La pellicola del 1980 Venerdì 13 ha dato vita ad una saga slasher famosa in tutto il mondo. Primo film di una lunga serie, vede come protagonista Jason Voorhees, sfortunata vittima delle vicende attorno Camp Crystal Lake.
Nel primo capitolo si scontra (o meglio, sua madre lo fa) con Alice Hardy, che con la sua interpretazione contribuirà a dare vita alla figura della final girl.
La final girl altro non è, come dice il nome, che la “ragazza finale”, quella che giunge all’ultimo scontro con il killer. A volte ne esce da vittima, altre da vincitrice, come nel caso di Alice, eliminando temporaneamente la minaccia.
Ma chi è davvero il carnefice?
Venerdì 13: vittime e carnefici
Le analogie che la final girl ha con il serial killer sono infatti molteplici. Prendendo perciò il film di Sean S. Cunningham come esempio, andremo ad analizzare le principali.
Storia e personalità
La final girl e l’assassino possiedono spesso un background molto simile. Sono infatti solitamente vittime dell’emarginazione dei propri coetanei, che li porta anche a subire diverse vessazioni.
Ciò contribuisce a rendere il loro carattere chiuso, introverso, ma estremamente analitico nei riguardi dell’ambiente che li circonda, che conoscono a menadito. Una delle caratteristiche che permette infatti alla final girl di arrivare allo scontro finale è proprio l’intelligenza.
Consapevolezza
L’intelligenza e lo spirito analitico della final girl la portano presto a capire la gravità degli eventi a cui assiste. Camminando tra i cadaveri dei suoi amici, acquisisce sempre maggiore consapevolezza di doversi scontrare con ogni mezzo contro un pericolo reale che la attende nel buio.
Lo sguardo
Le soggettive a cui ci sottopone la macchina da presa differiscono, perciò, lungo il film. Venerdì 13 si apre infatti con quella di Jason che si intrufola in uno dei bungalow del campeggio. È il detentore dello sguardo, e attraverso di lui lo spettatore assiste agli omicidi delle sue inermi vittime.
Alice, come appena visto, prende sempre maggiore consapevolezza della situazione e acquisisce perciò gradualmente il controllo dello sguardo.
Se prima il punto di vista era maschile, ed incentrato sui corpi mutilati e seviziati di ragazze (generalmente alla donna viene sadicamente riservato più screen time quando viene uccisa – non prima di essere stata torturata), adesso sarà di una giovane che ha imparato a fare appello al proprio ingegno pur di sopravvivere.
Tramite la final girl guardiamo direttamente in faccia la sopravvivenza.
I ruoli si ribaltano
La final girl prende anche il controllo del film, e ci conduce allo scontro finale, dove emergono tutti i punti in comune con il killer. La ragazza ha imparato a conoscerlo: nel modus operandi, nelle mosse, nella psicologia; sa come agisce, e perciò riesce a contrastarlo.
Il binomio si azzera. Alice uccide la minaccia, diventando però ciò che ha combattuto per tutto il film. Attraverso il suo sguardo assistiamo alla decapitazione di Pamela Voorhees, la madre di Jason (che sotto le mentite spoglie del figlio minacciava Camp Crystal Lake).
Senso di colpa
La final girl ha perciò incarnato l’istinto omicida da cui è sfuggita per tutto il film. Ciò la rende vittima dei sensi di colpa, che torneranno sempre a tormentarla, peggiori di qualsiasi condanna da scontare.
Ma il più delle volte l’uccisione del killer è solo di facciata, e la final girl si ritroverà a doverlo nuovamente affrontare (stavolta, si spera, in maniera definitiva) al fine di liberarsi del peso di demoni che per anni l’hanno tormentata (come nel caso di Laurie Strode in Halloween).
Chiara Cozzi
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