Abbiamo il piacere di presentarvi un’esclusiva intervista rilasciata da Angelo Gregorio, talentuoso sassofonista fondatore della Via Toledo Jazz Quartet.
Il 7 febbraio esce “Caravaggio”, la nuova produzione discografica a firma Via Toledo Jazz Quartet e pubblicato dall’etichetta Artesuono. Un album di cui fanno parte il sassofonista e leader Angelo Gregorio, il chitarrista Paolo Loveri, il contrabbassista Fil Caporali e il batterista Bruno Castellucci. Special guest è il trombettista napoletano Marco Sannini.
Il disco verrà presentato in un lungo tour che, principalmente, sarà di scena in Belgio ma con diverse tappe anche in Italia nel 2020: Torino Jazz Club – Torino (27 febbraio), Teatro Sociale – Valenza, Alessandria (28 febbraio) e dal 22 al 27 marzo in Campania, terra che ha dato i natali ad Angelo Gregorio e Paolo Loveri. Dal primo dicembre è online, su tutte le piattaforme digitali, il singolo “The Father’s Fears” e dal primo gennaio “Between Three Lands”.
Il nome del quartetto prende ispirazione dalla celebre strada che si trova a Napoli: una delle più antiche e una delle vie più importanti della città. Molti poeti paragonano Via Toledo all’americana Broadway e lo scrittore francese Stendhal descrive lo spirito di questa strada definendola «la strada più felice della terra».
Angelo Gregorio, leader del Via Toledo Jazz Quartet, è nato a Salerno (1983) e arriva a Bruxelles nel 2010 con un diploma in sassofono classico, dopo esserci stato in Erasmus nel 2009. Ma ecco la storia curiosa: in Belgio non gli viene riconosciuto il titolo italiano e si trova costretto a ricominciare daccapo. Angelo non demorde e, nella capitale belga, consegue la Laurea ed il master in Sassofono Jazz e ben due master in pedagogia musicale e pedagogia del jazz presso il Regio Conservatorio.
Il legame con l’Italia rimane molto forte, tanto da portarlo a dare vita tra il 2014 e il 2015 all’Orchestra Italiana Bruxelles, una big band jazz che suona standard jazz italiani degli anni 40/50 arrangiati da lui stesso per 16 musicisti. Questo progetto lo porta a suonare per varie ambasciate e l’Orchestra diventa la big band jazz ufficiale della comunità italiana del Belgio. Inoltre, nel 2019, fonda l’Italian Jazz Festival patrocinato dall’istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.
L’attività musicale di Angelo Gregorio è decisamente intensa: nel 2012/2013 pubblica, sotto l’etichetta americana “Trumpet Jazz LLC”, il suo primo disco “Alla ricerca delle radici” un progetto sperimentale “Sax Solo” in cui Angelo si spoglia di tutti gli strumenti armonici e suona solo con il suo sax unendo modernità e tradizione con una tecnica straordinaria ed innovativa.
Nello stesso anno Angelo Gregorio realizza diverse tournée con varie band europee come: The Cool School (Cool Jazz degli anni ’50), The MoD (Electro Smooth Jazz). Nel 2017/2018 Angelo pubblica tre album con l’etichetta “Artesuono”: “Ceci n’est pas un trio”, con il suo hammond trio, “Orange & Sparkles” con “The Hipster Project” e “Take a Chance” in collaborazione con la cantante jazz Carla Piombino.
MM: via Toledo Jazz Quartet, un nome che parla da solo. Paragonata alla Broadway americana, classificandola come la strada più felice al mondo. Sono queste le parole che si possono leggere nella descrizione del vostro singolo di rilascio. A tal proposito le chiedo: il jazz di “Caravaggio”, ha per lei una componente poetica o spettacolistica paragonabile all’aria che si respira tanto nella Broadway originale quanto nella Broadway partenopea?
A.G: Sicuramente del poetico, dello spettacolistico non saprei. Il paragone con Broadway e la scelta del nome del progetto si riferisce più al senso di appartenenza che noi membri del gruppo abbiamo verso l’Italia e verso Napoli ma anche per il modo in cui suoniamo in questo disco. Felici, spensierati, contenti di farlo cosi come l’aria che si respira in Via Toledo a Napoli.
MM: secondo molti critici e commentatori, il sassofono rimane, anche in un’epoca come quella odierna dove la musica si è progressivamente digitalizzata, lo strumento più espressivamente simile al canto, quasi come se fosse un prolungamento dell’anima stessa del musicista. Si sente di condividere questa affermazione?
A.G: Direi proprio di sì, è uno strumento che è nato per il “popolo” e lo è tuttora.
MM: Prima di proseguire con l’intervista, vorrei spendere due parole per i tre musicisti che la accompagnano in questo progetto: Paolo Loveri alla chitarra, Fil Caporali al contrabbasso e Bruno Castellucci alla batteria. Ascoltandoli, sono rimasto quasi basito dallo charme espresso e dalla chimica che avete mostrato insieme. Vorrei chiederle: è difficile trovare jazzisti così bravi e passionali al giorno d’oggi?
