Il ritorno in grande stile di Niccolò Fabi è figlio di un momento di crisi cui hanno fatto seguito profonde riflessioni. Nasce da qui una nuova strada, una nuova storia avvincente che ha la forza del passato e del futuro.
I fans e gli addetti ai lavori sapevano già da tempo del desiderio di un percorso differente. Fin dall’estate del 2017 lo stesso Fabi l’aveva dichiarato: percepiva la conclusione della prima parte della sua carriera e guardava avanti, verso qualcosa di ancora intentato.
La libertà di andare oltre il seminato, uscire da un binario familiare spostando la visione verso l’ignoto. E quindi, da musicista: sperimentare, osare, lasciar zampillare dentro e tutt’intorno agli arrangiamenti alcune interferenze, parziali dissonanze essendo timbri e ‘voci’ fino a questo momento poco frequentate dal cantautore romano.
L’elettronica, il digitale, i campionamenti e i filtri sul cantato, le drum machines, l’arpeggiatore e i tappeti di synth modulari. Ovvero il crepitio artificiale di luci al neon là dove prima a scaldare era “soltanto” il cuore tenero del legno di chitarre acustiche e pianoforte ad accompagnare strofe, rime e riflessioni.
Sembrava un grosso azzardo, eppure alla fine Fabi ha saputo trovare la quadratura del cerchio, risultando familiare anche in questa incarnazione dalle sfumature post-moderne e gli spigoli vivi. E così le più recenti influenze (Sigur Ros, James Blake, Nils Frahm cui aggiungiamo Bon Iver in qualità di porta-fortuna e stella polare ‘evergreen‘) si amalgamano alla perfezione col vissuto e l’esperienza sonora di Niccolò che, pur arrivando da altri percorsi, ha saputo intuire l’alchimia per non snaturarsi mai.
Non dev’essere stato né facile né immediato: le prime sessions di registrazione, nell’isola di Ibiza, avevano condotto il nostro eroe verso l’insoddisfazione di chi si ritrova presso un binario morto, scottato da una posta in gioco troppo alta. E questo perché il sentiero che portava alla realizzazione di un album completamente elettronico lasciava Fabi con più dubbi che certezze. Avrebbe perso più che guadagnato in termini artistici.
Da qui il ritorno a Roma. Non una sconfitta, piuttosto il cambio di prospettiva e d’osservazione, il comprendere che certi stimoli potevano e dovevano essere colti/accolti senza ingordigia, senza voler strafare, ma tenendo conto di un’identità musicale già di suo capace di abbracciare quelle nuove idee. Così è stato e da queste premesse viene alla luce il disco.
“Tradizione e Tradimento”: l’impollinazione di tue terreni fertili capaci di convivere l’uno dentro l’altro. Nove brani per 37 minuti di musica e canzoni che sanno raccontare il ‘Noi’ più che il ‘Me’.
Un filo rosso di conflitti e scelte in bilico fra due forze opposte. Tra memoria e prospettive. E un artista, un uomo, capace di non irrigidirsi, di non perdere curiosità. Così da mantenere uno sguardo sempre fresco e giovane.
E’ un disco stratificato eppure accessibile, molto denso per accumulazione di strumenti/immagini ma anche nudo. E gentile, delicato, sensibile, umano e inclusivo come l’anima che ne è stata padre e che oggi lo svela.
Tra le pieghe dei singoli brani si riflette di accoglienza e accettazione del diverso, fuori dagli slogan, lontano da bandiere e cliché. Si racconta di migrazioni, del ruolo della musica e dell’artista.
Ci sono dentro vecchi amici cantautori (Roberto Angelini, Pier Cortese, Alberto Bianco) che hanno saputo dare idee e semi per la fioritura.
Tanti colori inediti, quasi in antitesi con l’essenzialità da ‘focolare domestico’ cui ci aveva abituati il precedente “Una somma di piccola cose”, un lavoro “insuperabile dal punto di vista esistenziale e un punto d’arrivo” come Fabi stesso aveva tenuto a sottolineare.
Largo spazio a synth, elettronica e ritmiche digitali in coesistenza col pianoforte e le chitarre acustiche.
Difficile e anche poco stimolante identificare eventuali brani prediletti. Ognuno troverà il suo. Quel che importa è ascoltare, fruire questo lavoro concedendogli tutto il tempo che merita, come si è sempre fatto per un artista come Niccolò e come chiedono dischi come questo.
Se poi la vostra preferenza andrà ad “Amori con le ali” (forse la più innovativa tra tutte) oppure alla title-track (con più di un’eco del disco precedente) avrete comunque scelto bene.
Sono canzoni che respirano dando il meglio nella lunga distanza, invitando all’evoluzione, al movimento, all’assunzione di responsabilità e all’impegno in primis verso sé stessi. Tutto questo porta all’unica vita possibile, quella che merita di essere vissuta. Tra scelte, tradizioni e tradimenti.