Hiroshima. Un minuto di silenzio alle 8.15, la stessa ora in cui 74 anni fa fu sganciata la bomba nucleare Little Boy dal cacciabombardiere americano sulla città di Hiroshima. Durante la cerimonia, forte il bisogno espresso dal sindaco: le armi nucleari devono essere debellate.
Hiroshima, 74 anni dopo il disastro nucleare. Correva l’anno 1945, 6 agosto, quando fu sganciata la prima bomba atomica della storia sulla città di Hiroshima. Causò la morte di almeno 140mila persone, tra morti instantanee e successive dovute ai danni indiretti dell’uso del nucleare. Oggi, a 74 anni di distanza, alle 8.15 di mattina in quella città si rispetta ancora un tradizionale minuto di silenzio, seguito dal discorso di commemorazione del sindaco, Kazumi Matsui.
Il discorso del sindaco Kazumi Matsui
“Le generazioni future non devono mai pensare ai bombardamenti atomici e alla guerra come semplici eventi del passato”, sono state le sue parole in merito alla questione. Parole che evidenziano come il disarmo nucleare si trovi ormai ad un “punto morto”, vittima in un certo senso di un “nazionalismo egocentrico in ascesa” che accentua le tensioni internazionali. Molto sentito, in particolare, l’invito alla collettività e alle forze politiche di abbandonare l’utilizzo degli ordigni nucleari, con un’esplicita richiesta rivolta al governo di Tokyo di «firmare e ratificare il trattato delle Nazioni Unite sul divieto delle armi nucleari”. Un trattato approvato a luglio 2017 con il sostegno di altre 122 nazioni, di cui il Giappone ancora non fa parte.
Tra i 92 leader politici, provenienti da tutto il mondo, spicca la voce del primo ministro Shinzo Abe che, nonostante non abbia citato il trattato per il disarmo nucleare, ha ricordato il fondamentale ruolo che ha il Giappone nella mediazione tra gli Stati e ha affermato di essere “deciso a guidare gli sforzi internazionali per liberare il mondo dalle armi nucleari”.
“Enola Gay, you should have stayed at home yesterday”. Dovevi restare a casa ieri. È questo il primo verso di una delle canzoni più conosciute degli anni ’80, una canzone degli OMD, Orchestral Manoeuvres in the Dark, che ha venduto cinque milioni di copie in tutto il mondo e che, come forse non tutti sanno, altro non è che una protesta contro l’utilizzo della bomba nucleare e chiaramente contro tutto ciò che ne è conseguito.
Enola Gay, non doveva andare così
Una di quelle canzoni che le persone hanno ballato almeno una volta nella vita, di quelle canzoni che non fanno pensare al significato a meno che non ci si metta d’impegno, perché il motivetto è così coinvolgente che il senso è l’ultimo dei problemi. Una di quelle canzoni che, invece, porta con sé un messaggio chiaro, limpido, un messaggio di protesta, un messaggio di pace e al tempo stesso di disperazione. Una canzone che porta con sé una consapevolezza grande, forse troppo pesante per essere considerata una canzonetta da ballare. Una canzone che commemora, una canzone che non dimentica e che non fa dimenticare, una canzone che racconta una storia. Una storia di patriottismo, di amore, ma al tempo stesso di guerra, paura e distruzione.
Enola Gay era il nome dell’aereo cacciabombardiere da cui fu sganciato l’ordigno, Little Boy, che causò la morte immediata di 80mila persone. Ed Enola Gay era anche il nome della madre di Paul Tibbets, il pilota dell’esercito americano che decise di omaggiare così la stessa donna che l’ha messo al mondo e l’ha spinto a seguire il suo sogno di diventare pilota. Una madre, come si dice nella canzone e come affermò il padre in seguito all’attacco, fiera del suo giovanotto. “Enola Gay, is mother proud of little boy today, that kiss you give is never ever gonna fade away”. Quel bacio che hai dato non sbiadirà mai, con implicito riferimento al nome della bomba e dell’aereo militare. Enola gay, sono le 8.15 di 74 anni dopo, è l’ora che è sempre stata, è vero che quel bacio che hai dato non sbiadirà mai, ed è anche vero che proprio non doveva andare così.