Ieri pomeriggio mi sono imbattuta nel film “La teoria del tutto”, di James Marsh. So che è una pellicola del 2014, ma il mio carattere eccessivamente sensibile mi distoglie spesso da storie così forti, che non lasciano via di scampo, tanto da portarmi a prediligere trame sicuramente più leggere, ma che poi, in fin dei conti, non trasmettono nulla.
Qualche considerazione sul film
Ritengo che, insieme a Jack, di Francis Ford Coppola, interpretato dal mitico Robin Williams, La teoria del tutto sia il film che più mi ha scosso emotivamente negli ultimi anni. Sono stata completamente travolta dall’interpretazione superba e a dir poco magnifica, di Eddie Redmayne, che conoscerete tutti grazie ai film “Animali fantastici e dove trovarli”(2016) e “Animali fantastici- I crimini di Grindelwald”(2016).
Osservare la vita con occhi diversi dai nostri, è difficile, quasi impossibile. Eppure, guardando il film, lo spettatore è chiamato a immergersi totalmente nella vita di due perfetti sconosciuti, adottando un punto di vista diverso dal proprio. Recensire questo film significa, quindi, mostrare a voi lettori una realtà analizzata unicamente con le lenti dei due protagonisti, Stephen e Jane.
La teoria del tutto: chi è Stephen?
Stephen Hawking è un brillante fisico dell’università di Cambridge. Il suo obiettivo è quello di scoprire una teoria che sia in grado di unificare tutte le forze che regolano l’universo. Il compito diventa man mano più arduo, soprattutto quando a Stephen viene diagnosticata un’atrofia muscolare, che, secondo il parere dei medici, lo avrebbe condotto alla morte in soli due anni. Questo però non accade e, nonostante le mille difficoltà fisiche ed emotive, il giovane forma una famiglia con Jane e i suoi tre figli.
In tutto il suo difficile percorso, Stephen non è mai crollato, trasformando ogni momento di debolezza in forza. Il sorriso che puntualmente accenna su un viso tenero e innocente, la decisione di non rinunciare alla vita, nonostante un destino sofferente, la capacità di raggiungere i suoi obiettivi, malgrado gli innumerevoli limiti fisici, fanno di lui un vero esempio di vita. Ma la caratteristica più importante di Stephen è sicuramente la simpatia, quell’ironia travolgente che non lo abbandona neanche quando tutto sembra andare nel verso sbagliato. Nonostante l’attuale incapacità di scrivere e parlare, il giovane riesce a raggiungere ugualmente il suo traguardo più grande: la pubblicazione della teoria del tutto. Il tempo è l’argomento principale del suo trattato, quel tempo sfuggente e ingannevole che sembra così breve all’apparenza, da nascondere, invece, un’immensità totalmente priva di confini.
La teoria del tutto: Chi è Jane?
Jane Wilde è una giovane laureanda in lettere. Durante una festa, la sua vita si incrocia casualmente con quella del fisico Stephen, con cui nasce una storia d’amore bellissima, destinata a non finire neanche a seguito della diagnosi del ragazzo. I due vivono insieme ai loro tre figli, ma Jane diventa ogni giorno più sola e sofferente. I pensieri della ragazza sono contrastanti e il suo distacco cresce ancora di più con l’arrivo del musicista Jonathan.
Il sentimento di Jane sembra cambiare man mano che gli anni passano e la malattia di Stephen peggiora. Quando il giovane scopre di essere malato, Jane non intende lasciarlo per nessun motivo, decidendo anzi, di costruire una famiglia con lui, di avere dei figli con un uomo che purtroppo prima o poi sarebbe andato via. Ritengo questa scelta molto significativa; quel sentimento così forte che spinge la donna a una tale decisione non si abbandona durante il film, ma si razionalizza, diventando una mera consapevolezza degli anni ormai perduti.
Jane non trova, però, quel coraggio necessario a prendere in mano la sua vita. Questo porta con sé anche, e soprattutto, una motivazione di carattere religioso: la sua forte devozione a Dio la distrae completamente da ogni pensiero malizioso. Sarà proprio Stephen a spingere la giovane nelle braccia di Jonathan, un uomo che, avendo un vissuto simile a quello di Jane, è in grado di capirla, ascoltarla e proteggerla e, dunque, donarle nuovamente la serenità.
Conclusione
La pellicola è tratta da una storia vera e Stephen Hawking è stato realmente un accademico e cosmologo britannico, morto il 14 marzo del 2018, a causa della malattia che gli è stata diagnosticata 55 anni prima. La riproduzione è alquanto fedele e i dettagli della sua vita sono tratti dal testo “Verso l’infinito”, scritto dalla ex moglie Jane Wilde Hawking nel 2007.
Nel 2013, Stephen Hawking pubblica un’autobiografia dal titolo “Breve storia della mia vita”, in cui un paragrafo particolare sembra prevalere su tutti gli altri:
Per i miei colleghi sono semplicemente un fisico come un altro, ma per il pubblico più vasto sono forse diventato lo scienziato più famoso del mondo. Ciò è dovuto in parte al fatto che io corrispondo allo stereotipo del genio disabile. Non posso camuffarmi con una parrucca e degli occhiali scuri: la sedia a rotelle mi tradisce.
Forse Stephen Hawking aveva ragione quando scriveva queste parole. Oggi, il mondo non lo ricorda solo per le sue teorie cosmologiche sull’universo e sui buchi neri, ma anche per il grande esempio di forza e speranza che è tutt’ora.
L’ottima interpretazione di Eddie Redmayne, che gli ha garantito il premio Oscar come miglior attore nel 2015, ha sicuramente reso giustizia a un personaggio così importante. Ogni movimento del corpo raccontava una storia e dai suoi occhi trapelava quel dolore volutamente celato dalla delicatezza del suo viso. Insomma, una pellicola al di sopra delle aspettative, in cui l’emozione prevale in modo incessante per tutta la durata del film.
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