L’ex CT della nazionale italiana di pallavolo Mauro Berruto omaggia il rugby e approva la decisione presa dalla Federazione di mettere fine alla stagione in corso. Lo fa tramite un post sui social. Ecco cosa ha detto.
Il rugby ha detto stop: parole e pensieri contrastanti
In un momento cosi delicato, difficile in cui ci troviamo. Una nazione intera che lotta giorno dopo giorno, contro un nemico invisibile quale il coronavirus. Una guerra che l’Italia e gli italiani stanno combattendo, battaglia dopo battaglia, con l’imperativo di sconfiggere questo nemico silenzioso.
Una situazione che ha paralizzato tutto il paese, da un giorno all’altro ci siamo trovati le nostre vite stravolte. Cosi tutte le nostre abitudini sono state svuotate. Andare a lavoro, tornare, fermarsi al bar per un aperitivo, andare a cena fuori. Cosi anche le nostre domeniche, abituati a goderci le belle giornate di sport. Tutto fermo. Cosi anche i campionati sportivi.
La Federazione Italian Rugby in una situazione cosi complicata con un comunicato ufficiale ha preso una decisione drastica. Ha dichiarato di sospendere definitivamente tutti i campionati per la stagione 2019/2020. Quindi nessuno scudetto assegnato e nessune retrocessione.
Sin da subito i pareri sono stati contrastanti, società sportive, giocatori e appassionati sportivi. Ognuno ha provato a dare la sua opinione. Tra una delle dichiarazioni che ci ha colpito è stata sicuramente quella di Mauro Berruto, Ex CT della nazionale italiana pallavolo.
Mauro Berruto: il contatto è prova della nostra esistenza
Massimo Berruto, allenatore di pallavolo ed ex CT della nazionale parla del rugby e sulla decisione della federazione di mettere a termine la stagione in corso. Ecco cosa ha detto:
“Uno sport meraviglioso, uno sport che insegna il singolo deve mettersi a disposizione della squadra per raggiungere quell’obbiettivo comune che è la linea di meta. Uno sport che insegna la bellezza delle differenze. Serve quello che sa suonare bene il pianoforte ma servono anche i due che portano il pianoforte a spalla sul trentesimo piano del grattacielo dove è l’auditorium. Uno sport che voglio omaggiare perché è stato in grado di prendere una decisione coraggiosa e annunciare che i campionati non riprenderanno. Credo che sarà seguito a brevissimo anche da altri sport.”
Continua ancora, voglio omaggiarlo con qualcosa che ho scritto qualche tempo fa, in un momento diverso da quello che è oggi. Riguardo a un momento di gioco, la mischia:
“Il Rugby, sport di contatto per eccellenza, vive il suo momento più denso di significati nella mischia, che non è una zuffa ma un modo ordinato di riprendere l’azione dopo l’infrazione. Otto giocatori per parte, letteralmente legati insieme devono diventare un corpo solo. Devono esercitare una forza che sarà contrapposta a quella dei propri avversari, combattendo come in una guerra di trincea per conquistare un centimetro di campo alla volta. La mischia è un organismo; respira, si quieta, riprende forza, collassa. All’urlo contatto si mette in azione proteggendo e attaccando insieme, essendo dimostrazione di forza, solidità compattezza. E’ un termometro della squadra; trasmette fiducia, coraggio oppure incertezza, dubbio, paura.
Otto uomini legati l’uno a l’altro come una falange oplitica ma senza gli scudi. Testa, collo, spalle, braccia si vanno a incastrare dentro altre teste, colli, spalle, braccia. Due metà di un animale, che spingono in direzione opposta ma che diventano un corpo unico lottando per il possesso di una palla ovale ci ricordano che quando siamo privati di una forma di contatto che ci leghi agli altri, amici o nemici che siano, smettiamo di esistere. Toccare un altro essere umano o esserne toccati significa avere prova della nostra esistenza. Senza quel contatto, semplicemente non siamo.”
Spingere come una mischia per sconfiggere il nemico
Come sempre succede, anche in questi momenti vengono fuori i valori del rugby. In questi giorni abbiamo assistito ad azioni solidari da tutta parte d’Italia e da ogni singola persona che sta facendo il possibile per risollevare le sorti di questo bel paese. Ne è un esempio Maxime Mbandà, il giocatore della nazionale che si è tolto la divisa da gioco e gli scarpini per scendere in strada e dare un aiuto importante alla croce gialla.
Non si è rifugiato dentro una villa lussuosa, per lui nessuna réclame, nessun sponsor milionario e nessuna immagine in prima copertina, solo la consapevolezza di collaborare al fianco di altre persone disposte a mettersi in prima linea per combattere questo nemico. Proprio come i valori del rugby insegnano.
E proprio come una mischia dovremmo spingere tutti insieme per guadagnare quel centimetro alla volta e sconfiggere questo avversario.
Continua a seguire il rugby sulle pagine di Metropolitan Magazine