Ieri sera al parco romano di Villa Ada è andata in scena una bella serata in tributo all’arte musicale di uno dei più grandi cantautori americani degli ultimi 25 anni.
Sul palco, due “apostoli” d’eccezione.
Gary Lucas da un lato: chitarrista newyorkese, vecchio amico di Jeff Buckley nonché suo compagno di band all’inizio degli anni Novanta coi Gods & Monsters. E, soprattutto, co-autore di due brani rimasti nella storia del rock: “Mojo Pin” e “Grace”, che il Nostro eroe includerà nel suo primo
(e purtroppo unico) album edito durante la breve vita.
Va detto, perché troppo spesso addirittura i fans tendono ad aver memoria corta: furono di Lucas le idee relative al primo abbozzo strumentale/chitarristico di quei due brani, sua la sei corde magica/incantatoria che li impreziosisce, conferendo un’atmosfera unica. Cui Jeff rese subito piena giustizia scrivendo testi e melodie. E cantando con la sua voce d’angelo.
Al centro del palco, di nero vestito, stasera c’è The Niro: nome del progetto musicale legato al cantautore romano Davide Combusti, nome interessante della scena indie-rock da oltre dieci anni. Al suo attivo ha 4 album di cui 3 cantati in inglese. Tra le sue numerose influenze, possiamo citare Buckley senza timore di smentita. La sua voce avrà l’arduo compito di impersonare Jeff. Alla fine la prova sarà brillantemente superata. Perché fin dall’inizio non si è voluto scimmiottare l’artista, farne un calco stilistico senza vita.
Ma con umiltà e portando il proprio bagaglio, la propria identità,
si racconta una storia spostando e quindi adattando il punto di vista.
Il progetto che ha visto i due artisti collaborare, insieme per la prima volta, si intitola “The complete Jeff Buckley & Gary Lucas songbook“, un album che vedrà la luce ai primi di ottobre e che contiene per la prima volta tutte e dodici le canzoni che Lucas e Buckley scrissero insieme all’inizio degli anni Novanta. Incise in studio in Italia con musicisti nostrani, in versione ri-arrangiata con Lucas alle chitarre e The Niro alla voce solista.
L’occasione imperdibile deriva da cinque titoli inediti, rimasti per un quarto di secolo nei cassetti – allo stato embrionale – e finalmente incisi, un ‘trattamento’ che avrebbero meritato fin dall’inizio. “Quest’anno è il venticinquesimo anniversario dell’album ‘Grace’. Questo è il mio regalo ai fans di Jeff Buckley” ha dichiarato Gary Lucas.
L’americano (dopo aver sottoposto a nomi di primissimo piano del rock internazionale l’idea di cantare quei vecchi inediti di Jeff e ave incassato solo rifiuti) ha incontrato The Niro durante un tour italiano. Rimasto impressionato, propone al cantautore romano di dar voce a questo progetto. Dopo aver accettato con entusiasmo, egli arruola il produttore artistico Francesco Arpino e propone la produzione esecutiva a Pierre Ruiz e alla sua etichetta discografica, la Esordisco. Poco prima dello scorso Natale, Gary Lucas sbarca a Roma ed iniziano così le registrazioni.
Questi i commenti a caldo: per Lucas è “un sogno che si avvera, specialmente con un cantante così sensibile e talentuoso come Davide Combusti e un produttore lungimirante come Francesco Arpino. E ‘stata una gioia totale lavorare con loro su questo e mi hanno costantemente sorpreso con la loro fresca interpretazione di queste canzoni“.
The Niro ha sottolineato “l’onore aver potuto prendere parte a questo straordinario progetto. In questo disco ho cercato di trovare la mia chiave espressiva, senza voler “clonare” in nessun modo un mostro sacro come Jeff. Quando uscirà il disco, sono sicuro che chi avrà la bontà di ascoltarlo si renderà perfettamente conto che non è in alcun modo un esercizio di maniera e che dietro al microfono ci sono io. Non perdete questa anteprima a Villa Ada, sarà un viaggio incredibile”.
Parliamo di ‘anteprima romana/italiana perché a partire dall’autunno ci sarà un giro di concerti statunitense, così da presentare ai fans americani il progetto e saggiare in presa diretta emozioni e sensazioni della platea.
Villa Ada è arrivata ieri sera, prima della canonica tournée ed è stato un primo ‘showcase’ delle potenzialità dei brani, molti dei quali suonati dal vivo davvero pochissimo prima d’ora o per la prima volta in assoluto.
