentarsi pubblicamente del mancato uso della svastica all’interno delle bandiere della Germania nazista in un gioco da tavola? Avete udito mai polemiche accese pari a quelle levate contro un film che rappresenta in modo improprio il Medioevo? No, perché il mondo dei giochi da tavola o di miniature storici non ha la stessa vastità di target di un fumetto o di un film. I film o i fumetti hanno un’autorità all’interno del campo sociale decisamente maggiore rispetto a quella posseduta dai giochi da tavola. E, se vogliamo dirla tutta, il cinema riceve di solito polemiche molto più grandi rispetto al mondo fumettistico. Vi ricordate 300?
300 di Frank Miller e 300 di Zack Snyder: non solo un problema di fedeltà storica
Le polemiche e le strumentalizzazioni di 300 non sono avvenute su ampia scala nel 1998/99, periodo in cui uscì il noto fumetto di Frank Miller, ma è stato il film del 2007 diretto da Zack Snyder a dare vita a una vicenda di larga diffusione.
Da là sono partite davvero le crociate degli storici. Ricordo ancora come negli anni a seguire si potesse udire nelle aule universitarie più di un docente gettare bile al solo nominare 300. E poi negli Stati Uniti si era arrivati ad accusare Zack Snyder di razzismo e di veicolare un messaggio razzista. Tutto questo per di più in un’epoca in cui nel mondo si udivano ancora gli echi ravvicinati delle Torri Gemelle, e quei “persiani” proprio non piacevano. L’associazione tra “arabi” e “persiani” faceva ribollire di rabbia certi circoli.
E dall’altra parte avevamo chi strumentalizzava il film a fini politici, anche in Italia dove alcuni gruppi di estrema destra avevano deciso di prendere Leonida e i 300 spartani come simboli delle loro ideologie.
La storia non è mai apolitica, la storia si rimaneggia e si interpreta. La storia rappresenta delle certezze a cui appigliarsi per far valere le proprie ragioni, che si sia esperti o meno della materia. Anche gli storici non sono scevri da questo, anzi, molte volte sono gli stessi studiosi che sotto un manto di cordialità nascondono astio nei confronti dei loro pari che affermano idee diverse.
Quando il cinema o i fumetti parlano di storia è come se affidassero quel sapere, così complesso e così rimaneggiato, nelle mani di strumenti di produzione che hanno autorevolezza all’interno del campo sociale. Un’autorevolezza diversa da quella delle università, ma dalle grandi possibilità di riproduzione. Possibilità di riproduzione e di diffusione decisamente più grandi rispetto alle possibilità della torre d’avorio dell’accademia. E chi detiene il potere di diffusione più amplio primeggia anche nella rappresentazione della storia tra il pubblico, riesce – anche se involontariamente – a far primeggiare le proprie narrazioni all’interno del campo preso in esame.
E quando si parla di storia si parla di chi siamo noi adesso. Si parla del perché facciamo o pensiamo qualcosa piuttosto che qualcosa di diverso. Come quando un cattolico ha visceralmente bisogno di confermare o meno la storicità di Gesù, e risponde punto su punto quando qualcuno la mette in discussione.
La storia, George Orwell e le fake news: argomento tutt’altro che banale
Quando si parla del valore sociale della storia e di come la rappresentazione del passato sia tutt’altro che banale, cito spesso George Orwell. Uno dei dettagli più interessanti a mio avviso di 1984 è la descrizione del lavoro di propaganda tramite la riscrittura continua della storia e degli avvenimenti. Quando qualcosa presente in libri o giornali è in contraddizione a ciò affermato dallo Stato, esso viene rimosso e modificato.
George Orwell era acuto, e in quel caso parlava di censura e propaganda sotto governi totalitari, però questo meccanismo non è ad appannaggio solo del mondo totalitario. Noi tutti, tutti i giorni, possiamo vedere gli effetti di ciò che significa avere il predominio sui mezzi di diffusione e produzione delle informazioni. Pensate che il caso delle fake news sia banale o libero da qualsiasi sfumatura? Che davvero ci si divida in analfabeti funzionali e persone che invece riescono a capire le cose? Purtroppo l’argomento non si riduce là, sennò davvero sarebbe anche molto più facile da gestire.
Il caso delle fake news online ci colpisce in modo più diretto, essendo a noi contemporaneo ed essendo facilmente smentibile o meno oggi una notizia. Il caso della storia invece è un po’ diverso, perché certi avvenimenti sono veramente remoti nel tempo. Vi è un continuo processo di interpretazione del passato da parte degli studiosi stessi, non solo da parte di coloro spinti da ideologie. E certe interpretazioni sono accettabili più di altre in base al contesto sociale in cui nascono e si diffondono. Nel mondo di The Man on The High Castle, dove la Germania ha vinto la Seconda Guerra Mondiale, anche i negazionisti dell’Olocausto avrebbero possibilità di essere accettati.
Da parte mia, in generale, non vedo l’ora di leggere Nero. Tranquilli fumettisti, gli esperti in materia non sono tutti integralisti, e sappiamo come sia anche difficile trovare delle rappresentazioni delle spade di un guerriero arabo del periodo delle Crociate.
di Eleonora D’Agostino
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