Metropolitan Magazine vi porta oggi alla (ri)scoperta di Dario Hubner, vero bomber di razza che ha raccolto meno di quanto abbia seminato. Dagli esordi in interregionale alla Serie A col Brescia. Ripercorriamo insieme la carriera del “bisonte”.
Dario Hubner: una favola partita dai bassifondi
Barba incolta, capelli ricci ed increspati e la passione per l’alcool e il fumo: Dario Hubner non rappresenta certo l’ideale estetico e comportamentale del calciatore moderno, ma forse è anche per questo che il pubblico ha imparato ad amarlo. La sua immagine è familiare e schietta. La maglia sudata, nel suo caso, non è un’immagine paradigmatica, ma la passione di chi è consapevole delle proprie origini ed è grato per ciò che ha raggiunto. Dario è un ragazzo come tanti che, a 20 anni, si divide tra il lavoro di carpentiere e gli allenamenti (rigorosamente notturni) con la Muggianese, piccola squadra della sua città Natale. In testa una speranza più che un obiettivo: riuscire a sfondare nel mondo del calcio.
I primi passi in interregionale e serie C2
La carriera vera e propria di Hubner inizia nell’interregionale 87-88 con la maglia del Pievigina, squadra che gli consente di mettersi in mostra con 10 reti in 25 presenze.
Non mi dimenticherò mai che senza il Pieigina non sarei mai diventato un calciatore professionista, e forse oggi farei l’operaio”
Ricorderà “il bisonte” anni dopo, dimostrando la solita umiltà che lo ha sempre caratterizzato. A farlo esordire tra i professionisti ci pensa il Pergocrema, ma la vera svolta della carriera arriva grazie al Fano, e al suo primo vero mentore: Francesco Guidolin. Con la squadra marchigiana Hubner esplode definitivamente costruendo il primo tassello di un record che tutt’oggi condivide con un altro ariete dell’area di rigore: Igor Protti. Solo loro due sono infatti riusciti a vincere la classifica cannonieri in Serie A, B e C. Col Fano centra l’impresa mettendo a segno 14 reti in 31 presenze.
I cinque anni di Cesena: nasce il mito del “bisonte”
Sarà però a Cesena che il mito di Dario Hubner comincerà a forgiarsi e a stagliarsi definitivamente nel cuore dei tifosi. In romagna l’attaccante approda quando ha già 25 anni e un curriculum di tutto rispetto come abbiamo già visto. Il presidente Lugaresi decide di puntare su di lui che lo ripaga con 5 anni costantemente in doppia cifra. Passionale e sanguigno come la terra che lo accoglie, “Tatanka” metterà a frutto le sue doti migliori durante quest’esperienza, che lo consacrerà come uno dei migliori contropiedisti in circolazione. Corre con la testa bassa e la schiena leggermente ricurva Hubner, quasi sentisse il peso della fatica accumulata da giovane, e attacca la porta frontalmente con la sfrontatezza di chi non ha mai avuto timore di mostrarsi anche sopra le righe. La sua forza fisica lo rende un vero e proprio ariete capace di scardinare le difese avversarie. La sua efficacia sotto rete gli consente di capitalizzare al meglio anche alcuni peccati “veniali” che confesserà anni dopo a Gianluca Di Marzio:
Dormire poco o mangiare tre chili di carne al giorno non è mai stato un problema. In campo davo tutto e questo bastava, a me e ai miei compagni. Nel sottopassaggio fumavo sempre, ma gli allenatori non si arrabbiavano: sapevano che ero fatto così “.
Era fatto così, Dario Hubner. Nel suo modo di vivere calcio, non c’è nulla dell’atteggiamento ossessivo e nevrotico che porta oggi molti campioni ad avere una sorta d’ossessione per la preparazione atletica e la propria immagine. Hubner fumava, eppure aveva polmoni abbastanza robusti e capienti da sopportare lunghe sgroppate verso l’area avversaria. Anche a cesena, tanto per non perdere l’abitudine, Hubner si laurea capocannoniere nel ’96 con 22 reti, ma la squadra raggiungerà a malapena la salvezza prima di retrocedere l’anno successivo.
