Queen II: pubblicato proprio l’8 Marzo del 1974, nel Regno Unito. Brian May e Freddie Mercury sono la vera e propria anima di questo album, e mettono di loro quanto più ce n’è, lasciando molto poco per gli altri membri del gruppo. La suddivisione è subito netta tra “Side White” e “Side Black” e ci fa capire che questo album è qualcosa di unico nella storia, in sintonia con la musica che andremo ad ascoltare. Spiega infatti Roger Taylor:
«Il lato leggermente più dark era il “Side Black” , mentre penso che il “Side White” fosse un po’ più arioso e fatato con una bella dose di sentimento. Era un po’ una firma per fare risaltare maggiormente il disco. Eravamo molto molto sperimentali nel periodo di ‘Queen II.’ »
Queen II osannato dalla critica
Un album che dividerà in due anche la critica, fino ad arrivare a chi oggi lo definisce la loro opera migliore. Un arduo lavoro ai Trident Studios, strade mai percorse prima: compaiono organo Hammond e clavicembalo, persino le nacchere. E Robin Geoffrey Cable avrà il suo merito: aprire al successo di Seven Seas of Rhye. “Eterno pilastro dell’hard rock” per la Rock and Roll Hall of Fame, con la seguente motivazione, come racconta anche il grande critico Roberto de Ponti.
“Secondo i critici Queen II ha riscritto la storia del Rock perché costituisce una delle prime opere nelle quali l’heavy metal si mescola insieme all’art rock, un genere che proprio grazie al secondo lavoro dei Queen ha conosciuto grande popolarità tra le band britanniche degli anni ‘70”.”
Queen II canzone per canzone
Si apre con Procession, di May, che a ben sentire avrà molto a che vedere con la nostra futura We Will rock You. Dicono sia una marcia funebre, ma è stata concepita come intro di Father to Son. Eccola, sempre May, chiari riferimenti ai Who e ai Led Zeppelin, e di nuovo la tematica padre/figlio dopo Son and Daughter data dal suo stretto rapporto con il padre Harold. Arriva poi prorompente White Queen (As it Began), May, difficile da descrivere a parole, la Regina Bianca è inarrivabile, in tutti i sensi, soprattutto perché ha spinto Mercury a scrivere il capolavoro che sarà The March of the black Queen. Some day one day spezza l’atmosfera, tutta cantata da May, con una sonorità che ci ricorderà ’39: chitarra acustica ed elettrica. The loser in the end, l’unica canzone scritta e cantata da Taylor, dedicata a tutte le mamme e al loro destino.
Il gran finale di Mercury
Le ultime cinque canzoni per lo più cantate da Mercury meritano un capitolo a parte. Se solo si potesse spiegare come qualcuno ha provato a porre la poesia in musica, rock peraltro, ecco la risposta. Evocative, tragiche, vere e proprie epifanie: qui abbiamo la vera anima di Mercury. Prima tra tutte: Ogre Battle. Battaglie tra orchi, riff di chitarra heavy metal composto da Freddie e un enorme gong nello studio: un suono magico. The Fairy Feller’s Master- Stroke meriterebbe un libro. Possiamo dire che è forse l’opera piu’ bella di Freddie. Senza dubbio tra le piu’ sentite. Il suo rapporto con Richard Dadd, lo studio minuzioso del quadro per la nascita di un vero e proprio capolavoro.
Che dire poi di Nevermore: pianoforte, cori, per una ballata d’amore così delicata e pura. E poi di nuovo un pezzo clamoroso, che anticiperà quello che sarà uno dei piu’ grandi successi mondiali della storia del rock. Si, perché da The March of the black Queen nascerà Bohemian Rhapsody. Si conclude con Funny how love is, canzone pop in dissolvenza, che rende tutto più leggero, dopo una serie di melodie che lasciano pensare a ciò che abbiamo avuto, a ciò che ci ha lasciato.