Il 25 giugno 2009 al Madison Square Garden andava in scena il draft di Blake Griffin come prima scelta. Molte promesse di allora sono diventate realtà e giocatori cardine della Nba di oggi. Non si può dire lo stesso di Jonny Flynn, scelto alla 6, prima di Steph Curry, per dirne uno.

Jonny Flynn, la strana strategia di Minnesota

Il draft del 2009 fu molto particolare. Non solo per la quantità di grandi giocatori scelti, ma soprattutto per gli errori di valutazione delle varie franchigie. Se Hasheem Thabeet alla seconda fa rabbrividire chiunque, va segnalato che non è l’unico grande misunderstanding della serata di New York. I Minnesota Timberwolves, in piena fase di rebuilding e con ben tre scelte nelle prime 18, avevano l’obiettivo di colmare il vuoto nel ruolo di point guard e puntarono su Ricky Rubio alla 5, Jonny Flynn alla 6 e Ty Lawson alla 18.
C’erano tantissime scelte in quel ruolo, ma non vennero prese in considerazione. Infatti, Jrue Holiday andò alla 17, Jeff Teague alla 19, Darren Collison alla 21 e, last but non least, Steph Curry alla 7.

Jonny Flynn, come non cambiare la storia della Lega


Insomma, nel mondo della Nba è facilissimo spostare gli equilibri. Un errore al draft può cambiare la storia delle franchigie e quindi dell’intera competizione. Se Steph Curry fosse stato scelto dai Wolves, probabilmente non avrebbe mai giocato con Klay Thompson e non sarebbe mai stato allenato da Steve Kerr. Sarebbe stato lo stesso il fenomeno che è stato? E i Golden State Warriors avrebbero vinto lo stesso? Minnesota sarebbe stata una contender? E, senza Steph ai Warriors, Lebron avrebbe vinto più titoli di Jordan?
E’ incredibile quanto basti poco per cambiare tanto.
Ah, in quel famoso draft alla 42 e alla 55 venivano scelti Patrick Beverley e Patty Mills. Non erano Steph, ma nemmeno Jonny flynn…

Jonny Flynn
Jonny Flynn supera Joel Anthony.
(photo credits: BleacherReport)

Jonny Flynn, dall’Nba a Capo d’Orlando

Dopo un primo anno tutto sommato abbastanza positivo, in cui il prodotto di Syracuse viaggiò a 13 di media, sempre da titolare, la sua carriera non decollò mai. Anzi. Il secondo anno giocò poco più della metà delle partite, causa problemi muscolari che condizioneranno tutta la sua carriera. Da lì in poi le chance furono sempre meno. Qualche apparizione in G-League, una manciata di partite tra Houston e Portland e l’esperienza negli USA era già finita per Jonny. Prima della Sicilia, ci furono le classiche tappe nel basket orientale, in Cina per l’esattezza e un anno ai Melbourne Tigers in Australia.
Infine l’ultima, drammatica, esperienza italiana. Arriva a stagione in corso a Capo d’Orlando in cerca di un playmaker con punti nelle mani. Gioca due partite in cui distribuisce 13 punti e 5 assist, ma poi un ennesimo infortunio, questa volta una lesione al bicipite femorale. E anche questa volta, è prematuro il finale di stagione per la 6 scelta al draft del 2009.

Oggi, Jonny Flynn è un ex giocatore, dopo una carriera molto deludente, viste le premesse. Un giocatore tradito dal suo fisico e che ha perso fiducia sempre di più nei propri mezzi. Poteva andare diversamente?
L’ex point guard da Niagara Falls ci ha insegnato che i What if servono solo a farsi suggestionare. E a volte, è meglio non farlo.

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