Gli anni del Brescia
A questo punto ci si accorge che uno come Hubner non può languire nelle serie minori. E allora è il Brescia a garantirgli, ormai trentenne, il palcoscenico più prestigioso: la Serie A. Il debutto, poi, avviene nello stadio per antonomasia contro il calciatore più rappresentativo di tutta la decade: 31 agosto 1997, Stadio San Siro, esordio di Ronaldo (il “fenomeno”) in Italia. Tutti attendono col fiato sospeso le giocate del funambolico brasiliano ex blaugrana, ma a sbloccare le marcature ci pensa nuovamente il “bisonte”. Il gol è di quelli da attaccante puro: stop e girata di sinistro dal limite dell’area con l’avversario che lo marca alle spalle.
L’impatto sul campionato più bello del mondo è devastante, e in tribuna c’è chi, forse, mastica amaro: E’ Massimo Moratti, che quel Dario Hubner lo avrebbe anche comprato (per la gioia di un interista purosangue), ma che alla fine ha preferito “mollarlo” per comprare Branca. Non sarà l’ultima volta che “Darione” patirà la sorte del “sedotto e abbandonato”, ma di ciò parleremo in seguito. Tornando al gol contro l’Inter, il tutto nasce da un passaggio illuminante di Pirlo. Nell’arco della stagione Hubner beneficerà più volte delle precise geometrie disegnate dal futuro “maestro”. Brescia rappresenta forse il primo grande spogliatoio in cui Hubner si trova a convivere. Lo dovrà dividere con campioni come il già citato Pirlo, Cristiano Doni e soprattutto Roberto Baggio. Sarà proprio il “divin codino” a mettere fine alla quadriennale esperienza di Hubner al Brescia. Nessuno screzio, solo una certa incompatibilità tattica come lui stesso rivelerà:
Baggio aveva bisogno di una punta più statica, mentre io cercavo spesso la profondità. Così la società preferì puntare su Toni”
Il bilancio con le “Rondinelle” è però più che positivo:75 gol in 129 presenze e una promozione in Serie A nel 2001.
Dario Hubner sul trono di Trezeguet
Siamo giunti all’ultima tappa importante di questo straordinario viaggio: Piacenza, stagione 2001/2002. “Sfrattato” dal Brescia, Hubner decide di sposare la causa del neopromosso Piacenza. I biancorossi sono un mix di gioventù ed esperienza, con talenti come Amauri e Matuzalem e “vecchia guardia” composta da Di Francesco, Rastelli e Gautieri. A guidarli in panchina c’è Alberto Novellino. All’età di 35 anni, Hubner ne ha ancora per riscrivere la storia del campionato: diventa infatti, con 24 gol diventa il più anziano capocannoniere della Serie A fino a quel momento (superato da Toni nel 2015). A fargli compagnia lassù è un certo David Trezeguet, giovane bomber che la Juventus ha prelevato dal Monaco, e che nella sua breve carriera si è già tolto la soddisfazione di vincere un Europeo con gol decisivo e, nel prosieguo, diventerà lo straniero più prolifico che abbia mai vestito la maglia juventina.
La classe operaia siede dunque al tavolo della migliore borghesia torinese. I gol valgono la permanenza dei “lupi” in Serie A, ma non la chiamata al Mondiale nippo-coreano. Ancora una volta, per un appuntamento importante, gli preferiscono un altro: Marco Delvecchio. La mancata convocazione in Nazionale sarà il più grande rammarico della sua carriera come ammetterà in seguito con la solita franchezza, ma non intaccherà minimamente la passione e la fiducia che “Tatanka” nutre per questo sport.
Gli ultimi anni nel calcio “vero”
Lo dimostra il fatto che Hubner abbia appeso gli scarpini al chiodo alla veneranda età di 44 anni. E gli ultimi anni di carriera li ha trascorsi nell’habitat che più preferisce: quello delle serie minori. Da lui stesso definito un calcio più genuino, “maschio” nell’accezione positiva del termine. Diverse esperienze tra Serie D ed Eccellenza prima di ritrovarsi a gicare in porta al calcetto, con gli amici. Perché il calcio incarna il suo spirito libero e votato profondamente meritocratico: è uno sport egualitario che permette ad ogni singolo giocatore, portiere compreso di incidere sul risultato di squadra allo stesso modo dei compagni. E’ forse proprio questo il segreto della longevità di certi campioni e ciò che più ci avvicina a loro: Hubner non ha mai ricercato gloria e fama nel calcio, l’ha sempre vissuto come ciò che dovrebbe essere: puro divertimento. Come tanti dandy del pallone, Hubner è riuscito a godersi ogni attimo che ha contornato la sua carriera, dagli allenamenti alle partite. Umile come pochi, il bomber non ha mai subito il cruccio dei traguardi mancati.