Una settimana turbolenta sulla sponda biancoceleste del Tevere, dalle parole di Lotito alla rimonta con l’Atalanta. Il rientro dalla sosta delle nazionali evidenzia ancora una volta una Lazio dalla natura “bifronte” non solo all’interno dei 90 minuti, ma anche nell’andamento stagionale complessivo
“Non sono arrabbiato con la squadra, ma deve dare di più“. Un piccolissimo stralcio delle dichiarazioni rilasciate da Lotito in settimana al Corriere dello Sport dall’effetto di bomba pronta ad esplodere. Un fulmine a ciel sereno capace di dare una scossa in un ambiente quasi anestetizzato dopo il pari rocambolesco con il Bologna.
La frecciatina ad Inzaghi e calciatori è stata spedita prontamente, ,ma sembrerebbe essere giunta alle orecchie dei diretti interessati solamente nell’intervallo della sfida con l’Atalanta, dove i capitolini hanno condito di ancor più ambiguità la loro stagione. Superati alcuni limiti, eccone comparire altri forse ancor più gravi.
La paura di diventare grandi
Passano le settimane e la nuova Lazio appare sempre più come un adolescente a cavallo tra il mondo degli adulti e quello dei bambini. A prove d’autorità con compagini sulla carta più deboli si accompagnano prestazioni insufficienti non appena il livello delle aspettative si alza.
Così, dopo gli applausi delle prime due uscite, ci hanno pensato Spal e CFR Cluj a ridimensionare i biancocelesti. Analogamente, ma in senso inverso, le maggiori prove d’orgoglio fanno seguito a cadute e critiche (si vedano le vittorie con Parma e Genoa). La stagione deve ancora entrare nel vivo ma può dirsi quasi con certezza che esiste un deficit importante in termini di continuità, fattore imprescindibile per chi voglia puntare in alto. Un problema oramai assodato che fa sorgere nelle mente di molti il dubbio di quale sia la vera Lazio.
Dalla mancanza di continuità discende la prima conclusione del campionato delle aquile, un dato confermato anche dalla formazione scesa in campo sabato con gli stessi undici della scorsa stagione: la criticità principale che ha impedito di raggiungere la Champions League in passato, al momento, è ancora lontano dall’essere risolta.
Guardare il bicchiere mezzo pieno
Analizzando l’ultimo match con l’Atalanta si intravedono due linee di pensiero: si può infatti scegliere di fossilizzarsi sull’inguardabile primo tempo, ponendo passare in secondo piano la rimonta oppure esaltare quest’ultima sminuendo la prestazione dei primi quarantacinque minuti.
Dunque, per scegliere al meglio una linea interpretativa, bisogna ricercare un appiglio negli altri match, grazie ai quali può notarsi come i romani, rispetto a qualche settimana fa, hanno superato il limite della tenuta mentale nel corso della gara.
Nelle ultime tre, compreso l’impegno europeo con il Rennes, i ragazzi di Inzaghi hanno portato a casa punti grazie a delle rimonte. Con i francesi in meno di quaranta minuti si è passati dall’inferno al paradiso; con il Bologna l’impresa stava per essere bissata dopo aver riagguantato il pari due volte ed infine con l’Atalanta il corso della gara parla da sè.
Una reazione capitanata sempre dai i soliti quattro che plasmano le prestazioni della Lazio a loro piacimento. Un’arma a doppio taglio che produce una Lazio “bifronte”.
Con una difesa, inizialmente sicura, ma ora traballante ed un filtro a centrocampo terribilmente in difficoltà (Leiva sembra la brutta copia di quello di qualche mese fa ed i sostituti non appaiono in grado di migliorare la situazione), toccherà ai soliti noti regalare alla Lazio un’identità precisa.