“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.”
Questo il celeberrimo incipit del romanzo di Vladimir Nabokov. Ma chi è Lolita? Un’adolescente precoce, una “ninfetta”, che suscita i desideri degli uomini maturi, seduttrice un po’ per gioco ed un po’ -forse- suo malgrado. “Lei è famosa, non io”: questo diceva Nabokov della sua Lolita. Il romanzo di Nabokov fu pubblicato nel 1955 e fu subito scandalo; in breve la storia è questa: il protagonista, il professore quarantenne Humbert, francese, intreccia una relazione con la dodicenne Lolita, americana; ed anzi, pur di avvicinarsi a lei e farla sua, ne sposa la madre, per la quale non prova alcun interesse.
Di fatto, Dolores alias Lolita è poco più di una bambina; infatti di lei scriverà ancora Nabokov:
“Lolita è la storia di una bambina triste in un mondo tristissimo.”
Ed è triste davvero un mondo in cui l’infanzia e l’innocenza vengono uccisi da una crescita troppo precoce e da una sessualità più subita che imposta. Ma il suo lato bambino, che ci fa tenerezza, ha un contraltare ben più seducente ed inafferrabile: Lolita è la più abbagliante apparizione moderna della Ninfa, uno di quegli esseri quasi immortali che furono i primi a stimolare il desiderio degli Olimpi verso la terra, attirandoli nei piaceri carnali.
Perché chiunque sia «catturato dalle Ninfe», secondo i Greci, è travolto da una sottile forma di delirio, lo stesso che coglie l’indimenticabile professor Humbert, che si ammala di una insana e morbosa passione. Vittime entrambi, Humbert e Lolita, di quell’amore che li consuma. Sì, perché di fatto Lolita è una storia d’amore, seppure un amore “scabroso” , poiché il professore compie per lei dei gesti folli, gesti ai limiti della legalità e ben oltre i limiti della morale, o perlomeno di quella degli anni Cinquanta; un amore ossessivo e totalizzante, a tratti maniacale: non a caso si parla della famosa “sindrome di Lolita”.
Lolita, la trasposizione teatrale
Tuttavia c’è da chiedersi: chi è la vittima e chi il carnefice? E’ la bambina che è cresciuta troppo in fretta o piuttosto è il professore che è rimasto un eterno Peter Pan? Eh sì perché, di fatto, amando Lolita, Humbert cerca di fermare il tempo, di ritornare a quell’amore adolescenziale che forse non ha mai avuto, ma che ha sempre desiderato. Una figura inafferrabile, la piccola Lo, e difficile da decifrare. Eppure qualcuno ci ha provato… col teatro, ad esempio. E’ il caso del lavoro di una regista, Ilaria Testoni, e del suo attore protagonista nell’allestimento di una trasposizione teatrale di Lolita: Mauro Mandolini. Oggi noi di Metropolitan Magazine li abbiamo intervistati per voi.
MM: Ilaria, la prima domanda è per te: come hai lavorato sul romanzo di Nabocov per la trasposizione scenica?
I.T. : Ho lavorato molto con Mauro Mandolini sul personaggio di Humbert, partendo dal libro che era scritto in prima persona, e di conseguenza ho ritenuto che gli altri personaggi fossero frutto della sua memoria, delle sue espressioni emotive, delle sue percezioni.Lui vero. Gli altri…falsati dal ricordo. Lui non condanna mai Lolita, nè mai si vede nulla che in realtà condanni Lolita. Mentre la madre, insopportabile dall’inizio, è sempre e solo come l’ha percepita lui. Per l’adattamento sono partita dai suoi ricordi d’infanzia: la madre morta colpita da un fulmine, la sua fidanzatina morta di malattia. Questo viene raccontato nel libro in due pagine, ma sono le fondamenta, secondo me, del suo essere.
MM : Quale è stato il lavoro sulla protagonista femminile?
I.T. : Poco lavoro purtroppo, aveva sedici anni; mi ero innamorata dell’idea di averne una “vera”. Mi ero sbagliata.
MM : Mauro, com è stato per te lavorare con una partner scenica così giovane?
M.M. : Mi sono trovato molto male. Non era un’attrice. Non aveva né la disciplina, né là professionalità, né la voglia. Una giovane, come ce ne sono tante, abulica, presuntuosa nonostante fosse alla prima esperienza. L’ho cancellata. Non mi ricordo nemmeno come si chiami. Mi auguro che abbia preso altre strade.
MM : Il personaggio del protagonista maschile, Humbert, è stato reso al cinema, nei due famosi film, in modi molto diversi. Ma ne è sempre emerso un certo fascino. Tu come hai creato il tuo personaggio per il teatro?
M.M. : Io non ho il fascino né di James Mason né, tanto meno, di Jeremy Irons. Come faccio per tutti i personaggi che affronto leggo molto le battute, non solo le mie. Per capire il perché di certe parole, dove nascono e dove portano. La mancanza di feeling con Lolita, per colpa mia, perché sono poco malleabile, non mi ha fatto rendere al meglio il personaggio. Volevo farne un uomo con molte maggiori sfaccettature rispetto a quelle che sono riuscito a rendere. Il professore Humbert Humbert maritava maggiore disponibilità da parte mia. Mi dispiace. Non ho dato del mio meglio.
MM : Quale pensate possa essere, ad oggi, il significato o il messaggio di Lolita rapportato all’epoca attuale?
M.M. : Personalmente, non ho una grande considerazione di questi nostri anni. Non saprei rispondere su significati e messaggi, anche perché, credo, che ognuno possa e debba trovare il proprio. Consiglio a tutti la lettura del libro di Vladimir Nabokov perché è un libro che va letto ed è bene trovargli un posto in libreria.
I.T. : Nessun messaggio oggi. Quest’epoca non ce lo permette. Ormai, la storia è nota. Il messaggio unico può essere che quel libro è da leggere, come ha detto Mauro.