Il diario di Anna Frank | Un classico da vedere e rivedere per il giorno della memoria.
Il giorno della memoria è un appuntamento imprescindibile per tutti gli esseri umani degni di questo nome. Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e da quel momento tutto il mondo seppe dei reali orrori perpetrati dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Sono passati 75 anni da quel giorno ma oggi più che mai è necessario ricordare di cosa l’uomo è stato capace di fare. In questa simbolica ricorrenza internazionale del Male, abbiamo quindi deciso di rispolverare il classico del cinema di George Stevens, Il diario di Anna Frank.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
– Primo Levi
Basato sull’adattamento teatrale dell’omonimo libro, il film è stato girato a 14 anni di distanza dalla morte di Anna Frank, nel 1959. Un film claustrofobico, in cui la dimensione oppressiva di una convivenza forzata esprime con forza l’interiorità e i sentimenti dei protagonisti, in particolare della piccola Anna. Lo spazio diventa amplificatore dell’essere umano, delle sue esigenze, del suo essere, dei suoi pensieri che, limitati, si rivelano in tutta la loro forza prorompente. Noi, semplici spettatori dell’inspiegabile, subiamo così una totale immedesimazione.
La storia inizia ad Amsterdam nel 1945, con Otto Frank (Joseph Schildkraut). Finita la guerra l’uomo è l’unico sopravvissuto della sua famiglia e torna nella soffitta dove lui, la moglie e le due figlie – Anna e Margot – si erano nascosti poco tempo prima. Qui ritrova il diario di Anna, che lui stesso le aveva regalato. Immerso nei ricordi, Otto torna con la mente a quel periodo nel nascondiglio. Si passa allora al 1942: per sfuggire alla Polizia Verde (così nel film vengono chiamate le SS) la famiglia Frank è costretta a nascondersi e dividere una soffitta con un’altra famiglia ebrea, i Van Daan. L’angusto rifugio si trova nel centro di Amsterdam, sopra a una fabbrica di spezie di proprietà di Otto Frank e le due famiglie vengono aiutate da due suoi ex dipendenti, Miep e il signor Kraler.
Da questo momento in poi ha inizio la narrazione vera e propria e il film ci mostra i due anni vissuti dalle famiglie nell’alloggio segreto. Rinchiusi come topi, i Frank e i Van Daan dovranno sottostare a una serie di rigide regole per non essere scoperti. Il silenzio è tutto, loro non devono esistere. Non guardare dalla finestra di giorno, camminare solo se necessario e scalzi, non usare l’acqua né il bagno: non fare il minimo rumore. La convivenza forzata e lo spazio angusto ben presto generano malumori e scontri tra le due famiglie che necessitano, come tutti, di libertà. Anna Frank (Millie Perkins) è la mosca bianca. La sua natura curiosa e vivace, inizialmente criticata da tutti, troverà sfogo nella scrittura. Anna diventerà inseparabile dal suo diario, nel quale annota ogni minimo avvenimento ma soprattutto i suoi sentimenti, le sue paure, le sue speranze.
Le giornate passano così per i Frank e i Van Daan, tra terrore e speranza, un giorno dopo l’altro. Una vecchia radio è la loro flebile porta sul mondo, ma le notizie che ascoltano li gettano sempre più nello sconforto. I nazisti hanno iniziato i rastrellamenti e le deportazioni, dalla finestra ogni giorno i rifugiati osservano centinaia di ebrei muoversi e la guerra non accenna a finire.
Il terrore arriva una sera: dei rumori avvertono della presenza di qualcuno nella fabbrica. Grazie a una regia abilissima e una fotografia che esalta gli stati d’animo, solo noi spettatori sappiamo della presenza di un ladro, mentre le due famiglie vivono momenti di angoscia pura. Non sanno, non vedono. Possono solo rimanere nel silenzio più totale. La verità la scopriranno solo il giorno dopo, all’arrivo di Miep e Kraler. Ma il ladro non demorde e qualche giorno dopo si ripresenta, messo in fuga dal fracasso provocato dal figlio dei Van Daan. Qualcuno avverte le SS che entrano nella fabbrica e la setacciano al millimetro, fortunatamente non scovando il nascondiglio.
Il film qui si sposta in avanti e la narrazione riprende a un anno di distanza. La situazione è più tetra, la speranza è ormai un lontano ricordo e le due famiglie vivono ormai nello sconforto, debilitati nel fisico e nell’anima. Solo Anna mantiene un atteggiamento di speranzosa attesa e di fede, che trascrive minuziosamente nel diario. Sta diventando donna e i suoi sentimenti sono di una maturità a volte sconcertante se pensiamo che ha solo 14 anni. La notizia dello sbarco in Normandia riaccende gli animi ma poco dopo, nell’agosto 1944 la polizia fa irruzione nella fabbrica e agli inquilini non resta che attendere in silenzio il loro arresto. Anna però è riuscita a nascondere il suo diario, nella speranza che qualcuno lo trovi prima o poi.
Ecco che il film ritorna al punto di partenza, a un Otto Frank provato dal campo di sterminio da cui ha fatto ritorno da poco. Veniamo a conoscenza insieme a lui del destino di tutti i membri delle due famiglie, e assistiamo impotenti allo spegnersi dell’ultimo barlume di speranza nell’uomo: quella di ritrovare Anna e Margot. La conclusione non poteva che essere con una delle tantissime frasi-simbolo presenti nel vero Diario di Anna Frank che ci disarma ogni volta con la sua innocenza.
“Nonostante tutto, io credo ancora che la gente in fondo sia buona.”
Per non dimenticare. Mai.
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