Ricordare Fabrizio de André, dopo 21 anni dalla sua morte, non è semplicemente un dovere, ma una vera e propria devozione che noi italiani ancora sentiamo pulsare tra il sangue e la pelle a ritmo di Bocca di Rosa.
È considerato uno dei più grandi cantautori della storia della musica italiana, il nostro Faber, così conosciuto dagli amici e poi dal resto del mondo. Ha lasciato un testamento a dir poco grandioso, un repertorio che tutti stimano, anche i giovani di oggi che l’hanno conosciuto per poco o per nulla, sanno tutto di lui, perfino le canzoni che tutti canticchiano spesso nella loro quotidianità.
“Quando la morte mi chiamerà forse qualcuno protesterà, dopo aver letto nel testamento quel che gli lasciò in eredità, non maleditemi non serve a niente, tanto all’inferno sarò già”, una delle frasi più conosciute che ci ha lasciato come Testamento nell’omonima canzone, dal quale possiamo capire il personaggio che è stato.
Un personaggio indiscusso in ambito musicale, letterario e politico. Proprio in quest’ultimo campo ha espresso nei migliori dei modi la sua ideologia: anarchico fino al midollo, o comunque molto vicino a questa linea di pensiero. Nel 1990 scrisse una canzone nella quale cita una frase che in pochi forse oggi conoscono:
Aspetterò domani, dopodomani e magari cent’anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la miglior forma possibile di convivenza civile”.
Secondo De André il vero nemico dell’uomo sono la consapevolezza del potere e le autorità ad esso connesse.
Le famose matite della Faber- Castell sono state sue compagne di viaggio, ecco il suo soprannome da dove nasce, le stesse matite che hanno voluto colorare gli animi dei suoi infiniti fan con i suoi 13 album. Molti testi delle sue canzoni raccontano storie di emarginati, ribelli, prostitute, e sono considerate da alcuni critici come vere e proprie poesie, tanto da essere inserite in varie antologie scolastiche di letteratura già dai primi anni settanta e da ricevere gli elogi anche di grandi nomi della poesia come Mario Luzi. Insieme a Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco è uno degli esponenti della cosiddetta Scuola genovese, un nucleo di artisti che rinnovò profondamente la musica leggera italiana. È l’artista con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con sei Targhe e un Premio Tenco.
Lessi Croce, l’Estetica, dove dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti, dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante. F. De André