A.G: È vero che nel jazz “europeo” la passione, a volte, viene messa da parte a favore, forse, di una meccanizzazione quasi perfetta, senz’anima. Ma è anche vero che in questa scena “europea ” ci sono tantissimi jazzisti che hanno mantenuto il senso della tradizione, dell’estetica non forzata, delle belle melodie. Sono stato fortunato ad aver incontrato sul mio cammino Bruno, Paolo e Fil.
MM: In Belgio, lei è il fondatore dell’Italian Jazz Band, e si diletta a riarrangiare standard italiani degli anni Quaranta e Cinquanta. Potremmo definirlo un richiamo alla sua terra natia che ha lasciato per cercare fortuna in terra fiamminga? E quali sono i jazzisti italiani di quell’epoca che reputa come suoi maestri?
A.G: Io non sono un nostalgico ma un attento osservatore del mondo che mi circonda. A Bruxelles, in Belgio, la comunità Italiana è molto presente e numerosa e fino al mio arrivo nessuno aveva mai pensato ad un progetto simile, un progetto che potesse unire la vecchia generazione, arrivata in cambio di carbone, con la nuova generazione, arrivata in cambio di un carbone di un altro colore. Cosi è stato, l’Orchestra Italiana Bruxelles è ora l’orchestra della comunità italiana ed è l’orchestra ufficiale di uno dei più grandi eventi italiani in Belgio il Grand Bal d’Italie organizzato da Benedetta Dentamaro, segretario dei COMITES Belgio e patrocinato dall’Ambasciata Italiana in Belgio.
MM: Caravaggio era il perfetto esempio di genio e sregolatezza. Le melodie proposte in questo album ne esemplificano appieno l’essenza. Molto variegate, piene di sorprese, di cambi di tempo e di stacchi. Cosa l’ha spinta a intitolare al Merisi questo suo primo album? È un appassionato della sua storia oppure c’è di più?
A.G: Sono un fan di Caravaggio, delle sue opere, dei suoi giochi di luce ma purtroppo la sua storia è solo in parte il motivo della mia scelta. Qualche anno fa ero in tournée ed avevo appena finito di scrivere il brano che ora porta il titolo Caravaggio ma all’epoca lo eseguivo dicendo che non avevo ancora nessuna ispirazione per il titolo. Dopo un concerto ritornando all’hotel trovai sui social la diretta di due persone che erano al concerto ed avevano ripreso proprio quel brano. Mentre suonavo li sentivo discutere “questo sassofonista somiglia a qualcuno che conosco” e l’altro tipo “ma no, che dici, non lo conosci”. Sono andati avanti per metà del brano poi ad un certo punto si sente esultare il primo che dice “ma si assomiglia a quello che stava sulla centomila lire”. Ovviamente non potevo non chiamare Caravaggio quel brano. Il nome per il disco è stato semplice!
MM: Una domanda più personale: com’è nato il suo amore per la musica jazz? Se le va, ci racconti qualche aneddoto succoso per gli appassionati.
A.G: La mia passione per il jazz è andata di pari passo con il mio strumento, il sassofono. Quando si suona il sassofono si è portati quasi inconsciamente ad avvicinarsi al jazz e poi senza volerlo ti ci ritrovi dentro e non riesci più ad uscirne. Perché il jazz ti parla, ti mette in contatto con te stesso, ti obbliga ad un’auto analisi. Ti mostra i tuoi limiti senza parafrasare. I dischi di jazz, i grandi jazzisti ti mostrano come in realtà l’improvvisazione è l’arte dell’organizzazione e della rielaborazione dei propri pensieri e di quelli degli altri a cui magari ti ispiri. Pensieri che però debbono essere veri, ed è li che risiede tutta la difficoltà e la bellezza di questa musica!
MM: Le parlo da sassofonista mancato, amante di Coltrane, di “Ballads” e del suo disco in duetto con Johnny Hartman. Qual è il suo sassofonista preferito?
A.G: Ne ho molti come lei potrà ben immaginare ma uno più di tutti mi affascina per le sue linee melodiche e per il suo savoir faire, Dexter Gordon.
MM: In ultimo: vista il suo percorso ripetuto due volte a causa del non-riconoscimento della sua laurea in Belgio, vuole spronare tutti i giovani musicisti che sperano di assurgere al successo? Quali consigli si sente di dare a chi vorrebbe fare della musica la propria vita?
A.G: Saper ascoltare, essere umili, mettersi sempre in discussione e studiare. Aggiungerei anche un’altra cosa, con i tempi che viviamo un artista deve assolutamente essere in grado, almeno un po’, di vendersi e saper fare un po’ di marketing. Spesso, troppo spesso, ci sono ottimi musicisti che restano nell’ombra perché non riescono a proporsi o proporre i loro progetti a festival, locali, organizzatori. Qui penso che i conservatori italiani dovrebbero capire che una seria classe di Marketing e Management vada pensata.
MANUEL DI MAGGIO
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