Oltre ai già citati The Niro e Lucas (in veste di ‘guitar-hero’ anni Settanta: Fender Stratocaster rossa, cappello a tese larghe sulla testa, giacca scura e camicia dandy), c’è Francesco Arpino (tastiere, chitarre), Maurizio Mariani (basso) e Marco Rovinelli (batteria). Il set inizia alle 22:25 e finisce a mezzanotte ormai passata. Pochi i discorsi introduttivi, qualche aneddotto e soprattutto tanta, tanta emozione e voglia di suonare.
Peccato per il pubblico, accorso non in grande numero: lo show è di qualità e avrebbe meritato una considerazione senz’altro maggiore.
Il primo pezzo proposto è una cavalcata rock di oltre nove minuti: si intitola “No one must find you here” ed è stata appena resa disponibile sulle piattaforme streaming, in attesa dell’album in autunno.
È anche il primo dei 5 ‘inediti assoluti’ eseguiti stasera. Un brano possente, epico, con echi di Led Zeppelin, King Crimson e Queen prima maniera. Risulta evidente quanto Lucas e Buckley guardassero a certo ‘classic rock’ degli anni Settanta e avessero voglia di rinverdirlo, raccontandolo con un piglio più moderno ma senza tradirne lo spirito.
“Story Without Words” respira il medesimo ossigeno: un rock nervoso e irrequieto, scoppiettante e con un alone di mistero. Impreziosito di parti chitarristiche ricche di effetti psichedelici e un’andatura generale quasi ‘prog’ per certi aspetti. Segue “Harem Man“, un blues elettrico indiavolato, dal ritmo marziale, con la voce di The Niro che entra ed esce dal brano.
Una pausa (parecchie altre ne seguiranno, a onor del vero) per dare il tempo a Gary Lucas di riaccordare la sua chitarra, quindi spazio a “Distorsion” coi suoi cambi di tempo improvvisi e gli effetti speciali hendrixiani/pinkfloydiani della sei corde su una solida base rock duro.
Il primo, autentico colpo al cuore arriva con “She is Free“: a differenza degli altri brani (che testimoniamo la parte più scatenata e citazionista della collaborazione tra Lucas e Buckley) questo qui avrebbe potuto facilmente far parte della scaletta nell’album “Grace“. Si tratta di una delizia pop/rock dal riff fresco e orecchiabile, dall’appeal radiofonico nel miglior senso del termine. Un tempo medio denso di luci e ombre, dai toni dolci e amari proprio alla maniera di Jeff. Stessa impressione per “In The Cantina“. Una ballata dall’atmosfera intima e confidenziale. Dominata dalle tastiere e da una voce angelica e fragile, contrappuntata dalla sei corde elettrica.
Il secondo colpo d’ala arriva quando è il momento di riproporre “Grace“: quella perfetta concatenazione di accordi, in apertura, ci riporta alla memoria antichi fasti, emozioni fortissime che zampillano all’unisono con la voce di The Niro che ci racconta di Jeff alla sua maniera, senza strafare ma in un vestito che comunque gli calza assai elegantemente. E la decisione di suonarla senza la batteria (che pure nell’album era ben presente) ci da la possibilità di soffermarci di più sulla chitarra o su altri elementi di arrangiamento.
Della seconda parte del concerto abbiamo apprezzato in particolare “Song to No One”, eseguita in duo dai soli Davide e Gary. Acustica, sempre un poco virtuosa come piace a Gary, ricca di pathos e melodia. E poi l’elegiaca e soffice “Bluebird Blues”, che quasi anticipa il futuro discorso autorale di un Elliott Smith. Cantata senza il chitarrista, in trio con basso, batteria e chitarra acustica suonata dal solo The Niro.
Chissà, forse avremmo fatto a meno dell’ennesima versione di “Halleluyah” (che nulla a che spartire con Gary Lucas, tanto meno con il progetto del disco/omaggio che con The Niro si sta dipanando stasera), cover di Leonard Cohen incisa da Buckley sulla falsariga dell’interpretazione di John Cale.
Sul palco sale la cantante Alessandra Parisi, raggiunta più tardi da Davide per delle armonie vocali a due. Il compito è svolto senza scossoni, e ci rendiamo conto che la scelta è dovuta naturalmente al fatto che si tratta del brano di gran lunga più noto legato alla carriera di Jeff Buckley.
Una strepitosa “Mojo Pin” (eseguita di nuovo senza la batteria, come era già avvenuto prima con “Grace”), interpretata magistralmente per quanto riguarda l’interpretazione vocale, è per chi scrive l’ultimo vero tocco d’autore, l’ultimo acuto d’eccezione di una serata ricca di emozioni.
Ariel Bertoldo