L’11 ottobre 2013 un peschereccio proveniente dalla Siria chiese ma non ottenne soccorso dalla Guardia Costiera. Affondato insieme a 268 persone, tra cui 60 bambini. Da allora il processo per il “naufragio dei bambini” è proseguito grazie alla perseveranza del giornalista Fabrizio Gatti

Il “naufragio dei bambini”, come è conosciuto, è un caso eclatante dei risultati che porta la non collaborazione tra Stati nel gestire l’immigrazione. L’11 ottobre 2013 un peschereccio siriano che stava trasportando 480 rifugiati siriani in fuga dalla guerra chiede aiuto alla Guardia Costiera. Una motovedetta libica aveva infatti mitragliato lo scafo, mettendo a rischio la vita dei passeggeri.

Nella sala operativa di quest’ultima ci sono l’ufficiale responsabile Leopolo Manna e il comandante della Squadra navale della Marina Luca Licciardi, ai quali il pm Sergio Colaiocco contesta i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo.

Licciardi, secondo la ricostruzione, avrebbe vietato alla nave Libra (la più vicina al peschereccio) di intervenire, poiché riteneva che del problema se ne dovesse occupare Malta. La cui motovedetta è tuttavia giunta sul luogo alle 17:51, dopo quasi sei ore dalla richiesta di soccorso (12:07) e una dopo l’affondamento. I superstiti saranno appena 212 su 480.

L’inchiesta di Fabrizio Gatti

La successiva inchiesta sul naufragio dei bambini e la sua prosecuzione si devono alla perseveranza di un giornalista. Fabrizio Gatti, collaboratore di Repubblica ed Espresso, ha indagato sull’incidente e lo ha denunciato alle procure di Palermo ed Agrigento. Le quali hanno addirittura richiesto l’archiviazione del procedimento, poi rifiutata dai giudici.

Decisiva per questa scelta la testimonianza di Mohanad Jammo, medico siriano sopravvissuto al naufragio, che aveva contattato le sale operative di Roma e La Valletta con un telefono satellitare. In merito Gatti aveva scritto:

“Le informazioni che il dottor Jammo riferisce al tenente di vascello Clarissa Torturo, 40 anni, l’ufficiale di servizio alla centrale di Roma, sono inequivocabili e ben comprese. Tanto che l’allora comandante della Guardia costiera, l’ammiraglio Felicio Angrisano, le riporta in una lettera inviata a L’Espresso nel 2013: ‘Ore 12.39… presenza a bordo di due bambini bisognevoli di cure… unità che con motore fermo, imbarca acqua’, scrive l’ammiraglio. A quell’ora Jammo dice che l’acqua nello scafo ha raggiunto il mezzo metro. Difficile sostenere che non si sappia del pericolo”.

E proprio oggi il gup di Roma ha rinviato a giudizio Manna e Licciardi. Il processo si terrà il 3 dicembre presso la seconda sezione penale del Tribunale di Roma.